giovedì 16 giugno 2011 - Giovanni Greto

"Bitches Brew. Genesi del capolavoro di Miles Davis"

Enrico Merlin, Veniero Rizzardi: Bitches Brew. Genesi del capolavoro di Miles Davis. (Il Saggiatore)

Consigliato innanzitutto agli innamorati di Miles Davis (1926-1991), che posseggono l’intera sua discografia e che tengono orecchie ed occhi sempre aperti, per non lasciarsi sfuggire ristampe arricchite da bonus, o nastri inediti scoperti per caso.

Ma il volume di Merlin e Rizzardi, caratterizzato da un’impaginazione e da una grafica accattivanti, si rivolge anche ad una platea più ampia, quella che ha iniziato ad ascoltare il Jazz provenendo dal Rock, magari in virtù dell’esplosione sulla scena discografica internazionale, di un doppio album (com’era ed è tuttora bello dare questo nome ai piattoni di vinile!) che vendette all’epoca più di mezzo milione di copie, cancellando di colpo il jazz del passato, forse troppo elitario, e ponendosi all’attenzione di una numerosissima schiera di ascoltatori.
 
Come spiegano gli autori all’inizio del capitolo introduttivo, “Bitches Brew è stato riconosciuto fin dalla prima apparizione come un momento fra i più importanti della carriera di Miles Davis, ma anche un episodio singolare e alto della musica contemporanea in generale; e nel tempo questa importanza sembra essersi accresciuta, anche per coloro che non lo avevano accolto con favore”: Il lavoro dei due studiosi è nato essenzialmente dall’esigenza di un metodo di indagine attorno alla musica, in quanto “musica su supporto”, che mira a rispettarne e a illustrarne la specificità.
 
Nella loro ricerca, svolta in massima parte tra il 2007 e il 2008, gli autori hanno potuto disporre del materiale sonoro depositato presso gli archivi della Sony Music, oggi proprietaria della Columbia Records, i nastri a 8 tracce delle sedute di registrazione, i nastri di lavoro e i master finali di Bitches Brew.
 
Ma oltre al carisma di Davis, leggendo il libro scopriamo come il merito del successo vada all’intelligenza tecnica di Teo Macero (1925-2008), produttore, compositore e musicista, il quale per la prima volta sperimentò un montaggio dei nastri, lasciando il registratore sempre aperto durante le tre ore giornaliere delle tre giornate di seduta (19,20,21 agosto 1969), per poi manipolarli con un procedimento di copia-incolla nella fase di post-produzione: come succede nei film, ‘Bitches Brew’ è il risultato di un montaggio a posteriori di tutto ciò che è stato registrato.
 
La comprensione di questo intricato procedimento tecnico è felicemente aiutata dalla presenza nel volume di diagrammi nei quali vengono evidenziati, nella cronologia di ogni brano, i tagli e le cuciture.
 
Ma per quale motivo nell’agosto di 42 anni fa, Davis si presentò in studio con una formazione di 13 solisti senza precedenti? Perché per lui, questa moderna Big Band era uno sviluppo naturale dell’idea, nata insieme a Gil Evans, di usare l’orchestra come una tavolozza, e di aprirne tutti i reparti alla possibilità di improvvisare collettivamente.



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