venerdì 26 febbraio 2021 - UAAR - A ragion veduta

Cervello umano, false credenze e negazionismo

“…Ma l’opinione comune del popolo volle ostinatamente piuttosto credere essere la vociferata pestilenza un’artificiosa invenzione de’ medici per acquistar lucro, anzi che esaminare e chiarire il fatto. Era forse una tal diffidenza l’effetto della lunga serie d’inganni sofferti dalla classe superiore. Inutilmente i medici più istruiti divulgavano le prove degli ammalati che avevano veduti morire di pestilenza, che la plebe sempre li risguardava come autori di una malignamente immaginata diceria….” (Paolo Verri, 1769 – Osservazioni sulla tortura e singolarmente sugli effetti che produsse all’occasione delle unzioni malefiche alle quali si attribuì̀ la pestilenza che devastò Milano l’anno 1630).

Il negazionismo non nasce certo con la pandemia causata dal SARS-CoV-2. Già in occasione della peste del 1630 a Milano e ancora durante la pandemia di influenza spagnola, che causò tra 50 e 100 milioni di vittime tra i 1918 e il 1920, erano diffuse idee che attribuivano la malattia a untori, ai medici o al governo tedesco attraverso la diffusione dell’aspirina. La storia si ripete. Che nel XVII secolo le teorie complottistiche avessero successo ce lo spieghiamo facilmente, un po’ meno all’inizio del secolo scorso. Ma come è possibile che, nell’epoca della diffusione delle notizie in tempo reale, nell’epoca di scoperte scientifiche fino a pochi decenni fa impensabili, certe convinzioni facciano ancora tanta presa sull’opinione pubblica? Possiamo tentare di dare alcune spiegazioni che si basano sulla conoscenza del funzionamento del cervello umano.

Come ci spiegano Vallortigara, Pievani e Girotti in Nati per Credere (Codice, 2008) il nostro cervello tende ad attribuire intenzionalità a ciò che osserva e questo è particolarmente evidente nelle prime fasi dello sviluppo individuale (nei bambini) e nelle culture primordiali (religioni animiste), pur essendo una caratteristica che accompagna ognuno di noi nella vita di tutti i giorni. Se chiedessimo in giro quale sia la funzione delle nuvole, la maggior parte delle persone risponderebbe con sicurezza che esse servono affinché possa piovere. La risposta è sbagliata. Le nuvole non hanno uno scopo. Le nuvole esistono per il verificarsi di una serie di eventi casuali per cui l’acqua evapora, si condensa e successivamente forma le gocce di pioggia. Allo stesso modo possiamo affermare che gli occhi non servono perché possiamo vedere, ma che vediamo perché possediamo gli occhi, sviluppatisi casualmente durante i processi evolutivi. Per lo stesso meccanismo, l’idea che l’attuale pandemia possa essersi sviluppata per caso è di difficile accettazione per alcune persone, piuttosto è più semplice credere che dietro ci sia qualcuno o qualcosa che la abbia scatenata. Se le dieci piaghe d’Egitto (non ci importa in questo contesto che si tratti di storia o leggenda) furono la conseguenza dell’ira della divinità, le epidemie più recenti sono responsabilità dei “poteri forti” che intendono controllare le nostre vite, instaurando una dittatura sanitaria.

Un’altra interessante spiegazione ce la fornisce la conoscenza di alcuni meccanismi neurali che stanno alla base delle false credenze. Nel dicembre del 2020, su Jama, una delle riviste scientifiche più autorevoli, è stato pubblicato un editoriale a firma di Bruce Miller, neuro-scienziato della Università della California, che chiarisce alcuni aspetti di questo fenomeno. Miller spiega che nel nostro cervello ci sono alcune aree che ricevono le informazioni e le elaborano (la corteccia retrospleniale ha la funzione del riconoscimento di volti familiari) e altre che hanno la complessa funzione di monitorare le informazioni e giudicarne la verosimiglianza (la corteccia del lobo frontale). In alcune forme di demenza, in cui queste aree non funzionano correttamente, è possibile che i pazienti sviluppino false credenze, altrimenti detti deliri. Un paziente affetto da demenza potrebbe pertanto non riconoscere il volto del coniuge e sviluppare la falsa idea che sia stato sostituito da un impostore.

Il lobo frontale è l’area cerebrale che nell’essere umano ha raggiunto il massimo sviluppo evolutivo e che è responsabile di una serie di funzioni particolarmente elaborate, che sono quelle che ci distinguono dal resto del mondo animale. Secondo il principio che l’ontogenesi ricapitola la filogenesi, il lobo frontale umano è una delle aree cerebrali che si sviluppa più tardivamente nei singoli individui. Come è noto, il grado di maturazione individuale e di complessità delle strutture cerebrali e delle loro funzioni dipende in gran parte dall’esperienza e dall’educazione. L’idea è che, se ad un soggetto che non ha ricevuto una educazione (scientifica) adeguata si presentano dati di difficile interpretazione (grafici, curve, indici di contagiosità), questo tende a non riconoscerli come verosimili e a trovare altrove le possibili spiegazioni del fenomeno. Una mente razionale e “scientifica”, invece, trova più logico pensare che un virus possa, per una mutazione casuale, effettuare il salto di specie (spillover). Questo ragionamento può spiegare il fenomeno della negazione della casualità della pandemia, così come la negazione del reale rischio della stessa o ancora l’idea che terapie realmente efficaci siano “occultate” dai governi e dalle multinazionali perché poco costose a fronte di altre meno efficaci ma potenziali fonti di guadagni colossali. Da ultimo, l’idea che i vaccini siano addirittura piú pericolosi dell’infezione. Quest’ultima idea ha una storia che val la pena di essere ricordata: nel 1998 The Lancet pubblica un articolo che mette in relazione alcuni vaccini con certe patologie, tra cui l’autismo. Nonostante l’articolo sia stato ritirato e l’autore accusato di aver incassato denaro da avvocati che sostenevano cause contro le aziende produttrici dei vaccini, l’idea dell’associazione tra vaccini e autismo è rimasta viva nell’opinione comune.

I meccanismi fin qui descritti hanno in comune l’idea che il cervello umano sia fisiologicamente incline a farci fraintendere la realtà. Ma, se le false credenze sono un fenomeno fisiologico, dobbiamo chiederci come mai alcune persone tendono a negare le evidenze mentre altre no. Miller, nel suo editoriale, cita un lavoro effettuato su un numero cospicuo di soggetti americani (9654 intervistati), da cui è emerso che il 48% di quelli che avevano dal diploma di scuola superiore in giù credevano in una qualche forma di teoria complottistica relativa alla attuale pandemia, contro il 15% di chi possedeva una laurea (a un titolo superiore). L’istruzione ha quindi un ruolo fondamentale. Miller scrive: «Rather than engaging with information that is difficult to “see” and that may require changes in behavior, it may be easier to take in data that are simple and reassuring». In effetti, modificare i propri comportamenti o le proprie idee radicate, comporta uno sforzo che risulta antieconomico per il cervello in termini metabolici. Questo può spiegarci perché, al di là di chi cavalca il negazionismo a fini propagandistici, anche persone con una cultura scientifica adeguata possono avere delle difficoltà ad accettare idee che necessitano di un ragionamento non immediatamente intuitivo.

Bisogna pertanto che la comunità scientifica faccia uno sforzo importante per riuscire a comunicare le informazioni, mostrando quello che la ricerca scientifica effettivamente è: un processo di conoscenza dei fatti, che procede con metodi rigorosi per ipotesi e verifiche, basate su dati oggettivi. Il ricercatore deve essere sempre pronto a mettere in dubbio le proprie idee e ipotesi, per non trasformare la ricerca scientifica in una ulteriore religione. Se la gente avesse questa idea della ricerca, probabilmente sarebbe più incline ad ascoltare con fiducia i ricercatori, ma se questi non avranno la capacità di comunicare le informazioni in modo universalmente comprensibile sarà difficile colmare questa distanza.

Tommaso Piccoli

 




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