domenica 3 giugno 2018 - maurizio cavaliere

Antonio Pardo Pastorini e la letteratura del declino: "Coscienza e ragione, è un’epoca complessa"

Sarebbe da collocare nel genere fiction ‘Un altro mondo è possibile’, nuovo romanzo di Antonio Pardo Pastorini. Se non fosse che la narrazione sconfina in territori più complessi, anti-utopici, filosofici, psicologici, tanto che Pastorini parla di “letteratura del declino”, chissà, un nuovo filone da scoprire in questo mondo accelerato dai supporti tecnologici e distorto dagli estremismi, non solo religiosi.

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Lo scrittore molisano Antonio Pardo Pastorini
"Forse per leggere questo libro bisognerebbe prima indossare l’elmetto"

Eccolo, Antonio Pardo Pastorini. Ci racconta la trama e porge il seme che ha generato il romanzo di ‘un altro mondo già passato’. Ci propone una visione della vita al crepuscolo della civiltà, anche se il suo alla fine sembra essere quasi un antidoto alla corsa verso l’elisir di lunga vita in una società che si sgretola.

La storia si svolge in una Napoli futuristica, irriconoscibile per le atmosfere descritte e gli episodi che si avvicendano. Il visionario astrofisico, Julius, svela l’inganno del tempo e della materia in un vortice di situazioni e citazioni. Pastorini è abile a interessare il lettore con reali accadimenti del passato. La cultura del vero spazia mentre l’intelligenza artificiale della fantascienza diventa capace di trascendere il bene e il male. Il romanzo emoziona, colpisce per la tenerezza di alcuni momenti, per il rapporto contrastato fra il lato interiore e la ragione che, inevitabilmente, non trova tutte le risposte. Il mondo, la vita, sono qualcosa di tremendamente più complicati. Il turbamento di Julius è quello di chi volge lo sguardo alla propria coscienza prima ancora che agli altri. “Pensi di essere quello che non sei: questo è il motivo d’ogni confusione ed ogni pena”.

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La copertina di "Un altro mondo è già passato" secondo romanzo di Antonio Pardo Pastorini

Il romanzo è uscito a fine marzo ed è stato segnalato dalla giuria del Premio ‘Nabokov’ per l’elevata qualità letteraria e per il forte impatto emotivo.

Ma ecco di nuovo arrivare Pastorini. Comincia l’intervista…

 “Un altro mondo è già passato” è un romanzo particolare. In quale genere letterario è collocabile?

Ci sono storie che non possono essere confinate entro generi prestabiliti. Credo che questa mia ultima abbia dei caratteri di originalità, che potrebbero appartenere ad un nuovo genere, definibile “letteratura del declino”. Una sorta di fusione tra il romanzo filosofico, psicologico e anti-utopico perché è centrale il pensiero e descrive un'ipotetica società, collocata in un futuro prossimo, nella quale alcune tendenze sociali, politiche e tecnologiche sono portate al loro limite estremo. Non è una narrazione consolatoria, né d’evasione. E neppure catastrofista. Ritengo appropriato definirla una letteratura scandalosa, in quanto potrebbe arrecare turbamento morale e sconvolgimento delle coscienze, per l’ambizione del pensiero di Julius, il protagonista centrale, di andare oltre le fedi, al di là delle divinità, più in alto del pensiero scientifico e oltre il comune senso della vita e della realtà.

Può accennare brevemente alla trama?

Il romanzo ha una struttura circolare. Inizia con un prologo, in un mondo simile al nostro, con tre lune aliene che rischiarano di luce ambrata l’imbrunire, mentre, nel folto d’un bosco, un cerbiatto azzurro assiste spaurito all’uccisione della mamma, preda d’un branco di lupi. Quello delle tre lune non è il mondo in declino di Julius, che, forse, è il nostro in un futuro prossimo. Il romanzo si conclude con un epilogo, che chiarirà quale sia l’insospettata coincidenza tra il mondo alieno e quello del protagonista. Nel racconto Julius entra in scena già vecchio, quando tutto è ormai vicino alla fine. Per difendersi dal genocidio, messo in atto da macchine con intelligenza artificiale, gli uomini fanno brillare diversi ordigni atomici, che scatenano una planetaria attività vulcanica e tellurica. A Napoli il Vesuvio esplode distruttivo, mentre si cerca scampo dalle macchine. Julius non scappa. Da tempo ha scoperto il significato dell’esistenza e sa che nulla potrà finire e che la morte, così come la vita, non è che un inganno della coscienza. Per questo aspetta sereno che tutto si compia ed assiste Petra, sua moglie, malata. Ma l’inatteso sopraggiungere di Desiderio, un bambino sfuggito alle macchine, che gli hanno catturato i genitori, smuove a pietà Julius. S’adopera per non farlo soffrire. Lo accudisce, lo ristora e lo illude di futuro, dissimulando l’imminenza della fine del tempo. Entrambi s’assopiscono. Julius ripercorre, nel dormiveglia, i momenti vissuti, che, come tasselli d’un mosaico, si compongono in una sequenza cronologica e consentono di capire in che modo si sia giunti fino a quello scenario apocalittico. Infine, quando le macchine fanno irruzione nella casa di Julius, in un drammatico crescendo la vita di tutti e il mondo intero sembrano svanire per sempre. Ma sarà davvero la fine? La risposta arriverà dall’epilogo.

Come è nata l’idea di scriverlo?

Dopo secoli di conoscenze, ora molte certezze vacillano. La fede in un progresso illimitato si sta indebolendo. E, nonostante gli straordinari sviluppi tecnologici, paradossalmente aleggia nelle coscienze più sensibili la percezione del limite. Un senso di finitezza. Non è soltanto perché il mondo è diventato troppo piccolo e con risorse naturali non infinite o perché la diminuzione della biodiversità è oltre 100 volte più rapida, rispetto al passato. Molti animali e vegetali sono in via di estinzione. Gli insetti impollinatori stanno calando. A Sichuan in Cina ormai sono i contadini che hanno preso il posto delle api e vanno impollinando a mano le colture. Ma non è solo l’ambiente che finisce. Oggi si parla anche della fine del lavoro. Non nel senso della tradizionale disoccupazione, ma nel significato di sparizione di consolidate professioni. L’Intelligenza Artificiale avanza. Negli USA un algoritmo sta già sostituendo i medici di base. A breve molti lavori verranno svolti da una macchina, non solo nelle aziende e negli uffici pubblici. Si sta già testando un umanoide in grado di muoversi agilmente su ogni tipo di terreno. Quando tempo passerà prima che potrà imbracciare un’arma ed essere arruolato in un esercito di androidi? Ma anche il pensiero scientifico ha la consapevolezza del proprio limite, da quando Kurt Godel, il più grande logico-matematico di tutti i tempi, con i teoremi dell’incompletezza ha dimostrato che non è mai possibile giungere a tutte le verità.

Poi c’è anche il limite dei sistemi economici e sociali. Guardandoci indietro, superato il grande scontro, ideologico e militare, tra capitalismo e comunismo, l’inarrestabile cammino dei valori dell’umanesimo liberale, che avevamo dato per scontato, appare soltanto un’illusione, per il diffondersi di immense disuguaglianze tra nazioni ed all’interno delle nazioni. Mentre assistiamo inermi ad ignobili atti di terrorismo, ormai planetario. Insomma, i tradizionali modelli di convivenza civile, religiosa e di ordine geo-politico mostrano l’inadeguatezza a garantire la stabilizzazione e un armonioso governo del mondo. La civiltà a cui eravamo abituati sembra destinata a breve a sparire. Cosa la sostituirà? E quale trasformazione subiranno gli uomini con lo sviluppo della genomica? Il trans-umano supererà l’umano? Come evolverà la democrazia? Ebbene sono queste percezioni e considerazioni che mi hanno sollecitato a scrivere “Un altro mondo è già passato”, che in fondo è un tentativo letterario di immaginare il futuro prossimo dell’esistenza.

Nella sua narrazione quale messaggio vuole trasmettere?

Si dice che un libro che pretenda di dare risposte non sia mai un buon libro. Nella mia storia si pongono soprattutto domande e, mi auguro, si suggestioni il lettore con visioni inattese e sorprendenti sull’essenza della materia, dello spazio, del tempo e sulla natura della coscienza umana. In fondo racconto il dissidio tra coscienza e conoscenza. Esistono? O sono entrambe un inganno? E di chi? Più che un messaggio la narrazione vuol fare emergere la consapevolezza che, forse, qualcosa di straordinario a breve accadrà. Qualcosa di epocale.

La sua è una visione ottimistica o pessimistica?

L’ottimismo e il pessimismo sono due categorie di giudizio sul corso degli eventi, che non mi appartengono. Mi ritengo più fatalista. Le cose accadono e non sappiamo veramente perché. In ogni caso, quando parlo di evento epocale non necessariamente penso alla catastrofe. Per milioni di anni gli uomini hanno vissuto come bestie, soltanto obbedendo agli impulsi più istintivi per sopravvivere. Poi è accaduto qualcosa di straordinario e di epocale: è comparsa la parola e si è sviluppata la coscienza, che ha rotto la primitiva condizione bestiale. Oggi qualcosa di altrettanto straordinario potrebbe arrivare e rompere la nostra condizione umana, come lo fu, milioni di anni fa, la comparsa della parola. Magari una nuova elevazione della consapevolezza. Una sorta di illuminazione delle coscienze, che renderà sorpassata ed ingenua ogni consolidata credenza degli uomini. Forse anche l’idea di Dio verrà giudicata un’ingenuità.

Ma la sua è una narrazione atea?

Assolutamente no. E’ un’affabulazione letteraria che necessariamente deve guardare oltre le fedi per sollecitare suggestive percezioni sul senso della vita e del creato. Se non fosse così la storia sarebbe, oltre che conformista, banale e noiosa. L’intento della narrazione non è la profanazione. E’ il desiderio di smuovere nel lettore il pensiero profondo e percettivo. Non l’evocazione, fine a se stessa, dell’angoscia, ma l’insinuazione del dubbio nelle più solide convinzioni. Sospettare che ogni certezza, altro non sia che un dubbio, che teme di guardarsi nello specchio, dovrebbe smussare i conflitti e le convivenze, perché rende evidente come nessuno possa essere proprietario di verità. Leggo dal romanzo: “Per i governanti non serviva, però, ammazzare Dio, né le umane convinzioni. Occorreva solo trasformare l’assoluto in estetica. Perché solo quando le fedi fossero diventate una questione di gusto, solo allora si sarebbe estinto ogni fondamentalismo. Le guerre di religione e quelle ideologiche sarebbero state rimpiazzate da un multiforme caleidoscopio di colori. Ognuno avrebbe scelto quello a lui più gradito, senza credere che fosse il più bello e il più vero. Allora il vivere sarebbe diventato soltanto una questione di stile. Cosa direbbe a un potenziale lettore per invitarlo ad leggere il suo libro?

Beh, direi di mettere l’elmetto da esploratore, quello con la lampada da speleologo; rilassarsi nella lettura di “Un altro mondo è già passato”. Il romanzo è speleologia della coscienza e degli abissi più bui. Alla fine mi auguro che possa trovare sorprendenti stalattiti, di fronte alle quali si riconoscerà eterno.




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