martedì 18 settembre 2012 - Oggiscienza

Cancro: la cura di Salvatore Iaconesi

Salvatore ha un cancro e di lui si è parlato moltissimo in questi giorni. Perché Salvatore - Iaconesi di cognome: ingegnere, artista, esperto di tecnologie, innovazione e open source - ha deciso di affrontare la sua malattia in modo nuovo e dirompente. Per prima cosa ha lavorato per convertire i file dei suoi esami diagnostici (TAC e risonanza magnetica) in un formato più maneggevole del DICOM, quello con cui di solito vengono archiviate le immagini mediche. Che tecnicamente è aperto, ma di fatto è tale da rendere molto difficile a un paziente che si trovi in mano un CD con le sue brave immagini DICOM, di visualizzarle sul proprio computer o condividerle con altri.

Dunque Iaconesi ha hackerato i suoi file e poi li ha caricati su un sito con un invito chiaro ed esplicito: datemi una cura. Una terapia per il corpo, per la malattia, certo, ma non solo. Anche una cura per lo spirito o per la comunicazione: un video, un'opera d'arte, una mappa, un testo, una poesia, un gioco. Un gesto semplice, ma con implicazioni potentissime. Una prima implicazione ce la ricorda l'oncologo Umberto Veronesi, che in una lettera su Repubblica ringrazia Iaconesi per un gesto che è anche una lotta ai tabù che circondano il cancro.

«Ancora non è scomparsa dalla nostra cultura l'idea che il cancro sia una maledizione, una iattura, una punizione divina o uno spettro che si potrebbe materializzare al solo pronunciare il suo nome» ricorda il professore. Al punto che ancora oggi molti non riescono a chiamare la malattia per nome. Iaconesi invece lo fa, mettendola sullo stesso piano di altre gravi malattie: «Un'azione importante contro le sue rappresentazioni» dice Veronesi. E dunque un'azione importante per tutti. Ancora più forte è l'attenzione che l'appello di Iaconesi porta sui dati aperti. Se ne parla in genere con riferimento ai dati di interesse pubblico (come quelli di amministrazioni locali o di ospedali) ma qui in ballo ci sono i dati sanitari di ciascuno di noi. Che ci vengono sempre forniti - e ci mancherebbe altro, anche se a volte sembra più una concessione - ma in molti casi sono complicati da maneggiare, che si tratti di file DICOM o dei vecchi esiti redatti in una grafia illeggibile ai comuni mortali. Iaconesi rivendica il diritto a un accesso davvero pieno e reale alle proprie informazioni mediche. Naturalmente non è un punto d'arrivo, ma di partenza, perché poi bisogna sapere che cosa farsene, di quelle informazioni: come leggerle, come usarle, con chi condividerle.

L'artista ha scelto di rivolgersi alla rete, il che spinge ancora una volta a riflettere proprio sul rapporto che da pazienti - qualunque siano la nostra condizione e la sua gravità - tendiamo ad avere con Internet. Ovviamente non si tratta di una novità: la ricerca su Internet in caso di malattia è ormai una costante dei nostri tempi. «La prima cosa che si fa quando compare un sintomo, è digitarlo su Google per cercare informazioni e capire che cosa potrebbe essere» dice Maria Giovanna Ruberto, bioeticista dell'Università di Pavia da tempo interessata al fenomeno dell'e-health e autrice del volume La medicina al tempo del web. Ricevuta una diagnosi o, ancora prima, ricevuti gli esiti di qualche esame specialistico, l'atteggiamento comune è cercare in rete un medico a cui chiedere una consulenza. In effetti, i siti che propongono questo servizio (pensiamo a medicitalia.it) vanno fortissimo: «È il vecchio meccanismo della ricerca di una seconda, terza, quarta opinione, con altri strumenti» precisa l'esperta. Infine, c'è la ricerca di una relazione con i pari, cioè con altri pazienti: pensiamo ai siti delle associazioni, ai tantissimi forum e a esperienze come quella di patientslikeme, una piattaforma di condivisione di informazioni sanitarie creata nel 2004 dai fratelli e da un amico di un ragazzo con sclerosi laterale amiotrofica per cercare suggerimenti su come migliorargli la vita.

«Il gruppo è sempre una grande risorsa e a maggior ragione in una condizione di fragilità e incertezza quale è la malattia» afferma lo psicologo clinico Egidio Moja, direttore di Cura, centro di ricerca sugli aspetti comunicativo-relazionali in medicina dell'Università di Milano. «Perché quali che siano i nostri guai, quando ci mettiamo insieme ad altri è possibile che escano considerazioni che potrebbero essere d'aiuto o almeno di conforto». Bene, nel suo progetto Iaconesi mette insieme tutte queste azioni: chiede informazioni, consulenze, condivisione, sostegno; invita alla costruzione di una comunità di tecnici, medici, artisti, filosofi impegnati a dare nuove definizioni del concetto di cura. Prende la sua malattia per intero e la offre al mondo, con un atteggiamento che è un'esemplificazione estrema di quanto sia cambiato nel tempo il rapporto tra medico e paziente, all'insegna del valore dell'autonomia. «Perché Iaconesi avrà di sicuro un suo medico o suo centro di riferimento, ma questi non potranno prescindere dalla personale interpretazione di malattia che nel frattempo lui si è costruito attraverso il suo percorso» commenta Moja. L'operazione di chiedere aiuto a un gruppo globale, fare ricorso all'intelligenza diffusa della rete, però, non è priva di aspetti critici. «C'è il rischio», ricorda Veronesi, «che al suo appello rispondano guaritori improvvisati che sono assidui frequentatori di Internet». Un rischio che si è già concretizzato. Al momento, tra le "cure" proposte la grande maggioranza è occupata da soluzioni ben lontane dai metodi terapeutici riconosciuti come validi nella lotta contro il cancro: soluzioni non convenzionali e prive di qualunque fondamento scientifico. Tra i consigli su funghi, erbe amazzoniche, laetrile, bicarbonato, meditazione o dieta e le indicazioni di vari santoni e guaritori, una domanda sorge spontanea: è davvero utile tutto ciò a una persona malata di cancro?

Del resto, lo stesso problema si pone per ogni malato che a un certo punto si metta a cercare in rete informazioni sulla sua malattia: è molto facile che incappi in questo genere di informazioni, spesso di tono miracolostico. «È una situazione pericolosa, ma ormai inevitabile. Per questo bisogna lavorare per fornire ai pazienti strumenti e indicazioni per cercare nei posti giusti» afferma Ruberto. E bisogna naturalmente intervenire sul rapporto medico-paziente. Molti camici bianchi si indispettiscono se il paziente arriva con qualche proposta ricavata dalle sue ricerche, o la liquidano frettolosamente. «Ma non serve a niente» precisa Moja. «Il medico deve invece ascoltare le informazioni raccolte dal paziente, i suoi dubbi, le sue certezze, insomma l'idea che si è fatto della sua malattia e poi discuterne con lui. È un passaggio fondamentale per costruire un rapporto di fiducia». Eppure molti medici non sono ancora pronti a questo tipo di comunicazione e così Iaconesi con il suo progetto fa anche questo: tocca un nervo scoperto della medicina attuale. C’è davvero molto su cui lavorare. Intanto, a Salvatore facciamo un enorme in bocca al lupo.

Valentina Murelli

Immagine: http://artisopensource.net/cure/




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