mercoledì 4 luglio 2018 - Giovanni Greto

CHRISTIAN McBRIDE’s NEW JAWN al Cotton Club di Tokyo

Un Jazz teso, aggressivo, energico ha sconvolto per quattro giorni l’atmosfera asettica del Cotton Club di Tokyo. Il contrabbassista Christian McBride è ritornato ad esibirsi in un locale che lo ha sempre stimato, per presentare il suo quartetto “New Jawn”, composto oltre che da lui, da Josh Evans alla tromba, da Marcus Strickland al sax tenore e da Nasheet Waits alla batteria.

L’assenza di uno strumento armonico, sia esso il pianoforte o la chitarra, stimola in questi casi la creatività dei musicisti, che si sentono meno ingabbiati, maggiormente liberi di improvvisare senza dover porre attenzione all’itinerario armonico del piano e lasciargli spazio per il solo.

Assisto al primo set del giorno d’esordio. In scaletta solo cinque brani, bis compreso, per un totale di sessantasette minuti. Ogni composizione dura dai dieci ai venti minuti, in modo tale da consentire ad ogni musicista di mostrare la propria bravura e di far capire al pubblico la sua maniera di improvvisare.

Nel pezzo che dà il via al set, “Pure one Import”, tromba e sassofono emettono delle singole note tenute a lungo sulle quali si avventa il batterista, figlio d’arte : suo padre, il percussionista Freddie Waits, militava nel “M’BOOM”, eccellente ensemble di percussioni fondato da Max Roach nel 1970. Da qui alla fine del concerto, Waits continuerà a rullare lungo tutti i tamburi (quattro), con un drumming irrequieto che lascia senza fiato. I solo si susseguono nel seguente ordine, sax tenore, tromba e contrabbasso, prima che l’atmosfera incandescente si rassereni per il tema finale.

“Carillon” dell’organista Larry Young è il brano più lungo. Inizia con un unisono di sassofono e contrabbasso cui si accodano tromba e batteria. Il primo solo spetta stavolta alla tromba, cui segue una irruenta, a tratti dissonante, improvvisazione del tenore, che rimane da solo per un tempo brevissimo, scandito da un insistito pedale di contrabbasso. Poi, tutti ripartono su un percorso di Swing veloce. Questa volta McBride non si ritaglia un assolo e allora Waits si prende ampio spazio per un solo melodico che sembra ispirarsi nell’atmosfera e nelle figurazioni alle costruzioni musicali di Max Roach. Verso la fine, McBride rientra con il pedale per dettare il tema finale. E’ un pezzo che da una parte ricorda l’Hard Bop, dall’altra, per intensità, i quartetti pianoless di Ornette Coleman.

“John Day”, di McBride, dedicato ad un amico musicista scomparso vede il leader utilizzare l’archetto. E’ un pezzo elegiaco, in cui Strickland suona il clarinetto basso e assieme a Josh dà vita ad un graffiante solo, con sonorità anche stridenti, probabilmente scelte per esprimere il dolore per la dipartita. Waits utilizza delle bacchette polifunzionali: da una parte hanno la consueta punta ad olivetta, dall’altra un tampone di cotone per un suono più caldo e profondo. Interessante il tema finale con degli obbligati all’unisono. In “Raise four”, scelto per il congedo, c’è un attacco deciso in 4/4 del contrabbasso, cui segue un fraseggio incalzante della batteria, dove poi si inseriscono i due fiati all’unisono. Dopo i solo di tromba e tenore, in cui Waits ancora di più dà vita ad un accompagnamento inesausto di rullate lungo tutti i tamburi, in senso orario ed antiorario, contrabbasso e batteria tornano a dialogare per lanciare il tema finale.

Il bis, “The good Life”, è una composizione di Ornette Coleman, contenuta nel disco registrato molti anni fa con Pat Metheny. Dopo un inizio free, ci sono accenni ad un ballabile Calypso, su cui improvvisano sax tenore e tromba, mentre basso e batteria si sfidano con infuocati breaks, che precedono il tema finale.

“New Jawn” esiste da due anni, come ha rivelato il leader in un breve intervento tra un brano e l’altro. E’ un quartetto di spessore, affiatato, certamente più interessante da ammirare dal vivo, perché emergono la freschezza, l’abilità dei singoli, i mutamenti d’umore, che certamente l’ascolto di un disco non riuscirebbe a comunicare.

Photos courtesy of COTTON CLUB, Japan
photo by Y.Yoneda




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