sabato 25 febbraio 2012 - GeriSteve

Cacciabombardieri F35: il problema delle spese militari

Oggi è il giorno NO F35: in 100 città italiane si raccolgono firme contro l’acquisto degli F 35. Gli organismi internazionali raccomandano agli stati e, se possono, impongono sempre tagli alle spese sociali, ma mai alle spese militari. Perché ?

La società civile italiana è allarmata per l’acquisto di 131 costosissimi cacciabombardieri e ha chiesto di rivedere l’operazioneIl governo italiano, prima ha sostenuto che non si poteva più recedere, poi ha annunciato un lieve taglio che inciderà pochissimo sui costi, anche perché ai costi di acquisto vanno sommati gli ancor più grandi costi di addestramento e manutenzione.

Si è sviluppato un dibattito e un’opposizione articolati, di cui qui si possono leggere le diverse tesi e lo sviluppo.

Come sempre quando sorgono questi movimenti, si va dalle posizioni ingenuo-pacifiste (cioè quelle per cui basta non comprare armi e automaticamente si avrà la pace) a quelle più razional-economiciste, passando per quelle legittimiste che sostengono l’incostituzionalità dei cacciabombardieri in quanto armi di attacco e non di difesa. Superando questa diversità di impostazioni è emerso un forte movimento NO F35 che raccoglie firme per fermare quell’acquisto e destinare quei soldi a scopi ritenuti più importanti. La petizione si intitola: COME CITTADINO HO DIRITTO ALL’ISTRUZIONE, AL LAVORO, ALLA PENSIONE ED ALLA SANITA' ...POSSO FARE A MENO DI 131 CACCIABOMBARDIERI F-35 JSF! ed è una richiesta condivisibile e di buon senso, svincolata da ideologismi.

Tutto bene? No, perché succede che i mezzi d’informazione trattano poco il problema, qualcuno amplifica il mini-taglio di acquisto facendo intendere che il problema sarebbe risolto e pochissimi informano sulla raccolta firme: provate a trovare la notizia e l’elenco dei luoghi in cui si firma e vi convincerete che qualcuno ha ordinato, se non proprio il silenzio stampa, perlomeno di non superare il “bisbiglio stampa”.

Qualche mese fa è balzato su giornali e TV che l’allora ministro La Russa si era comprato una ventina di auto blindate Maserati. Qualcuno ha commentato che nel frattempo i carabinieri avevano le auto ferme per mancanza di soldi per la benzina, ma quello sarebbe stato il momento giusto per aprire un serio dibattito sulle spese militari, cosa che non è successa. Qualcuno avrebbe dovuto domandarsi come fossero stati possibili quegli sprechi essendoci stati i terribili tagli lineari di Tremonti alle spese di tutti i ministeri, ma forse nessuno lo ha domandato e certamente nessuno ha mai risposto.

E’ normale, non solo in Italia, che delle spese militari si parli poco, dando ad intendere che siano tutte spese necessarie ed incomprimibili. E’ chiaro che le lobby delle armi sono internazionalmente influenti su tutti i mezzi d’informazione, che chiedono ed ottengono un pudico silenzio. Ma non sono soltanto le notizie che svaniscono: anche la problematica è assente. I nostri giornali traboccano di editoriali e di “articoli di opinione”, ma chi ricorda di aver mai letto articoli in cui si analizzino e si discutano le spese militari?

Ma c’è anche qualcun altro che “dimentica” sistematicamente le spese militari: ad esempio l’ONU che, dopo i tempi della guerra fredda e della corsa alle atomiche, sostanzialmente tace.

L’anno scorso l’Italia ha ricevuto una rigida direttiva dalla BCE che indicava in quali settori era necessario tagliare la spesa pubblica: indicava le pensioni, la sanità, ma taceva le Maserati, gli F 35 e quant’altro fosse militare; un caso isolato e strano? Nient’affatto.

Ieri, nella trasmissione “Tutta la città ne parla” di Radio 3 sono intervenuti diversi sostenitori della indiscutibile inevitabilità di quelle spese, ma è intervenuta anche Nicoletta Dentico, dell’Osservatorio Salute Globale, che ha ricordato come quei silenzi seguano una lunga e coerente tradizione.

Da venti e più anni diversi stati africani si sono ritrovati in bancarotta; la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Mondiale sono sempre intervenuti imponendo drastici tagli alle già esigue spese sociali, che comunque creano lavoro e rddito all'interno, ma non hanno mai menzionato le spese in armamenti, che vanno all'estero e che nei risicati bilanci di quei poveri stati raggiungevano percentuali mostruose.

La Dentico ha rilevato che soltanto un paio di settimane fa la nota agenzia di rating Standard & Poor’s ha diramato un minaccioso rapporto in cui raccomanda a tutti gli stati di effettuare tagli alle spese socio-sanitarie per evitare che Standard & Poor’s abbassi il rating del loro debito sovrano. Perché mai Standard & Poor’s non raccomanda mai di ridurre le spese militari?

Perché Standard & Poor’s non è affatto un organismo tecnico e obiettivo: dal tempo di Rockefeller è un organismo che condiziona l’opinione pubblica e in particolare quella degli investitori e dei politici nell’interesse suo e dei suoi proprietari: le grandi lobbies finanziarie.




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