giovedì 7 aprile 2016 - soloparolesparse

Cabin Fever, il remake del film di Eli Roth non è malaccio

Mi sfugge il motivo per cui Eli Roth abbia voluto/lasciato rifare il suo Cabin Fever a distanza di nemmeno quindici anni ma devo ammettere che questo lavoro di Travis Zariwny non è per nulla male.

Come al solito provo a parlarvene senza alcun riferimento al film originale, analizzandolo come prodotto a sé. 

Un gruppo di ragazzi arriva in una baita nel bosco per una settimana di vacanza. L’incontro con gli abitanti locali non è dei migliori e anche una volta arrivati nella baita i problemi cominciano presto. Un uomo in evidente stato di malattia si presenta alla porta per chiedere aiuto ma la situazione precipita velocemente.

Nel bosco c’è qualcosa, un virus, un batterio, un entità strana, qualcosa che fa ammalare la pelle provocando ulcere enormi e portando al disgregamento fisico in poche ore. E pare che gli abitanti del luogo ne siano a conoscenza.

Come detto il remake funziona. La struttura è solida e soprattutto l’orrore è un crescendo notevole e funzionale. Succedono subito cose brutte, ma quelle che succedono subito dopo sono più brutte ancora, e via così… fino a ritrovarsi nel pieno dell’orrore senza nemmeno rendersene conto.

Funzionano anche i personaggi. Non tanto il gruppo di giovani protagonisti, che tra paure e sesso messo lì quasi per caso rispecchiano i caratteri tradizionali del genere, quanto per i personaggi di contorno. Il bambino con la maschera da coniglio, la signora del maiale e il vice sceriffo su tutti. Personaggi perfettamente costruiti nella loro follia.

Funziona, lo abbiamo detto, il crescendo, funziona l’orrore, funzionano perfino gli effetti speciali. E (cosa sempre più rara) funzionano anche i colpi a sorpresa, quello che ti fanno fare un saltino sulla poltrona. Pur ovvi, pur tradizionali…

Insomma un bel film di genere che merita di essere visto.




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