giovedì 18 luglio 2013 - Aldo Giannuli

Berlusconi, l’incompatibilità e le responsabilità dei suoi “oppositori”

Riflettevo in questi giorni sulla questione della ineleggibilità di Berlusconi e sulla proposta di “mediazione” fatta dal Pd (direi fuori tempo massimo: perché non ci hanno pensato in questi 20 anni?). Nel merito, posso ricordare un episodio di cui sono stato testimone. Nei primissimi del 1994, mentre si profilava lo scioglimento anticipato delle camere, ricordo di aver collaborato con l’allora deputato del Pds Nicola Colaianni a studiare l’ipotesi di sostenere l’incandidabilità di Berlusconi proprio in base alla legge del 1957 che regola le concessioni pubbliche. Dopo alcuni giorni, pur ritenendo che ci fossero margini per sostenere con successo la sua ineleggibilità, notammo che la legge non era univoca e si prestava ad un contenzioso, che non sarebbe stato possibile sostenere di fronte ad elezioni ormai incombenti, per cui Colaianni pensò di abbozzare una proposta di legge ad hoc e la sottopose all’allora segretario del partito Occhetto.

Il quale, chiese quanto tempo ci sarebbe voluto per approvarla e, sentendosi rispondere “qualche mese” (quel che avrebbe comportato il rinvio delle elezioni a giugno), si dichiarò non interessato, perché convinto di “andare a vincere le elezioni a marzo”. Poi sappiamo come è andata. Peraltro nella débacle del 27-28 marzo non venne rieletto neppure Colaianni.

È da quell’antico pasticcio che nasce tutta la tematica sul conflitto di interesse costantemente agitato dalla sinistra in ogni campagna elettorale e mai tradotto in una legge: nelle legislature a maggioranza di destra non si poteva far nulla, perché la destra non voleva neppure aprire il discorso; in quelle a maggioranza di sinistra neppure, perché “certe leggi non si possono fare con maggioranze di parte ma con il consenso di tutti” e la sinistra non può dare la sensazione di abusare della sua maggioranza, come disse D’Alema, e naturalmente la destra non era d’accordo. Che in fondo era anche giusto perché è come chiedere al tacchino se vuol finire in pentola. Quindi per 20 anni la cosa è andata avanti con questo teatrino.

Sinceramente, ora sono molto perplesso, non solo e non tanto perché sussistono quei punti di ambiguità del testo (che però potrebbero essere superati anche sulla base di quello che afferma la recente sentenza richiamata dal M5s), quanto per ragioni politiche. Certo, al punto in cui siamo, non resta che votare per l’incompatibilità senza fare altri pateracchi. Ma questo comporta una serie di problemi che non si possono ignorare.

In primo luogo non è che sia una figura magnifica quella di un paese che ha avuto per 4 volte come Presidente del Consiglio, un signore che era un frequentatore abusivo delle assemblee elettive, salvo poi accorgersene 20 anni dopo. Vi sembra una cosa da paese serio? In secondo luogo perché espone all’accusa di volere eliminare gli avversari per via non politica (e già è iniziata questa musica su diversi giornali, Corriere compreso).

In terzo luogo perché questo va a sommarsi con la questione della sentenza Mediaset (e poi quella per il caso Ruby che è in itinere) e questo crea un ingorgo non positivo, nel quale le varie cose rischiano di disturbarsi a vicenda, confermando l’immagine del “complotto politico-giudiziario”. Anche perché, un conto è che a decidere l’interdizione dai pubblici uffici sia una maggioranza parlamentare sulla base di norme amministrative, e un conto è se a farlo è la magistratura che giudica su una fattispecie di reato, anche se poi se la decadenza dovrebbe poi essere comunque ratificata dal Senato.

Insomma è opportuno che la valutazione di ordine penale preceda l’altra evitando, per quanto possibile, la sensazione di un assedio che non bada ai mezzi opur di ottenere il risultato. La questione, tuttavia, si presta anche a qualche altra considerazione su che razza di opposizione a Berlusconi ha fatto il Pds-Ds-Pd in questi 20 anni: ha coltivato la più scatenata isteria contro il personaggio, salvo poi non fare nulla di concreto. Raro esempio di nullismo politico.

Così come merita qualche riflessione l’ascesa del Cavaliere nel settore televisivo e la creazione del duopolio Rai-Mediaset sancito dalla famigerata “legge Mammì” de 1990 (poi perfezionata dalla legge Maccanico 1997). A dare ascolto alla vulgata diffusa, sembra che l’unico responsabile della sciagurata legge Mammì sia stato Bettino Craxi che, effettivamente, come Presidente del Consiglio la avallò, nella sciocca convinzione di avere un polo televisivo amico (poi, solo due anni dopo, nel 1992 si vide quanto gli erano amici…). Ma, tanto per cominciare, il ministro proponente fu Oscar Mammì che apparteneva al Pri, il virtuosissimo partito dei Lamalfa, di Visentini, di Spadolini, che ha sempre goduto di grande considerazione e rispetto a sinistra, ma che, qualche volta, si distraeva anch’esso.

Poi va ricordato che anche la Dc ebbe la sua parte, non fosse altro perché votò la legge senza fare troppe obiezioni, salvo qualche isolato mal di pancia. E sin qui siamo all’aborrito pentapartito. Ma che dire dei radicali con la loro campagna per non pagare il canone Rai e delle loro proposte referendarie che, quantomeno obiettivamente, spianarono la strada al Cavaliere?

E chi si ricorda del ruolo avuto da Walter Veltroni, all’epoca responsabile del settore radiotelevisivo del suo partito? Quella del Pci non fu certo una opposizione intransigente e scevra di compromessi (vedi Michele De Lucia “Il Baratto”, Kaos ed. 2008). E non fu solo l’ala da cui poi venne il Pds a “compromettersi” perché non mancò qualche accorto fiancheggiamento di Armando Cossutta (vedi Roberto di Fede “Il rosso ed il nero”, Kaos ed. 1998).

Insomma, il Cavaliere non è stato un mostro sbarcato all’improvviso da una astronave marziana sulla Terra. Ad allevare il mostro sono stati in tanti. Anche a sinistra. Ed a volte piccoli opportunismi possono avere grandi e durevoli conseguenze.




Lasciare un commento