domenica 9 ottobre 2016 - Antonio Moscato

Colombia, Guerriglia e narcotraffico | Saviano su Repubblica rifrigge le calunnie della CIA

Mentre gran parte dei colombiani intervistati sulla difficile situazione creata dal voto delle zone più lontane dal terreno dei combattimenti esprimono preoccupazione, e dicono spesso che avrebbero preferito che il Premio Nobel per la Pace fosse condiviso da Santos con le FARC, Roberto Saviano riempie due pagine de “la Repubblica” di infamie raccattate in qualche bollettino della CIA o dell’ufficio stampa di Uribe; infamie che se avessero anche un 10% di fondamento avrebbero giustificato ampiamente un NO secco ben più massiccio al referendum sugli accordi di pace.

Tra chi conosce le FARC da vicino (a partire di alcuni che hanno avuto la sfortuna di essere sequestrati e tenuti in un carcere del popolo per anni, come Ingrid Betancourt) è difficile trovare qualcuno che ripeta le accuse di narcotraffico mosse dagli Stati Uniti a questo come a qualsiasi altro movimento guerrigliero in qualsiasi parte del mondo. Magari c’è chi, come il generale Luis Mendieta, che è stato prigioniero delle FARC per ben dodici anni, le definisce "criminali", ma semplicemente perché attribuisce ad esse la responsabilità di un conflitto che aveva invece radici profonde e complesse, ed era stato d’altra parte preceduto da un altro lungo periodo di scontri sanguinosissimi (ricordato come la violencia) durato dal 1948 al 1953, per poi lasciare il passo alla dittatura di Gustavo Rojas Pinilla. La violencia era stata innescata dall’assassinio del candidato delle sinistre, il liberale Jorge Eliécer Gaitán, alla vigilia della sua probabile vittoria elettorale. E anche negli anni successivi i crimini dello Stato non mancarono: ad esempio nel 1985 era stato l’esercito a sterminare una parte dei giudici della corte suprema per attribuirne la responsabilità al movimento M19 (che tra l’altro, quando nel 1990 accettò di deporre le armi, vide cadere uno dopo l’altro i suoi dirigenti tornati alla vita civile).

Comunque lo stesso generale Mendieta, quando ricostruisce su “La Stampa” del 2 ottobre la storia a modo suo, attribuendo ai movimenti di sinistra tutte le responsabilità per l’inizio dei conflitti, non parla minimamente di narcotraffico. Invece Saviano non ha dubbi, e sostiene che l’accordo sarebbe servito a poco, a causa degli interessi dei guerriglieri a conservare il lucroso commercio della coca: dato che le FARC “non sono l’unica organizzazione di guerriglia in Colombia, [è] segno evidente che il bottino da spartirsi era considerevole”. Bella spiegazione che rivela la mentalità di chi la usa.

Saviano presenta subito non solo l’ELN (la guerriglia più legata alla tradizione guevarista e a Cuba) come una semplice concorrente delle FARC nella lotta per impossessarsi del monopolio della droga, ma tira in ballo anche l’AUC (autodifese unite della Colombia) su cui si dilunga descrivendone i rapporti strettissimi con la ‘ndrangheta, mediati da Salvatore Mancuso, che era arrivato per qualche tempo alla testa di quel coordinamento di assassini di estrema destra creato proprio per distruggere i movimenti guerriglieri senza preoccuparsi di salvare le forme. Saviano sorvola sul piccolo particolare che tra ELN, FARC e i paramilitari fascisti dell’AUC non c’erano accordi di collaborazione, ma una lotta mortale.

Presentare come un tutto unico l’AUC e le due vere formazioni guerrigliere di sinistra, che erano e sono divise tra loro da sempre per ragioni ideologiche, non per spartirsi il bottino, è una pura mascalzonata, non solo la svista di un ignorante. Saviano d’altra parte conferma che si è basato largamente sulla sua sensazione che il progetto politico costruito al prezzo di durissime lotte non fosse altro che “impostura”. Ma come pezza d’appoggio alle sue affermazioni non sa tirare in ballo altri che il solito Mancuso, insinuando che è ormai nelle mani della DEA e sta iniziando a collaborare.

In realtà sta negli Stati uniti da un po’ di anni: http://www.linkiesta.it/it/blog-post/2013/07/12/salvatore-mancusoun-nome-italiano-le-stragi-la-coca/17562/ È possibile che confermi quel che gli chiedono di dire, ma per ora non ha potuto parlare che dei gruppi paramilitari che controllava. Ma il lettore riceve un messaggio ambiguo, che lascia intendere che tutto il problema era come spartirsi la coca tra destra e sinistra.

Naturalmente, a conferma di quali sono le sue “fonti”, Saviano aggiunge che la chiave di tutto sta a Cuba, che non sarebbe stata scelta a caso come luogo in cui il processo di pace si è svolto. Lo afferma con incredibile sicurezza: “Cuba è da sempre luogo di passaggio della cocaina diretta negli Stati Uniti e in Europa. A Cuba ha sempre fatto scalo e da Cuba è poi sempre ripartita per la Florida, per il confine messicano, per il Canada”.

Come tocco finale Saviano aggiunge che “il popolo” colombiano ha bocciato l’accordo proprio per timore “che le FARC come partito politico possano avvelenare il dibattito democratico, diventando una sorta di narcopartito”. Incredibile, ma rende l’idea di dove è arrivata “la Repubblica”… E non per caso, o per ignoranza, ripeto. Tanto più che in una colonnina al margine delle due pagine consacrate a Saviano, si trova seminascosto un utile articoletto del maggiore scrittore colombiano del momento, Juan Gabriel Vázquez, che dice seccamente di non poter essere ottimista. “L’opposizione al processo [di pace] è irrazionale. Si basa su bugie e superstizioni. Ancora ieri, il leader del fronte per il NO confessava che tutta la campagna si era basata sull’esasperazione delle paure e l’indignazione dei votanti. L’opposizione all’accordo di pace può essere legittima tra alcuni cittadini, ma i suoi leader sono senza scrupoli, falsi e manipolatori. Un Nobel per la Pace non riuscirà a trasformarli in trasparenti e onesti”.

Ma Repubblica ha scelto di relegare questa testimonianza dall’interno in un angolino, e di amplificare invece il parere di questi leader “senza scrupoli, falsi e manipolatori”.

Forse per l’attrazione fatale delle oligarchie che da due secoli malgovernano e fanno sanguinare la Colombia. 

 

Vedi anche Santos: Un premio coerente con la storia del Nobel per la pace




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