venerdì 5 gennaio 2018 - Massimiliano Paoli

Capaci di tutto

22 maggio 1992. A Catania la moglie di un agente di polizia si sta intrattenendo con lo scanner del marito: una ricetrasmittente che ha come funzione principale quella di mantenere in contatto il personale di polizia con la centrale.

Manipolando le frequenze, la donna, sente pronunciare da due uomini le seguenti parole: «Lo facciamo oggi ?», chiede uno dei due uomini “intercettati”, «Si lo facciamo oggi… stasera lui arriva con sua moglie», risponde l’altro interlocutore.

«Lui», è Giovanni Falcone, un uomo che non ha certo bisogno di presentazioni; il giorno invece, come già accennato sopra, è il 22 maggio, la vigilia della strage di Capaci.

Piccolo flashback.

19 maggio, ore 11. La segretaria di Giovanni Falcone, la Signora Carraturo, telefona al vice Direttore della Divisione Sicurezza del SISDE per prenotare il volo CAI (Compagnia Aereonautica Italiana) che doveva portare Falcone a Palermo proprio quel 22 maggio, giorno in cui, sempre a detta dei due uomini “intercettati”, gli avrebbero dovuto far «saltare le palle».

«Le palle» invece salteranno il giorno successivo, perché sempre quel famigerato 22 maggio, alle 9:45 del mattino, il Dottor Lorenzini del SISDE riceve una telefonata dallo stesso Falcone per posticipare il suo arrivo nel capoluogo siciliano alle 17 del giorno seguente, il giorno della strage.

A nemmeno tre ore di distanza dalla telefonata fatta dal Giudice palermitano al vice Direttore Lorenzini, proprio sopra il cunicolo riempito d’esplosivo dagli uomini di Cosa Nostra un paio di settimane prima, vengono notati a livello del manto autostradale degli “operai” con tute dell’Anas che avevano a disposizione un Ducato bianco. “Stendevano cavi”, dirà il testimone Francesco Naselli Flores, cognato di Carlo Alberto Dalla Chiesa. “Due cantieri”, dirà l’ex procuratore aggiunto della Direzione Nazionale Antimafia Gianfranco Donadio: uno gestito da Cosa Nostra, l’altro da ignoti.

Poco importa se il “cantiere fantasma” sia servito per rafforzare la bomba con esplosivi “nobili” o per installare un secondo detonatore volto a compensare l’inesperienza militare del commando di Cosa Nostra.

Il punto è che a Roma c’è una talpa. Una talpa che ha libero accesso ai dati del Sisde.

Viene subito in mente Bruno Contrada, l’ex numero tre del cosiddetto servizio segreto civile condannato nel maggio del 2007 a dieci anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa. Ma forse pensiamo male, visto che nel luglio del 2017, su diktat di San Strasburgo, la sua condanna verrà revocata dalla corte di Cassazione.

Facendo finta per un secondo che Strasburgo abbia ragione, resta comunque irrisolto il principale quesito di questo dilemma: chi informava Cosa Nostra in presa diretta sugli spostamenti di Falcone? Chi è Stato?




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