giovedì 24 maggio 2018 - Piero Tucceri

C’è chi può e chi non può

Nei giorni scorsi, in compagnia di alcuni amici, sono capitato in un bar di un paese di montagna. Appena siamo entrati nel locale, la mia attenzione è caduta su un avviso affisso sulla parete opposta a quella del bancone. Mi sono avvicinato e, leggendolo, mi son reso conto dell'impatto sociale e istituzionale dello stesso, il quale, a un certo punto, precisa che, per poter pascolare le pecore (proprio così: per poter condurre le pecore al pascolo!) nel comprensorio del paese, sia indispensabile esibire la fedina penale libera dai reati contro il patrimonio.

La lettura di quell'avviso, ha suscitato in me e nelle persone che mi accompagnavano un misto di stupore e di ilarità. Quasi in coro, ci siamo domandati: ma come, per poter pascolare le pecore, è indispensabile soddisfare quella premessa giudiziaria, mentre per poter accedere al Parlamento e per insediarsi ai vertici istituzionali si è addirittura agevolati dalla esibizione di fedine penali a dir poco vergognose?

Una società civile sarebbe aliena a certi paradossi. Non a caso, ricordava Aristotele (Politica, 1275 a 5 ss): “Non si è cittadini perché si abita un certo luogo, né perché si abbia accesso alle istituzioni giudiziarie”. Questo perché un Popolo, ossia un consesso antropico elevatosi a tale dignità, non conosce certe aberrazioni che sono invece proprie dei coacervi antropici condannati alla schiavitù.

Appare così comprensibile questo assurdo tipico della società odierna. Dal momento che, come osservava puntualmente George Orwell nel suo tanto famoso quanto attualissimo romanzo “1984”: “In fin dei conti, come facciamo a sapere che due più due faccia quattro? O che la forza di gravità esista davvero? O che il passato sia immutabile? Che cosa succede, se il passato e il mondo esterno esistono solo nella nostra mente e la nostra mente è sotto controllo?”.




Lasciare un commento