lunedì 17 aprile 2023 - Phastidio

Cina | La prima crisi di debito per la Grande Creditrice

Mentre scoppiano una dopo l'altra le crisi di debito dei paesi emergenti, la Cina tenta di proteggere i propri crediti e scardinare le organizzazioni create dall'ordine globale occidentale

 

Il 20 marzo, il Fondo Monetario Internazionale ha approvato un prestito di 3 miliardi di dollari a favore dello Sri Lanka, paese devastato da una crisi frutto di molteplici eventi avversi esterni ma anche di errori demenziali di politica economica compiuti dall’ex presidente, poi fuggito all’estero. Per il salvataggio, che prevede la ristrutturazione del debito esterno dello Sri Lanka e quella delle aziende pubbliche del paese, oltre alla privatizzazione della compagnia aerea di bandiera, sono serviti ben sei mesi per passare dall’intesa a livello di staff all’imprimatur del Fondo.

LA CINA DI TRAVERSO

Il motivo è da ricondurre alla situazione destinata a pesare su molti interventi di salvataggio di paesi emergenti: la presenza di cospicui prestiti da parte della Cina a questi paesi, e la resistenza di Pechino a subire decurtazioni del valore di tali crediti, come quelle che i paesi sviluppati, raccolti nel Club di Parigi, accettano come prerequisito per il via libera agli aiuti da parte del Fondo Monetario Internazionale e altri prestatori multilaterali, come la Banca Mondiale.

La Cina, come abbiamo segnalato negli ultimi anni, è da tempo impegnata a concedere forti finanziamenti ai paesi in via di sviluppo, entro la cornice della sua iniziativa internazionale detta Belt and Road, o Via della seta. Si tratta in prevalenza di prestiti concessi a tassi di mercato, con contratti sottoposti a rilevante segretezza e con contropartite quali l’accesso a fonti di materie prime.

Lo scenario è mutato drasticamente in peggio, per i paesi emergenti, in conseguenza di una serie di fattori avversi. Il rialzo dei tassi d’interesse sul dollaro, che tradizionalmente risucchia denaro investito nei paesi in via di sviluppo. L’invasione russa dell’Ucraina, che ha causato forti rialzi dei prezzi degli alimentari e dei prodotti energetici, che si sono sommati a quelli indotti dalle riaperture post pandemiche. E anche la gelata nei flussi turistici, che per paesi come lo Sri Lanka rappresentano una fondamentale fonte di valute forti con cui comprare cibo, farmaci e carburanti.

La situazione dello Sri Lanka, già resa fragile da questi multipli focolai di crisi, è stata fatta detonare dalla presidenza di Gotabaya Rajapaksa, esponente di un potente famiglia singalese che in passato ha espresso un altro presidente, per due mandati. Gotabaya è stato ministro della Difesa per dieci anni, dal 2005 al 2015, quelli durante i quali il governo ha condotto una feroce repressione militare del movimento separatista delle Tigri Tamil, nella regione nord orientale dell’isola.

Gotabaya Rajapaksa, presidente dal 18 novembre 2019, ha attuato un forte taglio di tasse, che ha costretto il paese a indebitarsi a tassi crescenti. Nel frattempo, il debito estero si accumulava, spinto da un’economia surriscaldata e con gettito d’imposta già minato da un sommerso vastissimo. La bilancia commerciale è andata rapidamente fuori controllo e la perdita di valuta è stata catastrofica, portando a forti limitazioni della capacità di acquistare cibo, farmaci e carburanti. Black out fino a 12 ore al giorno hanno paralizzato il paese mentre l’inflazione, alimentata dalla stampa di moneta ordinata dal governo, ha raggiunto rapidamente il 50%.

Oltre che per il taglio di tasse rivelatosi letale (un po’ quello che è successo, fatte le ovviamente debite proporzioni, a Liz Truss), Rajapaksa è riuscito ad affondare il paese mettendo fuorilegge fertilizzanti e pesticidi e imponendo l’agricoltura organica. Il risultato, scontato ma evidentemente non per tutti, è stato un crollo delle rese. La produzione di riso è affondata del 20% nei primi sei mesi dall’introduzione del nuovo regime di coltivazione. Il paese è rapidamente passato da esportatore netto a importatore per 450 milioni di dollari. Anche la coltivazione ed esportazione di the, primaria fonte di valuta per il paese, è stata devastata. Una crisi economica, peraltro in un paese a medio reddito, si è rapidamente volta in crisi umanitaria.

  • Come la Cina ha costruito e si è presa il porto di Hambantota, Sri Lanka (New York Times)

Dopo le rivolte popolari e la fuga di Rajapaksa a Singapore, il nuovo presidente ha iniziato il negoziato col Fondo Monetario Internazionale. Ma le cose si sono trascinate per lunghi mesi a causa delle resistenze cinesi ad accettare una decurtazione del valore dei propri prestiti allo Sri Lanka.

NIENTE HAIRCUT, SIAMO LA CINA

I termini della questione sono piuttosto semplici. La Cina ha alluvionato di prestiti i paesi emergenti. Prestiti erogati a tassi pressoché di mercato, sotto una spessa coltre di segretezza. Ora, che i nodi vengono al pettine, e come scrivevo tempo addietro, la Cina rifiuta di pagare dazio, come tutti gli altri paesi sviluppati occidentali, e di subire gli haircut ai propri crediti. Al più, Pechino si dice disposta a moratorie brevi (un paio di anni) sul pagamento degli interessi, ma continua a opporre forti resistenze a tagli al valore nominale dei crediti.

Pechino sostiene di essere un prestatore di finanza infrastrutturale, cioè di agire agevolando lo sviluppo dei paesi emergenti, come le istituzioni multilaterali internazionali, che sono notoriamente entità occidentali, figlie del cosiddetto Washington Consensus. Pechino, di conseguenza, vuole che i propri crediti ai paesi emergenti siano trattati come quelli dei prestatori multilaterali occidentali, cioè non devono subire decurtazioni. Oppure, se proprio servono haircut, questi devono colpire anche il Fondo Monetario Internazionale e la World Bank.

È del tutto evidente che, se le cose evolvessero in questa direzione, ben presto le istituzioni multilaterali cesserebbero di esistere, a causa delle perdite sui crediti e della sollevazione populista nei paesi membri. A quel punto, è facile immaginare, la Cina avrebbe mani libere coi suoi prestiti “di sviluppo”, i suoi contratti secretati e la sua colonizzazione silenziosa.

Vedremo i termini dell’accordo con la Cina. Lo Sri Lanka otterrà dal FMI un immediato esborso iniziale di circa 333 milioni di dollari e otto successivi, a stato di avanzamento degli interventi di ristrutturazione dell’economia. Sarà un percorso molto doloroso: c’è da abbattere un debito pubblico di 95 miliardi di dollari, il 130% del Pil nazionale, in un paese divorato dalla corruzione e dove il 5% dei contribuenti produce il 50% del gettito d’imposta complessivo. Il piano di ristrutturazione è atteso per il mese di aprile. In quella circostanza dovrebbe risultare più chiaro in cosa si sostanzierà la disponibilità cinese a ridurre l’onere del debito.

SCARDINARE IL WASHINGTON CONSENSUS

Dall’evoluzione di questa vicenda oltre che da quella, simile nelle dinamiche, del salvataggio dello Zambia, si capirà come la Cina intende stare nel consesso internazionale e nell’assistenza ai paesi emergenti. Dopo aver spinto forsennatamente per includere il renminbi nel paniere dei Diritti Speciali di Prelievo del FMI, malgrado la ridotta convertibilità della sua divisa, ora Pechino cerca di scardinare l’ordine internazionale occidentale e volgere a proprio favore la pesantissima crisi debitoria dei paesi emergenti. Mentre sta già avanzando a larghe falcate in Sudamerica. Il tutto, ovviamente, dopo essersi messa in tasca la Russia come stato cliente e fornitore di materie prime.

Sono ragionevolmente certo che in Occidente, soprattutto in una delle sue parti più malcerte e sghembe (l’Italia) ci saranno non poche voci contrarie agli interventi dell’odiato FMI, l’affamatore di popoli. La propaganda cinese, come del resto quella russa, troverà nel nostro paese un panetto di burro in cui affondare una lama neppure scaldata.

  • Aggiornamento del 28 marzo: uno studio di nuova pubblicazione realizzato da Aid Data, World Bank, Harvard Kennedy School e Kiel Institute for the World Economy mostra che, tra il 2000 e il 2021, la Cina ha effettuato 128 operazioni di salvataggio in 22 paesi debitori, per un totale di 240 miliardi di dollari, nell’ambito dei finanziamenti per il programma Belt & Road. Interventi equivalenti a ben il 40% degli esborsi effettuati dal FMI nel triennio 2019-21. Non stupisce quindi la resistenza ad accettare haircut. Nello studio si evidenza in particolare l’intervento a mezzo di linee di swap, in cui cioè la Cina presta yuan al paese debitore, contro valuta locale.

Foto di moerschy da Pixabay

 




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