mercoledì 5 luglio 2023 - Giovanni Greto

Christian McBride’s New Jawn e Joey Alexander al Blue Note di Tokyo

Il rinomato locale giapponese sta lentamente reinvitando musicisti stranieri

 

Ricominciano ad esibirsi musicisti stranieri, non solo americani – il 4 giugno c’era il nostro Mario Biondi – al Blue Note di Tokyo.

Ho colto l’occasione di vedere l’affiatato quartetto del contrabbassista americano Christian McBride (Philadelphia, 1972), il New Jawn, che allinea due ottimi fiati – Josh Evans, tromba e Marcus Strickland, sax tenore e clarinetto basso – e un batterista ispirato e pirotecnico come Nashee Waits. Con questa formazione, McBride ha voluto liberarsi dal sostegno degli strumenti armonici, togliendoli completamente, per vedere quello che sarebbe successo.

Il risultato, per lo meno dal vivo, è stato entusiasmante. Tutti fanno lunghi assolo. La sezione ritmica non è più in un angolo, ma partecipa attivamente, tracciando un percorso seguito da ogni componente.

In circa settanta minuti sono stati eseguiti sei brani, bis compreso, i primi due tratti dal disco del 2018, che ha per titolo il nome del gruppo, gli altri quattro da “Prime”, di recente uscita.

Si inizia con Pier One Import, di Evans : dopo un riff di tromba e sax, un breve fraseggio solitario di Waits fa da lancio per il tema, in tempo afro-latin. Ecco quindi partire la cavata decisa del leader, sostenuta dalla batteria, sulla quale si inseriscono i fiati, prima di partire per gli assolo. La tromba, introspettiva all’inizio, diventa esplosiva, mentre basso e batteria la circondano di frasi, di colpi ad effetto. Il caldo suono del tenore, vagamente coltraniano, si insinua con circospezione, assecondato e stimolato da una ritmica inesausta. Ecco, se ci fossero stati il piano o la chitarra, certamente questo tipo di atmosfera grintosa non si sarebbe verificata. Gli assolo proseguono, con McBride assecondato da Waits, il quale più che accompagnarlo, lo affianca con creatività.

Grintosa, inizia in duo Ke-Kelli Sketch, di Waits. McBride ci dà dentro dall’alto verso il basso dello strumento, dopo aver adoperato l’archetto. La batteria si esprime con un lungo assolo; entrano gli altri e parte un 4/4 velocissimo e swingante, con sonorità free alla Mingus.

E’ la volta di Moonchild, ancora di Waits. Suoni soffiati dei fiati, il diteggiare in sottofondo del basso e un tappeto di tamburi, creano una sospensione in cui si insinua con la caratteristica sonorità calda, solo leggermente nasale, il clarinetto basso. Gli si affianca la tromba, per dar vita ad un tema intriso di tristezza, il fruscio delle spazzole, la pienezza delle corde del basso. Il tema prosegue con una specie di lamento melodico che ad un certo punto si placa.

Elettrizzante Prime, di Strickland. Un latin-jazz ben disegnato, con controtempi gustosi, che elettrizzano la platea.

Il set si conclude con The Good Life di Ornette Coleman, un brano dalle atmosfere caraibiche che riporta alla luce il Mood del grande Bandleader. Waits si costruisce un intenso assolo, ricordando Max Roach. Sono le atmosfere che piacciono a Sonny Rollins, e proprio al geniale sassofonista, classe 1930, il quartetto rende omaggio eseguendo come bis East Broadway Rundown. Su di una cadenza insistita del contrabbasso, i fiati, all’unisono, eseguono una breve frase, prima di lanciarsi nei solo (nell’ordine, tromba e sax tenore). Ma c’è spazio anche per il solo del leader e quindi del batterista che, in felice solitudine, scivola sui tamburi, rimuovendo ogni ostacolo, utilizzando o meno la cordiera dello Snare, finché il contrabbasso si intromette per richiamare gli altri al disegno del tema conclusivo.

Applausi e gioia nel volto dei giapponesi, non più timidi come un tempo, che si lasciano andare per manifestare il proprio gradimento.

Incuriosito, mi reco ad ascoltare, qualche giorno dopo, un giovanissimo pianista (scoprirò poi sul web che si tratta di un bambino prodigio) indonesiano, (25 giugno 2003), originario dell’isola di Bali, ma trasferitosi a New York, sostenuto nello studio da Wynton Marsalis, che ne intuì le doti. Da poco è uscito il suo ultimo CD, “Origin”, con un quintetto che allinea, tra gli altri, Chris Potter al Sax e Larry Grenadier al contrabbasso.

Minuto nel fisico, mentre il volto sembra quello di un bambino, Joey si presenta al Blue Note serio e deciso, alla maniera di un musicista consumato.

In effetti, avendo esordito a nove anni, lo si potrebbe considerare ormai un veterano del palcoscenico.

Accanto a lui suonano Kris Funn al contrabbasso e John Davis alla batteria. In scaletta ci sono solo tre brani su sette, tratti dall’ultimo album. Subito sciolto, fa capire alla platea che non dev’essere considerato un bambino prodigio, bensì un musicista capace, che sta cercando di realizzarsi, contemporaneamente alla crescita nella tecnica e nella scrittura.

Tra i brani non originali, sceglie di interpretare una composizione troppo spesso riproposta, Round Midnight, rischiando di scivolare in una sorta di romanticismo patinato, lontano dalle intenzioni dell’autore, Thelonious Monk.

Comunque il futuro è dalla sua parte e, grazie alle molte esibizioni con musicisti affermati, saprà capire in quale direzione andare.

In scaletta, tra i brani originali c’è Bali, presumibilmente un omaggio all’isola che gli ha dato i natali, che però si traduce in una canzoncina pop e niente di più ; meglio la scelta di Beatrice, di Sam Rivers, una bossa-afro molto cantabile, che ricorda qua e là ‘Footprints’, del compianto Wayne Shorter, un brano che proprio qualche anno fa Joey eseguì alla Casa Bianca, in trio con l’autore al sax soprano ed Esperanza Spalding al contrabbasso, durante la presidenza di Obama.

Alcune escursioni al Fender Rhodes e ad altri registri elettronici negli episodi funk sono apparsi meno felici, se non datati e perciò poco interessanti.

Il pubblico giapponese, come sempre gentile, lo applaude, intenerito dai tratti somatici e dalla sua educazione quando presenta, con candore, ciò che ha eseguito ed eseguirà.

Una cosa mi è parsa strana : ogni qualvolta il pianista presentava i suoi partners, nessuno dei due, come succede di solito, abbia in seguito indicato il suo nome, per fargli tributare un meritato applauso.

Foto per Joey Alexander trio: YUKA YAMAJI




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