venerdì 13 dicembre 2019 - YouTrend

Censis: 2009-2019, il decennio delle “non decisioni”

L’ultimo Rapporto del Censis dipinge un’Italia dominata, negli ultimi dieci anni, dalla capacità di non decidere. Perché?

di Dario Romano

È uscito il 6 dicembre, come ogni anno, il nuovo Rapporto del Censis sulla situazione sociale nel nostro Paese. Nel Rapporto viene delineato un interessante spaccato di una società dove si intersecano temi economici, sociali, politici e demografici, in un’analisi piena di significati e di moniti per la classe dirigente attuale e per quella che, un domani, prenderà le redini. Tra i vari temi oggetto di approfondimento, in questo articolo ci soffermeremo su tre aspetti che sono tra loro intrecciati: politica, media e Unione Europea.

Tra i dati che hanno fatto più scalpore, parlando di politica, ce n’è uno che fa riflettere molto: la totale sfiducia nella politica e nei partiti (è così per il 76% degli italiani). Tale crisi si riflette poi, a cascata, su un’altra crisi, quella del consenso, che è diventato molto più liquido e meno legato a partiti, valori e ideologie. Si fa strada così l’idea che una persona possa e debba risolvere tutto, anche con l’uso della forza: il 48% degli italiani, e tra questi la maggior parte sono soggetti meno istruiti e con redditi bassi, ritiene che ci vorrebbe un “uomo forte” a governare, senza tener conto o preoccuparsi né del ruolo del Parlamento né di elezioni democratiche. Questo è un segnale molto importante, nonché un indicatore di cui la politica, nei prossimi anni, dovrà tenere assolutamente conto.

Italiani favorevoli a un “uomo forte” al potere che non debba preoccuparsi di Parlamento ed elezioni

Quanto riportato prima ha avuto, come primo effetto in questi anni, una personalizzazione portata all’eccesso da parte dei leader politici. Questa, però, invece di fidelizzare e avvicinare alla politica pezzi di società civile esclusa dal dibattito, ha prodotto l’effetto inverso: distruggere lentamente e delegittimare l’immagine delle istituzioni che i leader rappresentano. Questo è avvenuto sia a livello locale, dove un Sindaco può venire contestato sui social da persone che non dispongono di competenze o capacità critiche per ogni singola azione che un primo cittadino pone in essere, sia soprattutto a livello nazionale, dove i nostri leader hanno abbassato il livello di distinzione tra popolo e istituzioni al punto da creare questo corto circuito sociologico.

Se poi entriamo nel merito dei temi di cui la politica si dovrebbe occupare, ci possiamo sorprendere di come l’argomento preponderante non sia l’immigrazione e tutto ciò che è collegato ad essa. I problemi principali, a detta degli italiani, riguardano la disoccupazione e la situazione economica, ma – cosa assai più curiosa – questa valutazione non è in alcun modo condivisa dai cittadini degli altri Stati dell’Unione Europea, i quali mettono ai primi posti, relativamente agli argomenti di cui preoccuparsi, l’ambiente e la sanità.

Le questioni più importanti che il Paese deve affrontare: un confronto tra Italia e UE, 2019

Tra gli elementi di cui, invece, si dovrebbe occupare un politico di alto profilo, ai primi posti ci sono il futuro, i giovani, le nuove generazioni e la dimensione economica del Paese (lavoro, economia, occupazione). Questa valutazione è condivisa da circa l’85% degli intervistati, suddivisi per classi di età: ai più giovani corrisponde maggiore attenzione all’economia, mentre le persone più grandi invece privilegiano l’idea di lasciare un mondo migliore alle nuove leve.

L’interesse verso gli argomenti della politica, poi, è strettamente legato al modo in cui ci si informa e alla credibilità delle fonti di informazione: la capacità di raccontare, il pensiero critico, la completezza e la serenità di giudizio, stando alla rilevazione del Censis, non sono assolutamente doti che solo un giornalista può offrire al lettore. Quasi 4 cittadini su 5 con redditi sopra 30.000 € annui pensano infatti che non sia così: ciò è probabilmente derivante da una situazione reddituale e di istruzione favorevole, che permette, a chi legge su internet, di percepire e valutare al meglio i singoli avvenimenti senza il “filtro” di un cronista o di un professionista dei media. Anche in questo caso emerge dunque lo sfilacciamento tra istituzioni (in questo caso il giornale, il media di riferimento, il web) e popolo (il lettore).

È strano che questo dato, invece, vada in controtendenza quando si parla di Europa. La maggior parte degli italiani, infatti, è contraria a uscire dall’Unione Europea, e 6 su italiani su 10 pensano che tornare alla lira sarebbe un errore. Quindi, leggendo i dati, emerge una fiducia nelle istituzioni europee, ultimo rifugio e certezza in questi tempi socialmente ed economicamente instabili. Entrando nel merito delle valutazioni e segmentando per classe sociale le opinioni sull’Europa, si vede chiaramente che sono le persone disoccupate ad avere maggior sfiducia in Bruxelles.

“Bisogna uscire dall’euro e tornare alla lira”

“Bisogna uscire dall’UE e tornare alla sovranità nazionale”

“La UE deve restare, ma vanno riattivati i confini con le dogane anche tra i Paesi UE”

 



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