mercoledì 11 febbraio 2015 - Phastidio

Brasile, un anno difficile

Gli ultimi mesi hanno prodotto una preoccupante serie di cattive notizie per il Brasile e la sua presidente, Dilma Rousseff, rieletta ad un secondo mandato presidenziale dopo aver sconfitto il candidato “liberista” Aecio Neves. Subito dopo la rielezione, la Rousseff ha preso atto e coscienza che il deterioramento generalizzato dell’economia brasiliana ne pone a rischio il rating investment grade ed ha preso provvedimenti, a partire dalla nomina di Joaquim Levy: un Ph.D a Chicago, un inequivocabile percorso in istituzioni finanziarie internazionali, già ministro del Tesoro nel governo dell’ex presidente Luis Inacio Lula da Silva, ed ex presidente dell’asset management di Banco Bradesco, la maggiore banca privata del paese. Le prime mosse di Levy sono piaciute molto ai mercati ed assai meno alla base elettorale della Rousseff, che di fatto si è ritrovata con un timoniere di politica economica che sembra perfetto per una guida neo-liberista (o semplicemente realistica) del paese.

Il Brasile ha molti mali: nel 2014 la sua crescita si è di fatto arrestata; soffre di una costante perdita di competitività causata da una politica fiscale espansiva e populistica che Dilma ha spinto per tutto il suo primo mandato; ha un’inflazione apparentemente incoercibile, malgrado i reiterati aumenti dei tassi ufficiali d’interesse da parte della banca centrale. Soprattutto, ha un campione nazionale, la società petrolifera statale Petrobras, che rischia di portare all’inferno con sé il paese, avviluppata com’è in uno scandalo di tangenti che è solo alle prime battute e che appare gigantesco e strettamente legato al partito della Rousseff (e di Lula), oltre ad essere la più indebitata società petrolifera del pianeta.

Tra le prime decisioni di Levy c’è il ritorno ad un avanzo primario, dopo che il 2014 si è chiuso con un deficit primario dello 0,6%, visto come differenza tra entrate e spesa pubblica al netto degli interessi sul debito pubblico, contro un avanzo dell’1,9% nel 2013. Sempre nel 2014, il deficit-Pil totale è stato del 6,7%, rispetto al 3,25% del 2013. Il nuovo ministro delle Finanze ha quindi avviato un piano di austerità piuttosto impegnativo, per tornare ad un avanzo primario dell’1,2%. Tra le misure annunciate, verrà fatto scadere un credito d’imposta sugli acquisti di autoveicoli, un aumento delle tasse sui manufatti industriali e delle tasse sul credito al consumo. Si tratta di misure che impatteranno negativamente sui consumi, che erano sinora stati spinti dal governo brasiliano, anche in vista delle elezioni dello scorso ottobre.

Il crollo dei prezzi delle materie prime ha deteriorato le ragioni di scambio del paese, ed il conseguente deprezzamento del cambio ha contribuito a pressioni inflazionistiche già in atto a causa del surriscaldamento dell’economia per via fiscale. Il combinato disposto di queste situazioni ha aumentato l’inflazione, che è destinata a crescere anche per l’azione del governo su prezzi e tariffe amministrate, sotto forma di aumenti d’imposta e tagli ai sussidi. A gennaio l’indice dei prezzi al consumo, dove prezzi e tariffe amministrate pesano per circa il 25%, ha toccato il 7,14% tendenziale. Molte amministrazioni regionali hanno aumentato i prezzi dei biglietti di autobus, mossa che in passato aveva scatenato proteste di piazza. Nel frattempo, la banca centrale ha continuato a stringere, portando il tasso ufficiale al 12,25%. Il riequilibrio fiscale avverrà e non sarà indolore.

Alcune misure correttive indicano un precedente approccio al welfare da paese dei balocchi. Ad esempio, le pensioni di reversibilità prevedevano che il coniuge sopravvivente (quasi sempre la donna) ricevesse la quasi totalità della pensione del deceduto, destinata a permanere anche in caso il beneficiario trovasse un lavoro. Il fenomeno aveva determinato la proliferazione di matrimoni tra anziani e giovani donne, al punto da essere definito “effetto Viagra“. Negli ultimi sette anni, la spesa per pensioni di reversibilità ha toccato in Brasile il 3,2% del Pil, contro rispettivamente l’1,5% e 1,2% di Francia e Giappone, paesi ben più anziani. Le nuove misure prevedono il taglio del 50% dell’assegno di reversibilità e limiti temporali molto stretti per le vedove con meno di 44 anni. Altra misura è l’aumento del periodo minimo di contribuzione richiesto per beneficiare di sussidi di disoccupazione.

Poi c’è il capitolo Petrobras, al centro di indagini della magistratura per tangenti che coinvolgono anche i maggiori costruttori del paese. Si moltiplicano le voci su un sistema di tangenti per svariate decine di miliardi di dollari, a beneficio del Partito dei lavoratori (quello di Dilma e Lula), la cui conferma potrebbe avere effetti devastanti, sia politici che economici, e fare cadere dagli altari anche figure che la sinistra italiana ha frettolosamente deciso di santificare. Petrobras ha tagliato pesantemente gli appalti ai costruttori, agisce in regime di bilancio non ancora certificato per impossibilità di accertare l’entità del danno economico e di manipolazione dei conti (cosa che di fatto la esclude dai mercati internazionali dei capitali), e potrebbe tagliare pesantemente i propri investimenti, con pesanti ricadute sull’economia del paese. Il governo federale potrebbe essere costretto a finanziare la società, con evidenti impatti su deficit e debito pubblici.

Il 2015 è quindi per il Brasile l’anno della resa dei conti, dopo un’ubriacatura fiscale populistica durata anni ed alimentata come spesso accade da un boom dei prezzi delle materie prime. Sarà un anno molto impegnativo ma anche lo spartiacque tra il risveglio alla realtà, che farà soffrire una popolazione abituata a zuccherini fiscali di ogni tipo, ed una fuga “argentina” dalla realtà medesima, che porterebbe il paese sugli scogli ma che al momento appare poco o per nulla probabile. Noi siamo facili profeti dicendovi che, quando l’aggiustamento inizierà a mordere ed il disagio sociale esploderà, si leveranno le solite voci di sdegnata denuncia della disumanità del “capitalismo” e del “liberismo”, che pensiamo stiano diventando la nuova denominazione di “realtà”. Non si inventa mai nulla, in fondo.

 

Foto: Govba/Flickr




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