domenica 30 agosto 2009 - Damiano Mazzotti

Benvenuti tra i migliori intellettuali del Novecento

“La forza dei bisogni e le ragioni della libertà” (www.diabasis.it, 2008) è un agile dizionario dei maggiori autori liberali e democratici del Novecento, che hanno compreso la dura lezione illiberale del comunismo (non si può eliminare lo Stato, il mercato e il principio della sovranità popolare).

L’intrepido curatore del libro è Franco Sbarberi, professore di Filosofia politica presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Torino, che ha raccolto i saggi di molti studiosi e ha creato una sintetica e profonda ricostruzione dell’indagine liberale sull’universo comunista e le sue sfide. Per semplificare le cose farò la sintesi del pensiero di ogni autore, citando brevi passaggi.

Raymond Aron. Il sociologo francese studiò “Il Capitale” e affermò: “Così non sono diventato marxista. Ciò detto, non esiste autore che abbia letto e mi abbia formato quanto Marx, anche se non ho fatto altro che parlarne male”. La dottrina marxista è “un’interpretazione della società secondo la quale l’infrastruttura economica determina l’intero complesso; poi, un’interpretazione della storia secondo la quale lo sviluppo delle società moderne va dal capitalismo al socialismo. Ma la dottrina marxista non contiene quasi nessuna indicazione precisa su cosa dev’essere un regime socialista, né su cosa dev’essere il potere politico nel socialismo”. “Il comunismo è una versione sbiadita del messaggio occidentale…. l’ambizione di migliorare le condizioni degli uomini… È necessario dire che la teoria comunista gode di tanto prestigio proprio a causa della sua debolezza intellettuale e incoerenza dottrinale?” Per Aron l’insurrezione operaia e studentesca ungherese del 1956 fu “l’unica rivoluzione antitotalitaria del secolo” (p. 9), che mostrò “La pietra angolare di tutta la costruzione: la confusione del partito e del proletariato” e dimostrò che “Le libertà formali, tanto disprezzate dai marxisti, costituiscono ormai l’obiettivo dei movimenti popolari”. I regimi di stampo comunista proclamano la fede nei principi della democrazia e non li applicano: “il comunismo è la religione dell’iper-razionalismo”. Aron derivò il concetto da Nicolai Berdjaev che considerava il comunismo come la parodia della teocrazia. L’egocentrico uomo borghese non si accontenta del potere sul corpo e vuole dominare l’anima, creando così una religione secolare.

Hanna Arendt. Per la Arendt “Stalin è stato un vero è proprio criminale distruttore che ha elevato il crimine a principio organizzativo, precipitando nel disastro totale quella rivoluzione bolscevica che, per quanto sanguinosa e funesta, non credeva nel crimine e nella menzogna”. Molti ex-comunisti sono diventati una categoria antropologica e hanno messo il loro idealismo estremo che crede “nella fabbricazione della storia”, al servizio del liberismo, del consumismo o del conservatorismo.

John Dewey. Nel 1888 la democrazia americana è un modello politico inedito: esiste il principio aristocratico del governo dei migliori e quello socialista della libertà dal bisogno. Inoltre, la forte partecipazione politica del cittadino attraverso l’associazionismo è indice di forte volontà politica. Per il filosofo americano il vero liberalismo è un sistema che educa, forma e alleva degli individui liberi. La filosofia si affianca al processo storico e garantisce lo sviluppo democratico delle istituzioni quando combatte i mali della paura e dell’ignoranza della classe dirigente e della popolazione. La democrazia di massa che non forma coscienze libere e segue la priorità degli obiettivi capitalisti e del profitto, diventa lentamente una nuova forma di regime totalitario.

Vilfredo Pareto. Questo studioso formulò la “teoria delle rivoluzioni” e affermò che in questo tipo di avvenimenti non sono decisive le istituzioni economiche o i rapporti di classe, ma la questione fondamentale è l’irruzione nella scena di una nuova élite (composta da persone opportuniste). Inoltre affermò che il grande nemico della libertà non è la proprietà privata, ma è l’organizzazione, che crea le burocrazie che mirano alla strutturazione oligarchica della società. Inoltre le leggi fatte per raggiungere un certo scopo, hanno spesso effetti indesiderati, anche opposti a quelli pensati.

Norberto Bobbio. Per il grande intellettuale “Il problema fondamentale che gli uomini debbono risolvere organizzando il potere politico non è quello di eliminare gli antagonismi ma regolarli… Sullo sfondo di una concezione pessimistica della storia (la storia umana è storia di lotte perpetue), il liberale è ottimista: crede che da un male (la lotta) derivi un bene (la libertà), il marxista è pessimista: crede che da un bene (la libertà) nasca un male (lo sfruttamento)”. “La democrazia ha vinto la sfida del comunismo storico, ammettiamolo. Ma con quali mezzi e con quali ideali si dispone ad affrontare gli stessi problemi da cui era nata la sfida comunista?” (p. 21).

Luigi Einaudi. In ogni paese, comunista, socialista, capitalista [o l’anarco-liberal-catto-socialista Italia], “Non è libero l’uomo il quale trema al cenno del superiore che gli può togliere il mezzo di procacciare pane a sé ed ai figli; e la suprema libertà, quella di pensare ed operare in conformità ai dettami della coscienza morale, diventa l’appannaggio di alcuni pochi eroi anacoreti”.

Piero Gobetti è stato un grande scrittore eclettico e pragmatico che mirava al rinnovamento delle idee e della cultura. Definì il fascismo come “l’autobiografia della nazione” e considerava il liberalismo come una passione libertaria che vede nella realtà un contrasto di forze, “capace di produrre sempre nuove aristocrazie dirigenti a patto che nuove classi popolari ravvivino la lotta con la loro disperata volontà di elevazione… Lo Stato non è se non è lotta” (1923).

Gaetano Salvemini: “Gli uomini non nascono con uguali capacità, ma con un’uguale capacità di prendere cantonate. Quindi nessuna classe sociale possiede il monopolio dell’intelligenza e della virtù. E la masse sociali o il popolo non sono infallibili né più né meno delle masse”. “Né mi attribuisco sui miei simili una superiorità intellettuale e morale, che mi dia su di essi il diritto di vita e di morte, né ammetto che altri eserciti quel diritto sopra di me” in forza di encicliche moscovite.

Jurgen Habermas. Per lui il comunismo era “l’ideologia istituzionalizzata della disumanità”, poiché le persone non possono essere trattate come oggetti, ma devono essere considerate dei soggetti dialoganti. La sua “Teoria dell’agire comunicativo” afferma che la tradizione culturale “forma il contesto linguistico con il quale i soggetti interpretano la natura e se stessi nel loro ambiente”. Inoltre la crescita della complessità sistemica della società dovuta all’evoluzione economica e tecnologica richiede un analogo sviluppo delle sensibilità e delle obbligazioni morali (i riferimenti agli studi cognitivi sulla moralità del piagetiano Lawrence Kohlberg sono fondamentali). Quindi le società più moderne dovrebbero “promuovere una nuova divisione dei poteri, con l’occhio anche alle relative procedure” (le leggi, la gestione del denaro pubblico, l’informazione, ecc.).

Friedrich von Hayek. Secondo l’economista austriaco la ragione umana non può governare da sola i processi economici e ciò ha portato al delirio pianificatore dei socialismi. Il collega liberista Mises considera i prezzi la fonte della conoscenza necessaria a ogni singolo agente economico per mettere in moto il calcolo economico che conduce alle varie forme di equilibrio. Tutto ciò è molto interessante a livello teorico, ma in realtà la vita economica è fatta prevalentemente di piccoli e grandi oligopoli parassitari che mirano a succhiare più sangue possibile fino al collasso del sistema. Inoltre tutti noi sappiamo che i limiti intellettuali dei consumatori vengono esaltati dalla pubblicità. Però per Hayek le motivazioni umane, egoistiche o altruistiche, sono la maschera di un problema cognitivo generale: nessuno può appropriarsi della conoscenza necessaria a ridisegnare l’intera società e solo l’azione libera di ogni singola persona può riuscire ad ottenere risultati e benefici superiori a quelli originati dalla pianificazione ideologica istituzionalizzata. Le regole di condotta spontanee e non coercitive sono i mezzi migliori da prediligere ai fini del coordinamento sociale.

Hans Kelsen. “Come io non ammetto che lo Stato limiti il diritto alla libertà di ricerca e alla libertà di espressione, così non ammetto che un partito politico limiti questi stessi diritti attraverso la volontaria sottomissione alla disciplina di partito” (Autobiografia, 1947, trad. it. 2008).

Arthur Koestler. Lo scrittore ex-comunista affermò “Se il potere corrompe, è vero anche l’opposto. La persecuzione corrompe le vittime, benché in modi più sottili e tragici” (spesso le vittime fanno il gioco dei persecutori). In “Il dio che è fallito” scrisse: “l’uomo è una realtà e l’umanità un’astrazione… il fine giustifica i mezzi soltanto entro limiti assai ristretti… l’etica non è in funzione dell’utilità sociale, e la carità è la forza di gravità che mantiene la civiltà nella sua orbita”. Per Koestler la verità era stata la prima vittima del regime: “Noi che siamo stati del partito, noi siamo stati i cimiteri ambulanti dei nostri amici assassinati; i loro sudari saranno le nostre bandiere”.

Claude Lefort. Per il filosofo politico francese la burocrazia è una nuova classe sfruttatrice e il socialismo sovietico fu una forma di capitalismo burocratico di Stato (una società assolutista governata dall’Egocrate). Per Lefort Marx è un classico che non può essere preso alla lettera.

Walter Lippmann. Il giornalista e politico americano rivelò per primo il gigantismo economico burocratico della multinazionali che condiziona i governi. Criticò lo Stato che assume le fattezze di una multinazionale per divorare la società civile (quello che è avvenuto in Italia), e affermò: “Non ci può essere libertà per una comunità che manchi di strumenti per scoprire le menzogne” (1920).

George Orwell. Il regime che impedisce le libere comunicazioni e le relazioni tra i cittadini azzera la creatività individuale. Solo quando si è liberi si può dire la verità e la vita può essere onesta e dignitosa. Il potere burocratico consegna “a una minoranza tirannica poteri tali che gli inquisitori spagnoli non si sono mai sognati”. Così l’uguaglianza viene uccisa da chi si sente più uguale degli altri e il principale piacere umano consiste nel vincere e nel calpestare un nemico disarmato.

Karl Polanyi. L’economista ungherese dimostrò che la collettivizzazione delle terre aveva distrutto l’agricoltura russa e il sovradimensionamento dell’industria pesante aveva creato uno squilibrio economico interno distruttivo. “I sovietici hanno compiuto il miracolo di insegnare a leggere e a scrivere a una popolazione di cento milioni di analfabeti… Può bastare politicamente, per governare mediante il monopolio dell’opinione…” ma ciò ha portato “alla utilizzazione estensiva di lavoratori non qualificati al posto di quelli qualificati” (Cronache dalla grande trasformazione, 1993). “Alla Russia mancavano tre cose che i paesi dell’Europa occidentale possedevano: una popolazione istruita, un sistema industriale e tradizioni democratiche”.

Karl Raimund Popper. Il famoso filosofo critica Marx , Hegel e Platone che “estraggono conigli fisici da cappelli puramente metafisici”. Per lui l’unica cosa che si può fare nella vita reale è quella di migliorare le condizioni di lavoro, renderle meno faticose e più degne dell’uomo, in modo tale da ottenere più tempo libero. E poi, Popper non accetta la sfiducia di Marx nella possibilità di modificare le cose attraverso gli strumenti legali, della politica e della democrazia. E ancora: “Chi controlla i controllori?” Marx non se lo chiede mai. La questione non è: “Quali devono essere i governanti?” Il vero problema è: “Come possiamo controllarli?”. Popper disse anche questo: “La Tv dà alla gente ciò che la gente vuole, ma questo non corrisponde all’idea di democrazia, che è quella di far crescere l’educazione generale offrendo a tutti opportunità sempre migliori”. Infine per Popper è inammissibile perdere la testa in gruppo. È molto meglio sbagliare da soli.

Bertrand Russell. Secondo Russell il marxismo è centrato su tre aspetti: l’interpretazione materialista della storia, la legge della concentrazione del capitale e la lotta di classe. E siccome le cose col tempo cambiano, si può aprire lo spazio a diverse critiche, tra cui questa: al lavoratore specializzato di oggi, spesso conviene allearsi con il capitalista contro i lavoratori non specializzati. Inoltre la fonte del potere può variare: cambia l’importanza relativa dell’insieme dei mezzi che permettono di conseguire gli effetti voluti. Il suo pensiero migliore è questo: “non credere mai a quello che viene detto in una frase fino a quando non trovi un valido motivo per ritenerlo vero”. Infatti i capitalisti possono creare il pensiero unico: “controllano l’educazione, la stampa (la tv, la radio e il cinema); decidono quello che un uomo medio deve sapere o non sapere”.

Joseph Alois Schumpeter. Come tutti i bravi economisti perse quasi tutti i suoi soldi durante una grave crisi finanziaria. Però capì che “è il produttore (imprenditori e banchieri) che di regola inizia il cambiamento economico e i consumatori, se necessario, sono da lui educati”. In realtà l’azione di rottura è difficile e il capitalismo può ingessarsi in un sistema socialista burocratico più o meno centralizzato. Però “L’unità industriale gigante perfettamente burocratizzata (la multinazionale) soppianta non solo l’azienda piccola e media e ne “espropria” i proprietari, ma soppianta in definitiva l’imprenditore ed espropria la borghesia, come classe destinata a perdere tanto il suo reddito, quanto (cosa molto più importante) la sua funzione… l’atteggiamento razionalista non si ferma alle credenziali di re e pontefici, ma muove anche all’assalto della proprietà privata e dell’intero schema di valori borghesi”. Dunque Schumpeter fu uno studioso originale che amava scrivere aforismi come questi: “Democrazia è governare con la menzogna”; I politici somigliano a mediocri cavalieri, tanto preoccupati di restare in sella da non potersi preoccupare di dove vanno”. Hyman Minsky fu l’allievo che elaborò un’interessante e famosa “Teoria delle crisi finanziarie” (Potrebbe ripetersi? Instabilità e finanza dopo la crisi del ’29, Einaudi, 1984).

Dunque il comunismo ha dimostrato che il proletariato si è innalzato al livello di stupidità della borghesia (Flaubert) e che un sistema basato sulla menzogna può durare moltissimi anni, ma non per sempre. E tutto ciò deve far riflettere l’attuale oligarchia finanziaria internazional-capitalista. Infatti il sistema sociale delle multinazionali hanno una forma organizzata “oltre la proprietà”, simile alle proprietà baronali feudali: i corporate managers sono i vassalli di allora, avendo il controllo, ma non la proprietà di grandi ricchezze (Paul P. Harbrecht, 1960).

E ora riporto qualche aforisma in linea con il tema: “La cosa peggiore del comunismo è quello che viene dopo” (A. Michnik); Essere uguali perché tutti vogliono essere sopra, ecco il segreto di questa vanità” (Napoleone); “Puoi imbrogliare tutti per qualche tempo, puoi anche imbrogliare qualcuno per tutto il tempo, non puoi imbrogliare tutti per tutto il tempo (Abraham Lincoln); “In moltissime convinzioni esiste almeno un elemento di verità” (Aristotele); “La sola cosa necessaria affinché il male trionfi, è che gli uomini buoni non facciano nulla” (E. Burke); ”Se un leone avesse la coscienza, il desiderio di mangiare la gazzella sarebbe la sua ideologia” (T. Adorno); Liberismo e Comunismo sono formidabili in teoria e spietati in pratica; La cultura è l’alfa e l’omega della politica, il suo fondamento e il suo fine; “Quando moriranno le ideologie e regneranno le idee, scoppierà la pace tra gli uomini” (Amian Azzott); “La logica è la moneta della mente e spesso una falsa equiparazione di concetti simile agli scambi commerciali” (K. Marx); Le fortune di un autore sono dovute alla somma delle incomprensioni di cui nel corso degli anni è stato vittima; “Abbi il coraggio di servirti della tua intelligenza” (motto illuminista).

E chiudo con le parole di un intellettuale già citato: “Le società socialiste non hanno realizzato l’uguaglianza a cui miravano ma hanno eliminato tutte le nostre libertà, personali e politiche. Gli uomini hanno tutti lo stesso diritto al rispetto; né la genetica né la società assicureranno mai a tutti la stessa capacità di conseguire l’eccellenza o di accedere ai primi ranghi” (Aron, p. 36).

 P. S. La parola appartiene per metà a chi parla e per metà a chi ascolta (Montaigne). E una domanda sorge spontanea: come sarebbe stato il comunismo se Lenin non fosse morto nel 1924? Certamente sarebbe stato meno criminale di quello sviluppato da Stalin, e forse anche meno comunista. Infatti alcuni affermano che Lenin volesse nazionalizzare solo la grande industria.




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