mercoledì 24 novembre 2021 - Phastidio

Certificati online, un passo verso il remoto

Un grande progresso verso l'interoperabilità delle banche dati pubbliche. Ma anche verso la riduzione della necessità di presenza negli uffici pubblici.

di Luigi Oliveri

Egregio Titolare,

dunque finalmente i cittadini potranno ottenere i certificati on line, direttamente dal portale anagrafenazionale.interno.it, nel quale si trova l’Anagrafe Nazionale Popolazione Residente (Anpr), nella sezione “Accedi a Servizi al cittadino”.

Come dice, Titolare? A che serve il portale? Lo spiega il Viminale, accedendo alle notizie pubblicate sul portale stesso: “A partire dal 15 novembre, sarà possibile scaricare online, gratuitamente e in maniera autonoma, 14 tipologie di certificati (nascita, stato di famiglia, residenza, matrimonio…), per sé o per un componente della propria famiglia anagrafica, accedendo al portale con l’identità digitale (SPID, CIE o CNS), senza bisogno di recarsi allo sportello”.

Fantastico. La digitalizzazione fa i suoi notevoli progressi e consente, quindi, a ciascun cittadino di ottenere il suo bel certificato anagrafico da un unico punto d’accesso telematico, perché quasi tutti i circa 8.000 comuni italiani si sono decisi a condividere i dati in un unico database.

La notizia non può che allietare: sebbene con decenni di ritardo rispetto a banche, assicurazioni ed imprese dedite all’e-commerce, la PA si butta nell’oceano digitale per erogare prodotti (in questo caso, certificati) direttamente on line.

C’è, allora, qualcosa che non va? In realtà, a parte l’imperdonabile ritardo con cui si giunge a questo traguardo, nulla. Tuttavia, Titolare, alcune considerazioni non possono che essere evidenziate, specie perché il trionfalismo con il quale i media hanno accolto il portale appare francamente eccessivo.

Quel che, ancora una volta, è difficile reperire nelle iniziative governative è la coerenza. Il portale Anpr, in effetti, appare una tra le molte, troppe iniziative elaborate senza che a monte vi sia una coordinata azione, tale da mettere insieme ed omogeneizzare norme, principi e prassi.

C’era una volta un ministro, anzi c’è ancora

Andiamo con ordine. Su La Repubblica del 26 settembre 2011, l’allora Ministro della Funzione Pubblica, tuona contro “i certificati “inutili””, che quindi “dovrebbero essere eliminati completamente e sostituiti con autocertificazioni, mentre le certificazioni rilasciate dalla PA resteranno valide solo nei rapporti tra privati”.

Erano dichiarazioni dedicate all’iniziativa normativa che avrebbe portato alla cosiddetta “decertificazione”, cioè eliminazione della necessità dei certificati nei rapporti dei cittadini con la PA e che sfociò nell’articolo 15 della legge 183/2011.

Il 14 novembre 2021, 10 anni dopo, l’attuale Ministro della Funzione Pubblica commenta il portale Anpr così:

Il primo certificato anagrafico digitale è stato scaricato stamane dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. È un atto simbolico: oggi si raccolgono i frutti di anni di lavoro, nel segno della digitalizzazione e della semplificazione. Un passo avanti per l’intera comunità nazionale, possibile grazie alla proficua collaborazione interministeriale tra Interno, Funzione pubblica e Innovazione tecnologica, che supera l’epoca dei certificati cartacei…

Il Ministro in questione era lo stesso 10 anni fa ed oggi. Nel frattempo, come si constata, molta acqua è passata sotto i ponti: i certificati non sono più inutili ed, anzi, si elabora una piattaforma per la loro autoproduzione digitale.

Niente certificati alla PA

Si ribadisce: ottima cosa. Ma per decenni si è, correttamente, teorizzato che i certificati, appunto, non fossero più necessari e che dovessero essere sostituiti dalle “autocertificazioni” (come previsto dal DPR 445/2000), considerate come strumento principale della “semplificazione”.

Talmente intenso fu il tentativo del Legislatore e dei Governi di puntare sulle autodichiarazioni e sulla riduzione dei certificati come strumento di liberazione dall’oppressione burocratica della PA, che proprio la legge 183/2011, col suo già ricordato articolo 11 stabilì (e tutt’ora dispone) che:

  1. Nei rapporti con gli organi della pubblica amministrazione e i gestori di pubblici servizi i certificati e gli atti di notorietà sono sempre sostituiti dalle dichiarazioni di cui agli articoli 46 e 47” (cioè dalle autocertificazioni).
  2. Sulle certificazioni da produrre ai soggetti privati è apposta, a pena di nullità, la dicitura:”Il presente certificato non può essere prodotto agli organi della pubblica amministrazione o ai privati gestori di pubblici servizi.

In sostanza, nel 2011 si è introdotto il divieto, nell’ordinamento, alle PA di produrre certificati da destinare ad altre PA (e soggetti, anche privati, gestori di servizi pubblici, come società partecipate), tanto da disporre la nullità del certificato stesso e prevedere anche sanzioni nei confronti dei dipendenti pubblici recalcitranti.

Il vento, 10 anni dopo, evidentemente è cambiato, tanto che appunto adesso si punta sulla possibilità attribuita a ciascun cittadino di procurarsi da sé il certificato, tramite il portale Anpr.

È da precisare, Titolare, che i certificati che questi pixel hanno scaricato per testare il sistema non dispongono della dicitura richiesta dalla legge a pena di nullità, richiamata sopra. Un’abolizione implicita delle norme viste prima? Una chiave di lettura non rigoristica e non burocratica consiglia di sì, ma sarebbe molto meglio se si intervenisse normativamente per chiarirlo, sgomberando ogni incertezza.

Autocertificazioni telematiche

A ben vedere, il nuovo portale rende praticamente inutile per i cittadini elaborare autocertificazioni al posto dei certificati anagrafici che è possibile produrre direttamente in via telematica. Ed avrebbe un senso eliminare, per i certificati prodotti in tal modo, il divieto di esibirli alle pubbliche amministrazioni.

D’altra parte, il medesimo portale Anpr consente anche di produrre un’autocertificazione sostitutiva di alcuni dei certificati anagrafici e, in particolare, nascita, residenza, cittadinanza, stato civile, famiglia anagrafica e la mitica “esistenza in vita”. Dal che si può dedurre che i cittadini possono avvalersi del sistema on line per presentare alle PA le autocertificazioni, invece dei certificati.

Nessuno, però, spiega, sul portale, in modo comprensibile che sia opportuno presentare alle PA un’autocertificazione invece di un certificato, né il cittadino medio ha ovviamente modo di sapere che la normativa in effetti, nonostante l’Anpr, vieta di presentare certificati alle PA.

In effetti, il vero valore aggiunto del sistema sta nell’ultima parte della dichiarazione resa alla stampa dall’inquilino di Palazzo Vidoni: il portale “supera l’epoca dei certificati cartacei, dei bolli e delle code agli sportelli, metafora classica della burocrazia inutilmente vessatoria”.

Via, quindi, le “scartoffie”, i timbri, gli inchiostri, le mezze maniche, la carta (ed è certo, questa, una bella cosa). Il portale Anpr, nell’illustrare i vantaggi del progetto aggiunge: “l’interoperabilità tra Enti, consente al Cittadino di non dover comunicare ad ogni ufficio della Pubblica Amministrazione i suoi dati anagrafici o il cambio di residenza”.

Le banche dati si parlano, finalmente

L’Anpr appare, in effetti, un passo, ma sostanzialmente uno dei primissimi, verso la vera innovazione: l’interoperabilità delle banche dati.

Il progetto ha il pregio di aver connesso i dati di migliaia di amministrazioni, innescando il dialogo tra le PA, senza il quale nessuna vera digitalizzazione sarà mai possibile, se intesa come semplificazione procedurale e di accesso ai dati ed applicazione del cosiddetto principio once only, cioè il divieto alle PA di chiedere ai cittadini dati dei quali sia già in possesso.

L’Anpr, sulla base di futuri accordi tra amministrazioni (ma, perché non prevedere un obbligo ex lege?), permetterà alle amministrazioni stesse di accedere ai dati anagrafici, così rendendo più semplice ed immediate le verifiche sulla veridicità delle autocertificazioni ed i controlli preliminari al rilascio di benefici (si veda il problema del Reddito di Cittadinanza, no, Titolare?).

Riuscire davvero nell’impresa del dialogo tra banche dati consentirà realmente di modificare radicalmente i processi di gestione delle attività amministrative in una logica digitale, che non è la semplice informatizzazione dei passaggi burocratici, ma una loro totale reingegnerizzazione.

Tutto da remoto. O quasi

Che passerà anche, come avvenuto per banche, assicurazioni, servizi immobiliari e di consulenza finanziaria e per tutto l’e-commerce, per l’erogazione prevalente se non esclusiva da remoto.

Sì, come evidenziato dal Ministro della Funzione Pubblica, i cittadini potranno fare a meno sempre più di immettersi nel traffico, perdere ore di lavoro e attendere in fila agli sportelli. Resta, allora, da capire perché, se il futuro, che si comincia a vedere, dei servizi della PA è l’on line e l’erogazione da remoto, sia stata indetta la crociata contro lo smart working, che non può non essere l’altra faccia della medaglia della digitalizzazione e remotizzazione dei servizi.




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