giovedì 9 gennaio 2020 - UAAR - A ragion veduta

Banchi di sardine in un mare di antirazzismo e di laicità. O forse no.

La nascita di un movimento che fa del contrasto al populismo e a qualunque forma più o meno subdola di fascismo il suo obbiettivo principale, e che riesce subito a ottenere un discreto successo attraverso una serie di flash mob organizzati su tutto il territorio nazionale, non può non rappresentare di per sé una buona notizia, un motivo di speranza. 

Speranza che nelle coscienze vi sia ancora voglia di democrazia e di uguaglianza di diritti, in una fase in cui il mondo sembra piuttosto ruotare il timone verso politiche di chiusura, sovraniste e reazionarie, in cui perfino la banale foto di un presidente bianco con un neonato nero finisce per diventare motivo di scontro. Quel movimento sono le sardine, nato in opposizione alle nuove destre rappresentate da Salvini e Meloni e all’insegna del no party: nessuna riconducibilità a parti politiche e nessuna intenzione di costituirsi come parte politica.

Impresa certamente non facile. Se ci si scaglia contro una precisa parte ci si colloca inevitabilmente dalla parte opposta, a prescindere dal fatto che si aderisca o meno a un particolare progetto o partito politico. Il che non è necessariamente sbagliato, solo viene ridimensionata la pretesa di neutralità o trasversalità poiché questa di norma è direttamente proporzionale alla specificità dei temi trattati. Più generali e ampi sono quei temi e meno si può essere realmente trasversali. La laicità, ad esempio, è certamente un tema trasversale e infatti i laici ci sono sempre stati sia a destra che a sinistra, quindi il laicismo super partes non è una pretesa ma un fatto concreto. Viceversa, contestando il leader politico, o più leader politici, di una precisa parte è piuttosto difficile apparire come al di sopra di tutte le parti.

Si dirà che nel caso del movimento delle sardine il tema specifico c’è ed è l’antirazzismo, tant’è che delle politiche salviniane si prendono di mira in particolare il decreto sicurezza e la chiusura dei porti. Il che sembra essere vero, lo stesso antisovranismo viene declinato dagli attivisti delle sardine non tanto in senso generale quanto focalizzato in chiave di sostegno all’accoglienza dei migranti. Ma allora cosa differenzia nella sostanza le sardine da qualunque altro movimento di sinistra che rivendica le stesse cose, fatta eccezione per la tassativa assenza di simboli nei loro vari raduni? Perché se si riduce a quest’ultimo aspetto forse è pochino; chiunque può indossare oggi un cappello e domani un altro, ma se la sostanza non cambia il tutto si riduce a una mera operazione cosmetica.

Se poi si va a vedere in che modo questo antirazzismo viene promosso, ecco che la somiglianza tra le sardine e i movimenti di sinistra si fa ancora più marcata. Come dimostra il caso di Nibras Asfa, ragazza musulmana figlia di un imam milanese di origine palestinese che fa il verso a Giorgia Meloni rivendicando il suo essere donna e musulmana. Qui la chiave sta in quello che la sardina Nibras realmente ha rappresentato con il simbolo che indossava: il velo islamico. In un colpo solo Asfa ha opposto il suo islam al cristianesimo di Meloni e il suo velo al rosario di Salvini, quindi si è opposta a un clericalismo e a un preciso simbolo religioso non laicamente, come sarebbe stato corretto, ma solo in modo diversamente clericale. Inoltre, la sua presenza e le sue parole hanno pervaso la piazza sardinesca di quello stesso filoislamismo che ha caratterizzato gli attivisti di sinistra fin dal secolo scorso, quando amavano scendere in piazza con la kefiah per protestare contro Israele.

Insomma, queste sardine saranno anche antifasciste, ma nel loro antifascismo sembrano aver tralasciato un elemento che invece dovrebbe avere grande rilevanza: la laicità. Scegliendo Nibras Asfa hanno, magari anche inconsapevolmente, di fatto mortificato tutte le donne che quotidianamente combattono contro l’imposizione dei simboli e dei precetti islamici nei loro Paesi d’origine. Più in generale, hanno mortificato tutti quegli immigrati provenienti da Paesi non cristiani fuggiti proprio perché professanti una fede diversa dalla maggioritaria, o nessuna fede, e per questo perseguitati o in pericolo. Come giustamente osserva Cinzia Sciuto, rispondendo proprio alle critiche ricevute per un suo articolo sul velo di Asfa e rivolgendosi alla sinistra che non riesce a prendere le difese dei migranti senza ritrovarsi a difendere l’islam, «i migranti vanno accolti e i loro diritti difesi a prescindere dalla loro fede, e non in nome della loro fede».

Certo, il movimento è ancora giovane, perfino embrionale per certi versi, e qualche errore dovuto all’immaturità potrebbe anche starci. Magari ci sarà tempo e modo di ripensare alcune cose facendo tesoro delle scelte discutibili. Magari. O magari anche no. Magari le scelte sono state più ragionate di quanto a prima vista potrebbero sembrare, magari dietro ai volti nuovi c’è gente con una certa esperienza. Secondo Marco Damilano è proprio così: il movimento sarebbe molto meno spontaneo di quel che sembra e a dirigerne le danze da dietro le quinte ci sarebbero personaggi che gravitano nell’orbita di movimenti cattolici quali la comunità di Sant’Egidio e Demos, e prova ne sarebbe il fatto che sullo stesso palco dal quale ha parlato Asfa sono saliti solo due politici, entrambi piddini di area cattolica-popolare: Paolo Ciani e Pietro Bartolo.

Come se non bastasse, vere e proprie “benedizioni” sono arrivate perfino dai vertici ecclesiastici e più precisamente dal segretario di Stato vaticano Parolin e dal presidente della Cei Galantino, due pesi massimi che verosimilmente non si esporrebbero senza una precisa ragione. Senza contare vari altri personaggi sempre provenienti dai settori di sinistra e cattolici, a cominciare dal cardinale Zuppi e dal quotidiano Avvenire. Tutti elementi che, uniti all’assenza di prese di posizione chiare dei leader del movimento sui temi laici, potrebbero avvalorare le tesi di Damilano e allontanare chi spera in un vento di cambiamento che soffi anche sulle vele della secolarizzazione, e che magari ha anche già partecipato al più vicino flash mob dando tutto ciò per scontato. Sta al movimento stesso, ai suoi vertici, rassicurare queste persone insieme a tutte le altre che pur definendosi cattoliche non sono anche clericali. Che sono poi la maggioranza.

Massimo Maiurana

Foto: Wikipedia




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