mercoledì 20 giugno 2018 - UAAR - A ragion veduta

Bestemmie in Tv: Dio c’è (e spaventa i bambini). Il caso de La Fattoria

 

Abbiamo già avuto modo di parlare di bestemmie in tv (non ultimo, su MicroMega) e di quanto vengano immediatamente perseguite, stigmatizzate, sanzionate ben più dei considerati normali e quotidiani sproloqui omofobi, razzisti, sessisti e via dicendo che i nostri media ci propinano invece con notevole disinvoltura.

Da Leopoldo Mastelloni, ostracizzato per anni, al caro Tiberio Timperi, caro nel senso che la sua bestemmia fuori onda è costata alla RTI (Reti Televisive Italiane S.p.A) 25 mila euro.

Ma specializzati palcoscenici per questa doppia morale all’italiana sono senza dubbio i reality show, da molti ormai considerati lo specchio più che del bel, del brutto paese nel quale viviamo.

Agli ormai albori di questo tipo di format che, nonostante le violente critiche, a volte si suppone gonfiate ad arte (della serie l’importante è che se ne parli), prosegue imperterrito e con ottimi ascolti, ve ne è uno che ha causato una notevole sanzione divenuta definitiva proprio negli ultimi mesi.

La terza sezione del Tar Lazio infatti con sentenza n. 1978 ha confermato quanto già stabilito dal Garante delle Comunicazioni nel 2005, cioè 20 mila euro di multa, sempre a carico della Rti, per una bestemmia andata in onda durante il reality “La Fattoria”.

E fin qui, per quanto assurda la stessa difesa della onorabilità di un essere dalla come minimo incerta esistenza e che non ha dato alcuna procura per difendersi da diffamazione, non sembrerebbe esserci poi molto di strano, nel clericalismo imperante delle nostre tv e delle nostri corti.

Ma il giudice amministrativo si spinge oltre, nell’argomentare la conferma della non indifferente sanzione. Intanto perché creativamente interpreta il concetto di confine con la fascia di “tv per tutti”, che termina alle 22 e 30. Il blasfemo paragone tra divinità e suini è andato in diretta alle 22 e 40 e questo renderebbe pertanto immediatamente applicabile l’art. 15 comma 10 della legge 223/90, quello che vieta “la trasmissione di programmi che possano nuocere allo sviluppo psichico e morale dei minori.

Poco importa che, come abbia tentato inutilmente di argomentare la condannata, non esiste, non è proprio normato da alcuna parte il concetto di “contiguità” alla fascia protetta e che come tale non si possa usare arbitrariamente come aggravante. Una violazione del principio di tassatività delle condotte sanzionabili non proprio indifferente. Ma, si sa, per difendere la reputazione di dio questo e altro.

E infatti il Tar altro aggiunge.

Senza stare qui a esaminare la distinzione che il giudice opera tra pericolo concreto e anche solo potenziale, ritenendo esistente l’illecito anche nel solo secondo caso, se si tratta di blasfemia.

Quello che rileva è il motivo fondante della condanna: il fatto che “la pronuncia di una bestemmia risulta, per il suo contenuto, di per sé evidentemente idonea a pregiudicare lo sviluppo morale e psichico dei minori in ragione dell’offesa al sentimento religioso insita in essa”.

Evidentemente. Chissà le intere generazioni venete e toscane di “pregiudicati” cosa ne possono pensare.

Non sappiamo esattamente di che età siano i minori potenzialmente pregiudicabili psichicamente e moralmente; si spera sufficientemente grandi vuoi da aver sviluppato un effettivo senso religioso autonomo, quello che si suppone venir violato, vuoi, più semplicemente, da poter stare da soli davanti alla tv alle undici di sera. E di sopravvivere a sì grave perturbamento dell’animo causato da un’imprecazione illecita, magari inserita tra uno spot sessista e un trasmissione xenofoba.

Quindi niente, confermati 20 mila euro perché si è fatto male ai pupi.

Con una bestemmia. Che non sarà certo il massimo dell’eleganza, ma ci permettiamo di dubitare possa seriamente nuocere allo sviluppo psichico di chicchessia.

Con cinismo sarebbe inoltre possibile notare come forse colpisce più la soppressione di vite e diritti altrui in nome di un dio piuttosto che sentire questo accostato a variegate specie animali.

Certo, da noi il persistere di assurde e anacronistiche protezioni della divinità in quanto tale al massimo fanno aprire il portafoglio, pubblico o privato che sia. Al massimo ci si gioca qualche carriera in tv. In non pochi paesi del mondo può invece comportare anni di carcere, torture, la morte.

Per questo con sempre maggior convinzione l’Uaar aderisce alla campagna internazionale che chiede l’abrogazione di tutte le leggi antiblasfemia esistenti.

Perché, ai pupi di cui sopra, sono ben altre le cose che possono fare male. Per esempio, il non poter scegliere liberamente di che religione essere.

Adele Orioli, responsabile iniziative legali Uaar

Articolo pubblicato sul blog di MicroMega il 13 giugno 2018




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