venerdì 3 maggio 2019 - Aldo Giannuli

Cade, non cade: un Governo sull’orlo di una crisi di nervi

Immaginiamo per un attimo che la crisi della maggioranza giallo-verde precipiti già prima del voto alle europee e che si profilino nuove elezioni. Per prima cosa: votare quando?

Per votare entro il 30 giugno, il Presidente dovrebbe sciogliere le camere entro il 16 maggio, dopo si tratterebbe di votare a luglio, come dire rovinare la stagione turistica: albergatori, ristoratori, titolari di agenzie di viaggio assedierebbero il Quirinale con i forconi.

Anche l’anno scorso, nel delirio della crisi infinita si parlò di voto in piena estate ma poi la cosa rientrò per la sua palese irrazionalità. E questa volta sarebbe anche peggio, perché lo scioglimento avverrebbe 10 giorni prima del voto per le europee che diventerebbe una specie di primo turno, nel caos più completo.

Per di più, questo significa che ci sarebbero 16-17 giorni per fare tutto (conclamazione della crisi, consultazioni e scioglimento).

Dunque, si tratterebbe di andare alla seconda metà settembre, data per la quale lo scioglimento potrebbe avvenire fra i primi di luglio e primissimi di agosto. 

Ma nel frattempo che fare? Tenersi un governo dimissionario per l’ordinaria amministrazione per quattro mesi? E se, constatata la situazione, Mattarella nominasse un governo tecnico? Certamente Lega e 5s potrebbero negargli la fiducia, ma tanto, governo dimissionario per governo dimissionario, si starebbe andando a nuove elezioni, ed allora…

Solo che sarebbe questo governo a dover fare la legge finanziaria (e magari sotto le indicazioni della Bce) nel caso non si formasse subito un nuovo governo e con una maggioranza omogenea. E se le elezioni non dessero la maggioranza a nessuno? Ma lasciamo da parte questi dettagli tecnici e veniamo ai problemi politici.

Un anno fa, Di Maio infranse un dogma di fede del M5s, per il quale mai il M5s si sarebbe coalizzato a nessun altro partito perché diverso ed incompatibile con tutti gli altri, poi i seggi non bastavano, coerenza avrebbe voluto che il M5s tenesse fede al suo principio e chiedesse nuove elezioni, ma Di Maio sta alla coerenza come il cane alla cipolla, per cui decise di allearsi e scelse il partito più distante da se ricorrendo alla trovata da cabaret del contratto di governo.

Ora, arrivare alla crisi significherebbe ammettere di essersi sbagliati e l’esperimento è fallito. Come spiegarlo all’elettorato e per di più alla vigilia del voto delle europee che già si stanno mettendo male stando ai sondaggi?

Salvini, che pure i sondaggi danno per vincente, dovrebbe ammettere anche lui il fallimento, per di più dovendo affrontare i malumori di quella parte del suo elettorato che gli rimprovera di aver ceduto sul reddito di cittadinanza per poi non ottenere la flat tax. E i sondaggi fanno presto a squagliarsi, anche perché una campagna elettorale della Lega con sul groppone un caso di corruzione (dal quale non sappiamo che altro può venir fuori) non è il massimo, mentre per i 5 stelle sarebbe un incito a nozze.

Dunque nessuno dei due ha interesse alla crisi subito. Ma come uscirne? Se Siri resta il M5s fa una figura da chiodi e tutti si ricordano del voto sulla Diciotti, come dire che una ulteriore flessione di due o tre punti percentuali è da mettere nel conto, ma se il sottosegretario è cacciato dal governo e la Lega incassa il colpo senza reagire, l’immagine di uomo forte di Salvini finisce a pezzi e Berlusconi ha ragione di dire che questo è un governo a conduzione 5stelle.

Una soluzione forse ci sarebbe: Conte convoca il reprobo e gli schiede spiegazioni, poi gli concede una settimana per produrgli una memoria difensiva, dopo, comunque lo invita a dimettersi, ma lasciando alla sua discrezione di decidere come e quando, l’altro ci pensa e fra una mina e l’altra si decide che le dimissioni avverranno dopo il voto. Insomma una commedia in piu atti per superare l’ostacolo delle elezioni, poi sulla base dei nuovi rapporti di forza si deciderà. Oppure, l’indagato si dimette e la Lega si riserva la reazione al dopo voto “per senso di responsabilità”, basta che non si tocchi Giorgetti.

Chi ha detto che la Commedia dell’Arte è finita secoli fa? Mica vero, è sempre attuale.

Aldo Giannuli

Foto: Agenziami/Flickr




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