giovedì 28 ottobre 2010 - Giovanni Graziano Manca

Cinema della psiche: una finestra sul nostro vivere quotidiano - Parte 1^

1. Il cinema ha sempre rappresentato e continua ancora oggi a rappresentare storie e situazioni che hanno a che vedere con i vari aspetti specialistici - psichiatrici, psicoanalitici, psicologici – che riguardano la mente umana, l’inconscio, la malattia psichica e le problematiche ad esse collegate.

Sul tema mente umana & cinema sussiste e ad esso dobbiamo almeno accennare, anche l’aspetto che riguarda la preliminare e naturale necessità, per chi realizza il film, di disporre di un soggetto e di una sceneggiatura che ai più diversi livelli siano in grado di definire perfettamente i tratti caratteriali, psicologici e comportamentali (siano essi patologici o meno) dei diversi personaggi previsti dal copione che contribuiscono, ognuno con la propria parte, allo svolgersi della narrazione visiva. Soggetto e sceneggiatura, tra l’altro, vengono molto frequentemente tratti, per il cinema, da opere letterarie e, come è stato ricordato, un cineasta del calibro di ‘Stanley Kubrick sostiene che i romanzi meglio adattabili al cinema sono quelli psicologici, che descrivono in ogni momento cosa stia pensando o provando un personaggio: ciò rende più facile allo sceneggiatore cercare delle azioni che siano il correlativo oggettivo di quegli stati psicologici’. [Così Vincenzo Buccheri, Il film , Roma 2004, p.31].

In questo articolo si vuole specificamente fare riferimento a una di quelle tematiche che il cinema di volta in volta fa rientrare nell’alveo dei propri numerosi e particolari interessi. Numerosissimi e di grande pregio sono gli esempi di opera cinematografica che mette in scena vicende che riguardano il sogno, l’inconscio, il disagio psichico, la follia come manifestazione di patologie dalle quali non sempre si guarisce, la solitudine del malato mentale e le sue condizioni di vita all’interno di quelli che una volta venivano chiamati, con un brutto termine che ancora oggi resiste, ‘manicomi’.

Un approccio storico-critico ci consente di trattare l’argomento ‘Cinema & Psiche’ collocandolo trasversalmente rispetto alle cinematografie che fanno riferimento ai canoni dei movimenti artistici e letterari d’avanguardia risalenti ai primi decenni del Novecento come l’espressionismo, il surrealismo, etc. e alle varie modalità a mezzo delle quali la settima arte, nel corso del suo evolversi, ha trovato espressione.

Si pensi, ad esempio, al cinema espressionista tedesco. Le particolari atmosfere e le peculiari soluzioni sceniche che mettono in evidenza i caratteri e le architetture che contraddistinguono il modo di esprimersi dell’arte espressionista, costituiscono a tutti gli effetti uno degli strumenti principali a disposizione della regia. Essi hanno lo scopo di rappresentare e rimarcare cupi stati d’animo, angoscia, dolore e condizioni di malessere psichico che sembrano tenere perennemente in ostaggio i protagonisti della finzione. Sinteticamente si potrebbe affermare, come ha fatto Lotte Eisner, che i paesaggi presenti nei film espressionisti appaiono come ‘impregnati d’anima’ [l’assai efficace espressione viene citata da Paolo Bertetto in P.Bertetto (a cura di), Introduzione alla storia del cinema, Torino 2004, p.29]. 

Fu uno dei più grandi capolavori del cinema espressionista, "Il gabinetto del dottor Caligari" (in lingua originale: Das cabinet des Dr.Caligari) del 1920, ad occuparsi tra i primi di tematiche connesse alla mente umana, in particolare della malattia mentale. Con una trama piuttosto articolata, il film rappresenta alcune vicende raccontate da Francis, degente di una casa di cura per malati di mente. Secondo la narrazione dell’uomo il Dottor Caligari (che in effetti nella prima parte del film viene fatto passare per un ciarlatano che di fiera in fiera va mettendo in scena il suo singolare spettacolo) sottopone a ipnosi un giovane affetto da sonnambulismo per indurlo a commettere degli assassinii. Nella realtà dei fatti, però, Caligari rivelerà di essere il direttore dell’ospedale dove Francis si trova ricoverato e di essere tutt’altro che pazzo. Opera del regista di origine polacca Robert Wiene, il lungometraggio ‘costituisce una delle prime esperienze filmiche legate alle problematiche della filosofia contemporanea e risente del clima di messa in discussione della realtà, della cosa in sé e della verità che caratterizza l’eredità di Nietzche’ [Cfr. P.Bertetto, in (a cura di) Paolo Bertetto, Introduzione alla storia del cinema, Torino 2004, p.31].

Pensiamo ancora alle opere che hanno espresso il Surrealismo cinematografico a partire dalla metà degli anni Venti del secolo scorso.

I film surrealisti si caratterizzano per una loro particolare urgenza espressiva: quella di rappresentare le dinamiche dell’inconscio per come effettivamente si presentano all’uomo, per come dallo stesso esse vengono vissute. 

Andrè Breton, uno dei principali teorici di questa corrente culturale e artistica, nel Manifesto del surrealismo pubblicato nel 1924 dette della parola ‘surrealismo’ la seguente definizione: ‘Automatismo psichico attraverso il quale ci si propone di esprimere, verbalmente o per iscritto, o in qualsiasi altro modo, il funzionamento reale del pensiero. Dettato del pensiero, in mancanza di qualsiasi controllo della ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica o morale’ [cit.in: Fabio Gambaro, Surrealismo, Milano 1996, p.25].

Coerentemente con la definizione formulata da Breton, i film surrealisti si distinguono per la presenza frequente di situazioni oniriche alla base delle quali, peraltro, è spesso posto un significato sessuale. Inoltre, nella narrazione sono molto di sovente presenti stati di allucinazione, fantasmi e fantasie di varia natura con le quali l’opera cinematografica surrealista intende catturare l’attenzione dello spettatore per fargli compiere un viaggio all’interno del proprio inconscio; tutto ciò, come si è detto, nel tentativo di mostrare l’esperienza onirica nella sua effettiva manifestazione. 

Un mediometraggio del 1930, "L’age d’or" di Luis Bunuel, costituisce un esempio significativo di cinema surrealista. L’opera è permeata da una atmosfera onirica costante (in Bunuel il film e il sogno come manifestazione dell’inconscio trovano un comune punto di sintesi) all’interno della quale si trovano chiari riferimenti simbolici a tematiche di carattere sessuale e l’avversione tipica del grande regista spagnolo per la religione e per il ceto sociale borghese.

E il cinema realista? Il regista Jean Renoir, per esempio, in ‘La bete humaine’, film del 1938, riprende una storia scritta da Emile Zola, lo scrittore maggiormente rappresentativo del naturalismo francese. L’opera, che in Italia uscì con il titolo di ‘L’angelo del male’ ha per attore protagonista Jean Gabin e racconta una storia di follia, un tragico caso di sdoppiamento della personalità che porta il ferroviere Jacques Lantier ad uccidere la donna che ama e successivamente a suicidarsi. ‘Il naturalismo zoliano’ osserva in proposito Cristina Bragaglia, sfocia nel realismo sociale, ricavando dalla struttura della società le motivazioni dei crimini’ [C.Bragaglia, Storia del Cinema francese, Roma 1995, p.38].

Anche il cinema fantascientifico, il cinema horror e ancora la commedia, il film poliziesco e via dicendo hanno tentato, ognuno con suggestioni e modalità narrative differenti l’una dall’altra, di rappresentare le più diverse manifestazioni della mente umana, anche quelle più nascoste e quelle che si caratterizzano per una certa morbosità di fondo, quelle oniriche e inconsce, la follia nelle sue esternazioni più estreme. Il cinema ha inoltre molto spesso evidenziato i problemi relazionali e sociali che colpiscono l’uomo affetto da patologie psichiatriche e costituisce per certi versi un punto di vista che consente allo spettatore un approccio spassionato rispetto a vicende umane che sullo schermo si svolgono in modo del tutto analogo a quelle che egli sperimenta anche da semplice spettatore nella propria esperienza quotidiana. 

Non è possibile fare a meno di osservare quanto siano svalutate, nell’ambito del filone cinematografico di cui si parla, le spesso ricorrenti figure dello psicanalista, dello psichiatra e dello psicologo. Questi professionisti vengono denotati quasi sempre in modo negativo. Presentati come dei cialtroni incompetenti, si rivelano spesso incapaci di risolvere i problemi che ad essi vengono demandati; tutto ciò quasi a voler significare l’impossibilità per l’uomo e quindi anche per il professionista della psiche, di dominare le dinamiche della mente umana o forse (è, questa, un’altra possibile lettura) per mettere in rilievo che in fondo, talvolta, il singolo individuo è la sola persona in grado di capire qualcosa del proprio inconscio, l’unica che abbia la possibilità di ‘agire’ sulla propria psiche per lenire o correggere i meccanismi mentali che provocano sofferenza.




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