martedì 2 maggio 2017 - UAAR - A ragion veduta

Catania, 17enne pestato per commento su Sant’Agata: vittime dell’amore estremista

Durante la messa celebrata nell’Air Defense Stadium, a Il Cairo, nella seconda e ultima giornata del suo viaggio pastorale in Egitto, papa Bergoglio ha pronunciato parole di condanna contro l’estremismo

«L’unico estremismo ammesso per i credenti è quello della carità» ha detto, ma anche che «è meglio non credere che essere un falso credente», giusto per ribadire tra le righe il concetto che il credente è a un livello superiore, e che «la vera fede è quella che ci porta a proteggere i diritti degli altri», il che suona come minimo beffardo al pensiero di quanti diritti vengono costantemente negati proprio dalle istituzioni religiose e non solo ai propri adepti. Ma fermiamoci alla prima dichiarazione: al netto del riferimento religioso si tratta di un’affermazione di principio che può essere fatta propria da chiunque. Chi mai potrebbe mettere in discussione che qualunque forma di estremismo in senso negativo è da condannare, mentre forme positive intese nel senso di “eccesso di bene” sono al contrario encomiabili? Semmai, poiché non può ovviamente esistere una distinzione netta tra le varie manifestazioni, il problema sta nello stabilire se una particolare azione o espressione è più o meno estrema, più o meno condannabile.

Un caso emblematico è quello che ha avuto inizio con un commento su Facebook condiviso il 22 gennaio scorso, nel pieno dei preparativi per la festa patronale di S. Agata, da un diciassettenne catanese. Si trattava della parafrasi di un capitolo del libro dei salmi contro l’idolatria applicato alla santa in questione, quindi critico verso l’adorazione del simulacro. Da quel momento il giovane è stato preso di mira dagli ultrà agatini inizialmente sullo stesso social network, con esplicite minacce di morte per aver osato offendere “Sant’Aita”, e in seguito anche nel mondo reale tanto che ha deciso di assentarsi da scuola per un mese intero, per poi tornare a seguire le lezioni ma rimanendo in condizione di emarginato. Ha pure cercato di metterci una pezza chiedendo pubblicamente scusa, coadiuvato in questo dalla madre, ma a nulla è valso perché il primo aprile il ragazzo, mentre passeggiava in un parco pubblico del centro con delle amiche, è stato individuato e picchiato da un gruppo di almeno cinque persone al punto di dover ricorrere alle cure dei sanitari. La storia è stata poi raccontata dalla madre del ragazzo alla trasmissione televisiva Chi l’ha visto (servizio al minuto 10.13 del link).

Una vicenda assurda il cui filo conduttore è proprio quell’estremismo verso cui puntava il dito il papa in Egitto, anche se in questo caso non si parla di attentati e non ci sono islamisti nella parte dei carnefici. Ci sono dei cristiani. Cristiani che magari preferiscono un papa in versione pugilistica come quello pronto a difendere la reputazione della madre a suon di cazzotti. Anzi, non magari, sicuramente lo preferiscono visto che quello che hanno fatto è esattamente ricorrere ai pugni per lavare l’onta di un’offesa. Diventa difficile a questo punto inquadrare questi integralisti nella categoria dei “falsi credenti” di cui parlava il papa, perché anche volendo tralasciare l’esortazione papale alla difesa violenta rimane sempre il fatto che credenti lo sono. Credono nella santa, credono certamente anche in Dio, la loro non è una fede di facciata. La loro è una fede vera, con buona pace del papa che vorrebbe riservare quest’aggettivo alla fede che “rende più caritatevoli, più misericordiosi, più onesti e più umani”.

Ma ad elevare ulteriormente il livello di assurdità, come se non ce ne fosse già abbastanza, ci ha pensato nientemeno che il parroco della Cattedrale di Catania Barbaro Scionti con le dichiarazioni rilasciate alla WebTv L’indiscreto. Da una parte la tanto retorica quanto doverosa condanna alla violenza, dall’altra l’amore e la devozione elevate incredibilmente al rango di attenuanti, se non addirittura di condivisibili ragioni per giustificare l’impulso alla vendetta per ciò che viene percepita come un’offesa verso l’oggetto della propria fede. «Quando si ama troppo si può andare fuori strada», osserva il parroco. E qui la chiave di lettura sta in quel “si può”. No, non è ammissibile nemmeno il pensiero che una simile reazione sia possibile. Non deve essere possibile, non può essere concepita quale possibile. Dev’essere etichettata per quella che è: un’eclissi di umanità, una sopraffazione della ragione da parte di istinti primordiali. E non c’è “fraintendimento”, per continuare a usare la terminologia del parroco, che possa giustificare l’incapacità di controllare i propri istinti.

Se tanto mi dà tanto, anche gli atti di violenza contro le donne potrebbero essere benissimo giustificati allo stesso modo, fino all’estremo atto del femminicidio. E in effetti non sarebbe nemmeno una novità, molti lo hanno sostenuto e qualcuno continua a farlo. Non è forse vero che anche questo genere di violenza è frutto di un sentimento di amore ossessivo? Un amore che paradossalmente sfocia nell’odio, come in un circuito chiuso dove procedendo in una direzione si finisce a un certo punto per ritrovarsi all’estremo opposto. Meglio allora diffidare da chi propaganda la propria fede come “religione dell’amore”, visto che a quanto pare alla fine anche questo tipo di amore può diventare molesto e violento. Meglio ancora non credere, come ha pure detto il papa in Egitto sebbene come iperbole, che almeno in mancanza di figure che possano diventare oggetto di ossessione amorosa/odiosa si abbassa il rischio di arrivare ad atti estremi come quello di Catania.

Massimo Maiurana




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