mercoledì 1 marzo 2017 - Giovanni Greto

Bianca Gismondi Trio, “Primeiro Ceu”(Biscoito Fino)

Come spesso accade nella seconda prova di un artista, “Primeiro Ceu” segna un passo indietro rispetto a “Sonhos do Nascimento”, nonostante sia stato registrato per celebrare, scrive Bianca nelle note di copertina, il primo anniversario del trio, tra dicembre 2014 e febbraio 2015. Ci sono troppi brani lenti, circolarmente ripetitivi, come “Olhos fechados”, che apre il CD, contraddistinti da un certo languore.

Dalle caratteristiche minimaliste, dedicato al bassista Antonio Porto, è il primo di sei brani strumentali su un totale di undici. Dura troppo, quasi dieci minuti, durante i quali nulla di interessante succede. Tra i numerosi ospiti, Josè Staneck alla Gaita (l’armonica a bocca) ricorda il compianto Toots Thielemans in “Cristal”, il terzo brano esclusivamente strumentale. L’occasione di ascoltare qualche cosa di più movimentato capita con “Dança Mandela”, una danza molto sincopata, arricchita dal Talking drum e il Djembè di Djakali Kone su un’ottima base batteristica di Julio Falavigna. E’ una composizione che si gode di più dal vivo, in una situazione più aperta all’improvvisazione, anche se il dialogo vocale tra Porto e Bianca è tecnicamente ineccepibile. “A luz sem o veu” si apre con una lunga introduzione pianistica su cui piano piano si inserisce, dapprima con suoni privi di parole, poi recitando il testo di Bianca, la voce suadente e sinuosa di Jane Duboc, convincente anche in un’improvvisazione scattistica.

E’ uno di quei brani malinconici che arrivano al cuore di chi ascolta. La durata di sette minuti e poco più, questa volta non appare eccessiva, perché ci sono degli scambi interessanti fra lo Scat solistico e le sovraincisioni vocali forse di Bianca. Un bel pezzo, purtroppo di breve durata (3 minuti e 19 secondi) è” Glaucia do samba”. Molto sincopato, spezzettato, ha un andamento inconsueto, in cinque quarti, come recita il testo, che suggerisce di ascoltare bene , meglio ancora, per capirlo, di contare mentalmente. Due piano solo concludono il disco. Il primo è l’originale “Rio dos sinos”; il secondo una versione insolita di “Agua de beber”, l’unico standard in scaletta. Il bello è che per quasi metà canzone non si capisce cosa si stia ascoltando, fino al momento in cui Bianca si decide a cantare. Quando la esegue dal vivo, la definisce una versione pazza. Direi piuttosto che è intelligente e attraversata da una salvifica tensione.




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