mercoledì 5 giugno 2013 - Giovanni Graziano Manca

Cagliari bella e irripetibile alla ricerca dell’identità perduta?

Esiste ancora una identità cagliaritana, quella che qualcuno chiama cagliaritanità, e la nostra bella e irripetibile città ha sempre, davvero, un’anima diversa e originale che riesce a metterne in rilievo le peculiarità e a evidenziarne l’alterità rispetto a ulteriori possibili luoghi? Un esercizio molto in voga negli ultimi tempi consiste nel cercare di convincere se stessi che la cagliaritanità, se si vuole, la si può addirittura palpare e che l’identità e l’anima di questa città, che è anche l’anima della gente che ci abita, esistono davvero e sono più vive che mai. Di ciò e in questi termini si parla, ad ogni piè sospinto, su giornali, riviste, libri e in pubblicazioni di vario altro genere, oltre che nei dibattiti televisivi e in quelli che impegnano i sempre più numerosi iscritti ai social networks.

Ho timore che in questa materia si sia spesso reticenti e che tutto ciò che comunemente si dice o si pensa sull’argomento costituisca in realtà solo la proiezione dell’intima nostra convinzione (speranza?) che qui ogni cosa vada sempre bene e che la cosiddetta cagliaritanità non sia altro che il riflesso di una identità che è possibile coniugare, a dispetto del dilagante disagio sociale e dei problemi di varia natura che ancora continuano a rimanere irrisolti, sempre e solo in positivo. Cagliaritanità , cioè, come ottimistica visione di come invece vanno veramente le cose da queste parti, detto in altri termini. Quando si parla della identità e dell’anima di questa città ci si limita a tirare in ballo la straordinaria ricchezza del suo patrimonio archeologico, la rara bellezza e la numerosità dei monumenti e delle opere di architettura di cui essa può vantarsi, la vitalità di certi quartieri del centro cittadino, all’interno dei quali, è vero, si respirano forse gli ultimi afflati di cagliaritanità autentica, il coacervo inestimabile di tutti i beni ambientali che la capitale dei sardi è ancora in grado di offrire ai suoi visitatori. Ancora si richiamano il pesante tributo di sangue pagato dalla popolazione in occasione dei bombardamenti del ’43 (quest’anno ricorrono i settant’anni trascorsi da quei tragici giorni) e il grande seguito di devoti che anche lo scorso primo giorno di Maggio ha rinnovato la propria commovente manifestazione di fede nei confronti di Sant’Efisio.

Tuttavia occorre parlarne, almeno tra cagliaritani che non intendono dare della città una immagine edulcorata che corrisponde solo in parte ad una realtà quotidiana che è sotto gli occhi di tutti: Cagliari è anche caratterizzata da fenomeni e circostanze che ne intaccano spesso l’immagine naturalmente positiva. Non riesce a sfuggire, la capitale dei sardi, ai processi di globalizzazione che vanno nella direzione dell’appiattimento delle identità locali, né agli effetti di una crisi economica che sembra non conoscere limiti e che fin dal suo primo manifestarsi si è rivelata ancora più dura per i cagliaritani e per tutti i sardi in genere. Di disoccupazione non parliamo, che è meglio. Diciamo solo che attualmente, non solo a Cagliari ma anche nel resto dell’isola, essa assume le fattezze di un cromosoma difettoso che pregiudica lo sviluppo economico e sociale della Sardegna. Ciò accade nel presente ma varrà presumibilmente anche per il futuro, se la situazione continuerà a essere quella che è. La crisi, poi, anche a Cagliari non è solo economica ma investe i valori della famiglia, della solidarietà, dell’onestà, della corretta convivenza civile, e via dicendo. È una crisi perfida e strisciante di cui avvertiamo gli effetti ogni giorno e dappertutto, in città, essendo essa subdolamente riuscita a penetrare all’interno di ogni settore della vita civile. È da questo stato di crisi generalmente diffusa che nascono il disagio, il malessere, lo stato di disadattamento di molti dei giovani che risiedono nei quartieri più poveri, l’emergenza criminale, lo scadimento della classe dirigente pubblica. Ad essa, in particolare alle amministrazioni del passato più recente, dobbiamo, per esempio, il grave depauperamento subito da uno dei beni ambientali più preziosi e apprezzati della città: la spiaggia del Poetto. Il volto della Cagliari dei nostri giorni va declinato anche al negativo, quindi, e far finta che le cose stiano diversamente e non attivarsi in prima persona perché migliorino equivale a dire che a priori si rinuncia a salvare ciò che ancora può essere salvato di un patrimonio identitario potenzialmente davvero straordinario.

Il viaggiatore americano J.E.Crawford Flitch, oltre un secolo fa, ebbe a dire che nessuna città ha tante ‘scappatoie’ come Cagliari.

Ci si sente sollevati nel constatare quanto le riflessioni di Crawford Flitch trovino ancora, forse in piccola parte, rispondenza nella realtà delle cose, nelle riflessioni di chi la città l’ha visitata e nei sentimenti di coloro che la abitano. Le scappatoie, però, quelle cui anche l’americano fa cenno, sembrano ai nostri giorni essere sempre di meno: ancora oggi è a S.Efisio che la gente affida il proprio futuro e la propria buona sorte. Lo si può riscontrare chiaramente in occasione della sagra dedicata al martire cristiano, dove è sempre possibile provare attimi di autentica emozione al passaggio del cocchio e mentre si osserva la totale e incondizionata devozione che i cagliaritani (e non solo loro) riservano a colui che si ritiene abbia più volte salvato la città dalla rovina. 




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