giovedì 30 maggio 2019 - Alberto SIGONA

Atalanta in Champions League: Bergamo salta di gioia

Oscar Wilde diceva: “Credo a tutto purchè sia sufficientemente incredibile”. Pertanto se fosse stato in vita adesso non si sarebbe sbalordito più del dovuto riguardo a quanto compiuto dall'Atalanta in questo Campionato di Serie A. 

I bergamaschi, infatti, al termine di un torneo encomiabile, oserei dire strepitoso, hanno ghermito il traguardo tanto bramato, centrando una clamorosa qualificazione alla Champions League, per un pass storico mai centrato prima d'ora da una compagine non iscritta al club delle benemerite di lungo corso (se si eccettua la fugace escursione dell'Udinese di qualche anno addietro). Una meta mirabolante che però non è la conseguenza dell'improvvisazione, del fato malandrino o di chissà quale congiunzione astrale.

L'impresa della Dea ha piuttosto fondamenta ben solide e profonde, erette dall'oculatissima governance facente capo al Presidente Antonio Percassi, che nell'ultimo lustro s'è prodigata solertemente nel far compiere un autentico balzo di qualità ad un team di provincia da sempre avulso dai palcoscenici sibaritici. In virtù di una gestione sapiente ed arguta (quanto mai necessaria alle società non d'altissimo rango, per via dei budget risicati che non permettono spese folli riparatorie...), da far invidia ai top team internazionali, ben scevra, direi immune dalle storture spesso presenti nel sistema-calcio, la dirigenza neroblù, facendo leva su di una politica che non badasse esclusivamente alle plusvalenze ma che valorizzasse i giovani, ha forgiato nel tempo una squadra superba (nel senso nobile del termine) in grado d'intrufolarsi di soppiatto al banchetto dell'alta aristocrazia, recedendo dal passato, in cui l'Atalanta generalmente non ha quasi mai navigato in acque che non lambissero le coste, guardandosi bene dall'affrontare navigazioni transoceaniche.

Sicché i tempi in cui i lombardi perseguivano obiettivi poco allettanti adesso appaiono proprio distanti, scorgibili a mala pena coi più sofisticati sistemi radar, alieni dalla nuova filosofia societaria. Eppure ci si riferisce a pochissimi anni fa. Basti pensare che nella stagione 2014-'15 i bergamaschi conclusero il campionato con appena 3 lunghezze di margine sulla terzultima, scongiurando per il rotto della cuffia la retrocessione in cadetteria, quel purgatorio da cui erano usciti nel 2011. Insomma, la metamorfosi dell'Atalanta di G. P. Gasperini (l'uomo dei miracoli che ha traghettato la Dea dalla mediocrità all'eccellenza), di D. Zapata, A. Gomez, Ilicic, Hateboer, Pasalic, De Roon, Masiello & company, s'è concretizzata in tempi estremamente rapidi, poco frequenti nel calcio moderno, in cui persino una nobile decaduta qual è il Milan fatica tremendamente a rinverdire i fasti regali, come d'altronde si sta verificando, coi debiti distinguo, in casa Inter, altra nobile declinata, che esita nel cingere d'assedio un'involuzione principiata all'indomani del Triplete. E sono proprio i casi delle due milanesi a porre decisamente in risalto il fenomeno Atalanta. Un fenomeno che ha tutta l'aria d'essere tutt'altro che effimero, ma che anzi sembra destinato a durare nel tempo, e a nobilitare non poco il pedigree dei lombardi, per un qualcosa che potrà fungere da esempio per altre società di caratura medio-bassa, che potrebbero adottarne i “costumi”, sfidando le big su terreni alternativi, sostituendo la sfida economica con quella inerente la politica dei vivai, ridando dignità e slancio allo spirito genuino del calcio, sulla falsariga di quanto si verifica all'estero, dove spesso e volentieri il blasone s'inchina al cospetto delle idee e dell'organizzazione (a volte assente nei grandi club italiani, vedasi Roma e Milan), col caso eclatante dell'Ajax destinato a far scuola negli anni venturi.

Il Campionato che ha appena chiuso i battenti alla cronaca per essere convogliato nella storia sarà dunque rimembrato in primis per l'exploit atalantino, ma di questa Serie A riecheggeranno in futuro anche le gesta della Juventus, giunta all'ottavo Scudetto di seguito. Madama in quest'ultimo decennio, con A. Conte prima e M. Allegri poi (a proposito, mai nessun allenatore aveva vinto 5 Titoli Nazionali consecutivi), ha parzialmente riscritto la storia dell'ex campionato più duro del Pianeta. Oramai la squadra bianconera è divenuta sinonimo di vittoria, quella vittoria che sembra ottenere con una regolarità ed una facilità impressionanti, tant'è che portare a casa l'intera posta in palio rassomiglia ad un vero e proprio dovere piuttosto che ad un'opportunità. La conquista del Titolo Nazionale viene perciò parificata ad una riscossione obbligata di un tributo annuale, a scapito di una concorrenza sempre più dissanguata e ridotta all'apatia. Con l'innesto di super C. Ronaldo la forbice coi competitors s'è ulteriormente allargata e lo strapotere dittatoriale della Signora si è notevolmente rafforzato, al punto da predare il Campionato già a febbraio (virtualmente s'intende). Così il Napoli ha dovuto trangugiare amaro anche stavolta, e nemmeno l'aver affidato la panchina ad un mago come C. Ancelotti ha ridato slancio ai partenopei, che non hanno neanche acquisito quella dimensione internazionale tanto invocata e pregustata dai più. Speranze mal riposte anche per il già citato Milan di G. Gattuso, la cui scia scaturita dopo l'addio di S. Berlusconi non sembra voler svanire. Ha invece tentato maldestramente d'imitare la grande Atalanta il Torino di U. Cairo, ma non si è andati oltre un seppur onorevole 7° posto, lambendo quell'Europa League a cui approda, tramite la porta secondaria della Coppa Italia (vinta sull'indomita Dea), la Lazio di S. Inzaghi, perennemente in bilico tra la mediocrità e la bontà, parimenti ai cugini della Roma, che saluta D. De Rossi, al passo del commiato dopo tantissimi anni di militanza giallorossa, vissuti sempre in prima linea, ostentando un attaccamento alla maglia con pochissimi eguali recenti nella storia del calcio nostrano e con rari riscontri al di là dello Stivale. Salutano la nostra Serie A, almeno in via temporanea, il Chievo Vr - il cui esempio virtuoso di sana gestione aziendale è stato sporcato da un -3 di penalizzazione che la dice lunga sui demoni che imperversano nello sport più amato dagli italiani - il Frosinone e l'Empoli, castigato dalla classifica avulsa, a beneficio del Genoa, che ha rischiato di pagare un pedaggio ingente alla prematura cessione del polacco K. Piatek al Milan. Ed a proposito di bomber, chi mai potrà espellere dalle nostre menti il ricordo dell'impresa compiuta da F. Quagliarella, capace a ben 36 primavere di sedersi sullo scranno di capocannoniere, siglando la bellezza di 26 reti? E pensare che un tempo non proprio remoto un attaccante si sentiva sul viale del crepuscolo già a 30 anni...Meritano una citazione, oltre agli stranieri D. Zapata (trascinatore della già incensata Atalanta), Piatek e C. Ronaldo (quest'ultimo si è attestato un po' al di sotto dei suoi standard di rendimento: evidentemente gli anni passano anche per gli extraterrestri...), gli altri bomber di stampo italiano L. Pavoletti (Cagliari), C. Caputo (Empoli) e soprattutto A. Petagna (Spal), in cui molti intravedono le stimmate del campione, del centravanti di sfondamento alla C. Vieri, anche in virtù di quel fisico poderoso che si ritrova. Sempre per rimanere in tema di marcatori seriali, ci rallegriamo per la rinascita del napoletano A. Milik, che dopo vicissitudini degne dell'Odissea di Omero è tornato finalmente un calciatore dal fiuto del gol letale, persino sui calci di punizione: in questo torneo ne ha messi a segno 3, facendo meglio di chiunque altro, conquistando il platonico vertice dei “punitivi”, impresa nel recente passato riuscita a veri killer dei calci piazzati come A. Del Piero, A. Pirlo, M. Pjanic e P. Dybala.

 

Alberto Sigona

 




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