venerdì 1 settembre 2017 - Giovanni Greto

Ches Smith, Craig Taborn, Mat Maneri : “The Bell” (VIDEO)

L’Auditorium mestrino affascinato dalla musica del trio, in esclusiva italiana per “Candiani Groove”.

L’ultimo appuntamento della programmazione jazzistica di “Candiani Groove”, all’auditorium del centro culturale mestrino, come sempre intelligentemente curata dall’Associazione culturale Caligola, ha attirato un pubblico attento, che probabilmente in buona parte già conosceva il disco “The Bell”, con il quale il percussionista di San Diego aveva esordito a suo nome per l’etichetta bavarese ECM, sempre più rivolta alla ricerca di nuovi talenti, oltre a mettere sotto contratto artisti affermati (un nome su tutti, Keith Jarrett).

Autodefinitasi, secondo uno slogan ambizioso, “il più bel suono vicino al silenzio”, l’etichetta di Manfred Eicher pubblica mensilmente un copioso numero di esemplari. Se da un lato, ognuno è perfettamente riconoscibile per una sonorità pulita, a tratti scintillante, dall’altro nelle recenti produzioni dedicate al Jazz sembra sempre di ascoltare lo stesso disco. E’ il caso degli ultimi lavori del trombettista Avishai Cohen (“Cross my Palm with Silver”), del chitarrista Ferenc Snetberger (“Titok”) e del pianista Aaron Parks (“Find the Way”). Gli artisti elencati sembrano obbedire alla richiesta di esprimere una comune idea romantica, languida, sviluppata in tempi lenti e medi, senza diversificazioni di sorta. Il risultato è che l’ascoltatore si annoia e fugge alla ricerca di qualche cosa di diverso.

Tutto questo non si è verificato con “The Bell”, un CD inciso nel giugno del 2015, ma pubblicato l’anno successivo. Nell’unica data italiana a Mestre il trio, composto, oltre che da Smith, da Craig Taborn al pianoforte e Mat Maneri alla viola, ha eseguito quattro nuove composizioni - anche se la prima, della durata che sfiora l’ora, potrebbe essere una Suite costituita da più brani o movimenti -, ancora senza titolo, da cui probabilmente uscirà il materiale per un nuovo disco. Il pubblico, quasi in religioso silenzio, è rimasto colpito, affascinato, in alcuni momenti scosso, dalla sonorità degli strumenti nei diversi episodi – in trio, in duo, in solo – felicemente sorpreso di ascoltare la viola, presente frequentemente nella musica classica e contemporanea, inserita in un contesto che sarebbe però riduttivo definire jazzistico.

Perché la musica di Ches Smith, presumendo che ancora una volta sia solo lui l’autore di questa seconda puntata, si può bene inserire all’interno di quella musica contemporanea fatta di creatività ed improvvisazione. Smith sorprende come sempre, a qualsiasi progetto partecipi, per la capacità di interpretare differenti tipi di musica nella maniera più pertinente, facendone risaltare quel particolare carattere. Come in “The Bell”, oltre alla batteria ha percosso un timpano e un vibrafono, il primo con la mano destra, il secondo con la sinistra, con levità e rilassatezza, accanto ad una perfetta indipendenza ritmica. Sei i piatti utilizzati, oltre all’Hi-Hat o Charleston, sul quale ha costruito delle interessanti, nuove e fresche rullatine. Ampia altresì la scelta delle bacchette – quelle consuete per batteria con la punta ad oliva, quelle feltrate (“Mallets”), le spazzole – per dare colore ad una musica viva. Si potrebbe pensare ad una musica delle tenebre – per l’utilizzo del suono grave del timpano – ed inquietante – quando con l’archetto che striscia i piatti Smith, fa uscire delle sonorità stridenti che fanno rabbrividire e che possono provocare l’effetto “pelle d’oca.

A volte semplici frasi si ripetono lungamente, provocando una specie di ossessione. La viola che inizia il secondo brano consente a Maneri di mettere in mostra non solo la bravura tecnica, ma anche una feconda vena improvvisativa. Suoni delicati, sottovoce, si affiancano a graffianti grida nel buio. Taborn, sovente dall’andatura classicheggiante, riesce con pochi tocchi ad indirizzare i colleghi verso la lettura più adatta per quel determinato brano. Silenzi o frasi delicate si alternano ad infuocate improvvisazioni contemporanee.

Spesso, la musica del trio consente all’ascoltatore di guardarsi dentro, di riflettere su cosa in quel periodo gli sta succedendo, di vedere i timori che lo turbano, così da porsi come aiuto per cercare di rimuoverli, di superarli. Ottime le dinamiche. Ogni brano sale e scende di intensità e rimane a lungo nelle orecchie e nell’animo di chi ascolta. Piccoli tocchi, di volta in volta diversi, bastano per arricchirlo. Ci vuole poco per rendere viva una scrittura : un silenzio, un suono, un accento, collocati nel modo giusto al momento giusto, fanno volare il brano verso una sana tensione emotiva.




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