mercoledì 16 settembre 2015 - Carcere Verità

Carcere di Prato: versioni contraddittorie, nelle dichiarazioni della polizia. Alla ricerca della verità più plausibile, per giustificare le botte

Facciamo un salto avanti e lasciamo il 2011, anno delle registrazioni di Parma, per vedere cosa avveniva nell’aprile del 2014, poco più di un anno fa, nel carcere di Prato.

A parlare sempre di Parma, sembra che le violenze e l’omertà siano un carattere distintivo di quel carcere. Ma non è affatto così.

Le carceri ripropongono violazioni sempre uguali e basterebbe la ripetitività e la somiglianza tra i fatti, a dimostrare che sono vere, senza dover pedissequamente registrare ogni singolo colloquio. E soprattutto riguardano tanti detenuti, che non hanno il coraggio di parlare.

Pubblicare questi documenti, spero dia il coraggio a chi si è trovato in situazioni simili, di denunciare.

Il 15 aprile del 2014, Rachid subiva un’aggressione nel carcere di Prato, che lui denunciò tre mesi dopo, a Firenze, con un fogliettino manoscritto da un altro detenuto e da lui firmato. Premetto che non ci sono registrazioni che ci dimostrino come si siano svolti i fatti, ma solo documenti prodotti dallo stesso corpo di polizia penitenziaria. Questi documenti dimostrano che il miglior modo di “incastrarli” è farli parlare (o scrivere), perché, poco abituati come sono, a dimostrare la loro versione dei fatti, cadono subito in contraddizione.

Questo è ciò che venne recapitato a Rachid, a chiusura delle indagini:

chiusuraindagini

Ho coperto i nomi degli interessati, ma l’importante è il racconto: pulito, senza imprecisioni. Tutte le carte sull’Assarag, descrivono un soggetto violento e polemico: non vuole rientrare in cella, insulta pesantemente, denuncia e si lamenta per ogni piccolezza. Quale giudice avrebbe il coraggio di mettere in dubbio un racconto così semplice e realistico, considerando il soggetto in questione? Nessuno.

Ma la cosa divertente è ciò che è avvenuto prima della chiusura delle indagini.

Il 14 aprile 2014 Rachid dice di essere stato aggredito (per ragioni di cui si parlerà al processo). Mentre la polizia, serafica, confeziona una bella spiegazione, che gira tutta intorno ad una forbicina non consentita, che Rachid avrebbe avuto in cella e con la quale avrebbe tentato di aggredire dei poliziotti, che a loro volta lo avrebbero immobilizzato per disarmarlo.

A tal proposito, il 15 Aprile si affrettano a sequestrare la forbicina in questione (o a riesumarla dal magazzino, in cui era stata conservata da tempo, proprio perché non consentita) e a scrivere il verbale:

“L’anno 2014, addì 15 del mese di Aprile, alle ore 10.00, negli uffici in intestazione (Prato)……..procedono al sequestro del seguente oggetto costituente corpo del reato o pertinente al reato, ritenuto necessario per l’accertamento dei fatti:

N. 1 forbicina in acciaio della lunghezza di cm 9.5, appuntita all’estremità, del tipo di cui non è consentito il possesso alla popolazione detenuta. All’uopo sono stati eseguiti i rilievi fotografici di cui all’allegato verbale”

Rachid, giustamente rifiutò di firmarlo, chiamandosi fuori dalla giostrina costruita dalla polizia.

La forbicina era indicata come “corpo di reato”, allora perché alla chiusura indagini sparì completamente?

Ma perché tra il 15 Aprile 2014 e la chiusura delle indagini, l’8 Maggio, ci fu la mia visita in carcere, tre giorni dopo il fatto, quando vidi su Rachid ancora il sangue, che lui per protesta aveva deciso di non lavarsi.

Mentre eravamo ancora in carcere, accusai apertamente la polizia di averlo picchiato e poi, una volta fuori, mi affrettai a scrivere una mail all’avvocato, in cui gli descrivevo in che stato avevo trovato la sua faccia:

“… ha scostato la benda che copriva l’occhio e ho visto che il bulbo oculare è completamente rosso di sangue; sul sopracciglio ha una ferita da cui deve essere uscito molto sangue, perchè gli ha creato un rivolo denso che dal sopracciglio scende fino alla barba. Le mani sono ancora sporche di sangue rappreso.

Oltre a questi segni evidenti, mi ha detto di aver avuto la mascella bloccata per alcuni giorni (per questo gli è stata fatta una TAC). Gli hanno messo le mani al collo, come per strozzarlo e in effetti ha un livido sulla gola. Questi lividi ora sono leggeri, perché dopo tre giorni hanno cominciato a riassorbirsi.”

Una serie di segni che non ci sarebbero stati, se i poliziotti avessero solo cercato di disarmarlo.

A questo punto, era molto meglio togliere di mezzo la forbicina e dire che L’Assarag, soggetto indisciplinato, violento e polemico, aveva tentato di tirare una testata all’agente in servizio.

Ringrazio di cuore la polizia di Prato, perché con il loro lavoro, ci ha dato una bella mano. Continuate così ragazzi!




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