martedì 8 aprile 2014 - ///

Bussi, ne è passata di acqua (avvelenata) sotto i ponti

Le sciagure degli altri ci sembrano lontane finché non travolgono anche noi. In Campania ci sono voluti 16 anni prima che venisse alla luce la verità sulla Terra dei Fuochi: prima avvelenata per anni tra silenzi e complicità; poi tirata in ballo da tutto e tutti pur di far notizia; infine sbeffeggiata pubblicamente dalla Gialappa's Band a Sanremo, durante l'esecuzione della canzone di Rocco Hunt.

La satira non è mai causale: racconta sempre ciò che il politicamente corretto tace. L'infelice battuta del trio televisivo corrisponde ad un sempre diffuso sentimento di fastidio, come sovente capita quando un tema invade per mesi tutto il mondo mediatico. Per mesi i campani hanno gridato, marciato, protestato contro quella criminalità colpevole (e quello Stato complice) che avevano rubato loro salute, vita e futuro. Peccato che l'italiano medio, abituato a conoscere il mondo più con gli occhi della tv che con i propri, avesse visto nella Terra dei Fuochi un problema esclusivamente di Napoli e dintorni, e non invece dell'Italia intera, come sarebbe più giusto considerarlo. Un problema lontano, dunque, che perciò non riguardava nessuno che vivesse fuori del perimetro di quella martoriata zona.

Poi succede che 700 mila di quegli italiani medi accendono la tv e scoprono che per decenni (certamente dal 1992, ma probabilmente fin dagli anni '60 e comunque fino al 2007) hanno bevuto acqua inquinata da sostanze come mercurio, tetracloruro di carbonio, cloroformio, esacloroetano, tricloroetilene, tetracloroetilene, pentalorobenzene e tante altre schifezze dai nomi impronunciabili ma che fanno sempre rima con cancro e tumori. E allora ti accorgi che l'avvelenamento della terra in nome del profitto indiscriminato non è più solo un problema degli altri, ma anche mio, tuo, nostro. Perché quei 700 mila erano (eravamo) abruzzesi, e l'acqua che bevevano (bevevamo) era quella contaminata dalla discarica di Bussi.

Oggi le notizie su Bussi occupano le prime pagine di tutti i giornali, locali e nazionali e persino Rai, Mediaset e Sky dedicano spazio alla vicenda nei loro telegiornali. Tutti raccontano una verità che in Abruzzo si conosce da molti anni, almeno dal 2007, ovvero da quando l'Abruzzo scoprì di ospitare la discarica più grande d’Europa. Una verità che tuttavia noi abruzzesi per primi sembriamo aver dimenticato. Perché l'aspetto più sorprendente della vicenda e che oggi tutti si dicano sorpresi.

Si sapeva già dal 2007 che la discarica gestita dall’ex polo chimico Montecatini Edison fosse infarcita di veleni a camionate continue e sversamenti selvaggi di giorno e di notte. Si sapeva che da allora (e la società in questione, stando a documenti aziendali riservati, già dal 1992) che quei veleni avessero contaminato l’acqua potabile della rete idrica a distanza di 2 km da Bussi Officine, acqua poi distribuita a circa 700 mila persone - ospedali e scuole compresi - senza controllo. Insomma si sapeva già da sette anni che anche l'Abruzzo avesse la sua Terra dei Fuochi. E se lo stupore dei media nazionali è forse accettabile, appare stupefacente la reazione di politici, locali e nazionali, ma anche di semplici cittadini, che reagiscono come se avessero scoperto solo oggi cosa si nasconda a due passi da cosa propria.

Quasi un anno fa, il 13 aprile 2013, a Pescara circa 40 mila persone hanno manifestato contro l’installazione della piattaforma petrolifera Ombrina Mare. Un impianto per cui, al momento, deve ancora essere poggiata la prima pietra. Insomma, una mobilitazione di piazza contro un progetto industriale che ancora non esiste. La discarica di Bussi, al contrario, esiste eccome, ma per quella nessuno ha speso una parola. Per una zona delicatissima dove passa l'acqua di mezza regione non ci sono state manifestazioni o iniziative. In compenso, l'acqua contaminata continua ad avvelenare tutto ciò che incontra: l’ultimo rapporto dell’Arta dice che nello scorso dicembre, in appena sei giorni, 1,45 tonnellate di esacloroetano sono state trascinate a valle dalla piena del fiume Pescara.

Se lasciar passare l'acqua sotto i ponti è un modo di dire che esprime il passare del tempo, in analogia con lo scorrere di un fiume, viene da chiedersi quanta altra (inquinata, ovviamente) dovrà ancora passarne prima che la gente acquisti la consapevolezza che certi problemi hanno conseguenze troppo gravi per essere considerati distanti, lontani, relegati a ciò che vediamo attraverso le immagini del teleschermo. E viene da chiedersi se il fiume Pescara non sia diventato come il Lete, il fiume dell'oblio della mitologia greca e romana, in cui le anime dei Campi Elisi si tuffavano quando dovevano reincarnarsi dimenticando le vite passate. Un fiume che in sette anni ha lavato via il ricordo dell'estate in cui Pescara e località limitrofe furono rifornite dalle autobotti in seguito alla chiusura di due pozzi contaminati, dell'inchiesta giudiziaria che ne è seguita, di questo scandalo che è stato il più grande nella storia d'Abruzzo senza che, come sempre, i responsabili abbiano pagato per le loro colpe.

* Articolo originariamente comparso su Val Vibrata Deal

Photo: Wikimedia




Lasciare un commento