Anteprima Presadiretta: Europa, la sfida industriale
I dazi di trump colpiscono l’Europa nel suo momento di massima debolezza economica, con la Germania che rallenta mentre cresce la competizione tecnologica cinese. E l’Italia?
In aspettando Presadiretta si parlerà della crisi idrica nelle regioni del sud, in particolare in Basilicata e Sicilia. Lo scorso dicembre Presadiretta era andata sulla diga della Camastra a girare le immagini dell’invaso, la diga era completamente vuota. Ma in realtà tutti gli invasi della Basilicata sono vuoti e questo è il motivo per cui la regione che ha sempre dato l’acqua a tutto il sud si è ora trovata senz’acqua e hanno dovuto chiudere i rubinetti delle case.
Ma il tema della siccità e della gestione idrica è comune ad altre regioni d’Italia, che diventerà ancora più importante ora che sta arrivando l’estate.
In che modo la Sicilia si sta attrezzando all’arrivo dell’estate? Il team di Presadiretta ha attraversato l’isola andando a verificare lo stato in cui versano le grandi infrastrutture idriche fondamentali per garantire l’approvvigionamento idrico.
Sul sito Agricolae.eu trovate una anticipazione del servizio:
«Partendo dagli eventi estremi della siccità dello scorso anno, abbiamo deciso di indagare su come la regione con il più alto livello di severità idrica d’Italia si stia preparando all’estate imminente», dichiara l’inviato Pablo Castellani. «Ci siamo concentrati in particolare sulle grandi dighe, infrastrutture fondamentali per garantire l’approvvigionamento idrico alle aree circostanti», aggiunge la collega Roberta Pallotta.
Il team ha attraversato l’isola documentando lo sversamento di acqua dalla diga Trinità, a Castelvetrano, completata nel 1959 ma mai collaudata, per poi spostarsi alla diga Comunelli, definita da Castellani «un gioiello ormai inutilizzabile a causa della mancata manutenzione». Il viaggio prosegue con la grande incompiuta di Blufi e la diga Ancipa, al centro della cosiddetta “guerra dell’acqua” tra i comuni di Enna e Caltanissetta del dicembre 2024. «Quello che abbiamo registrato è un quadro di carenze strutturali, mancanza di manutenzione e assenza di una pianificazione efficace per il futuro, che lascia sconcertati», osserva Pallotta. «La prossima siccità rischia di essere drammatica».
Nel corso del reportage, la redazione ha intervistato anche la Coldiretti Sicilia, che ha descritto una situazione drammatica per gli agricoltori, alle prese con raccolti compromessi e costi in aumento per far fronte alla scarsità d’acqua. Spazio anche all’ANBI, l’Associazione nazionale dei consorzi per la gestione e la tutela del territorio e delle acque irrigue: il direttore generale Massimo Gargano ha parlato della cronica mancanza di manutenzione delle dighe in Italia e in Sicilia. «Serve una cultura dell’economia e della manutenzione delle nostre dighe», ha dichiarato.
«Abbiamo chiesto chiarimenti alla cabina di regia per l’emergenza siccità, coordinata dall’ingegnere Salvo Cocina», aggiunge Castellani, «per capire come si stiano attrezzando per affrontare le crisi idriche future».
Il reportage si sposta poi nell’area di Butera, dove sono in corso lavori di trivellazione per la costruzione di nuovi pozzi, e nei luoghi dove saranno installati tre dissalatori mobili già a partire da giugno. «Tutti provvedimenti importanti, ma non sappiamo se basteranno», conclude Pallotta.
Europa - La sfida industriale
Il racconto della crisi industriale in Europa passa dalla Germania: a Dusseldorf i mille operai della Vallourec hanno celebrato il funerale degli impianti dove hanno lavorato per anni. Era il 14 settembre 2023 e col suono di una sirena si sono chiusi più di 40 anni di attività.
A maggio 2022, pochi mesi dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, Vallourec aveva deciso di spostare tutta la produzione siderurgica dalla Germania al Brasile.
“Qui dentro lavoravamo in 3000 all’inizio” racconta uno degli operai che è anche presidente del Consiglio di Fabbrica “abbiamo proposto di tutto pur di non chiudere, abbiamo ridotto il personale, chiesto di fare prodotti di maggior valore, ma l’azienda non voleva investire, guardava solo al flusso di cassa e voleva andarsene dall’Europa. Abbiamo chiesto aiuto alla politica ma non siamo stati ascoltati, per loro non eravamo strategicamente importanti..”
A Berlino, il 16 dicembre si apriva la crisi di governo che ha portato i tedeschi nuovamente alle urne nel pieno di una vera e propria de-industrializzazione: tra chiusure e delocalizzazioni, dal 2019 la Germania ha perso il 10% della sua produzione manifatturiera, solo nel 2024 il calo è stato del 4% e gli indici continuano a scendere.
I siti come quello della Vallourec, nella Ruhr non torneranno più – continua Vilson Gegic – “qui è pieno di aziende storiche, sono tutte in crisi e se chiudono tutte come finirà l’Europa? Lo standard di vita che abbiamo avuto fino ad oggi, gli stipendi, il sistema sociale , li avremo ancora in futuro? Possibile che non ci siano nuove tecnologie in grado di salvarci?”
L’Europa non ha una visione industriale comune come non ha nemmeno una visione comune sulla tassazione: in Irlanda si paga solo il 12,5% di tasse sui profitti, una cifra irrisoria che spiega come mai le multinazionali americane hanno sede proprio in quel paese.
In Italia la tassazione è del 24% e negli Stati Uniti è del 21%: alle multinazionali conviene investire in questo piccolo paese. Le più importanti sono qui infatti, tra queste le principali aziende americane della digital economy, la maggior parte delle quali ha la sede nella zona dell’ex porto oggi completamente riqualificata e ora piena di grattacieli e locali alla moda. L’hanno soprannominata la silicon dox. Google, Linkedin, Tik Tok, AirBnb, X, Dropbox, Amazon e Indeed. E ovviamente Meta, ovvero Facebook, Instagram e Whatsapp. Queste multinazionali pagano in realtà tasse per meno del 12,5%. Se si analizzano i bilanci si scopre che pagano tra il 2 e il 5% di tasse – spiega a Presadiretta Kieran Allen professore di sociologia a Dublino. Assieme al collega Brian O’Boyle hanno scritto un libro intitolato “Tax haven Ireland”.
“L’Irlanda è sicuramente un paradiso fiscale, è principalmente strutturata per favorire le multinazionali americane, visto che le multinazionali pagano pochissime tasse, il peso fiscale si sposta sui lavoratori irlandesi che pagano una aliquota fiscale relativamente alta per servizi di qualità molto scarsa.Per esempio se hai un bambino, mandarlo all’asilo nido qui a Dubino ti costa fino a 1200 euro al mese e se non ha una assicurazione sanitaria privata, e un terzo della popolazione non ce l’ha, potresti aspettare anni per una operazione all’anca o un altro banale intervento.”
Aziende che fanno profitti in Europa, lasciando qui solo poche briciole. Forse queste cose qualcuno dovrebbe spiegarle al presidente Trump proprio adesso che ci sta prendendo a schiaffi coi dazi.
Come raccontano le anteprime dei servizi, per le società la tassazione in Irlanda è molto favorevole
Anche questo è un segno della debolezza europea di fronte alle grandi potenze del pianeta, gli USA da una parte e la Cina dall’altra, per cominciare.
Un’Europa che – come spiega Iacona presentando la puntata – si trova davanti ad una sfida industriale pazzesca, tra gli Stati Uniti che ci riempiono di dazi e la capacità produttiva e competitiva della Cina.
Presadiretta ci porterà in Germania, dove l’economia si è fermata, poi in Italia, poi Iacona ci riporterà in Cina (già visitata nel servizio dedicato alle energie rinnovabili) e in Irlanda.
L’Europa ad ottobre 2024, in difesa delle proprie industrie automobilistiche ha emanato dazi che vanno dal 17 al 35% sull’importazione degli autoveicoli elettrici dalla Cina. E come hanno risposto a questa mossa i grandi gruppi automobilistici cinesi?
Lo spiega Stella Li, vicepresidente di BYD, prima aziende produttrice di auto elettriche al mondo: “non penso che sia intelligente da parte dell’Unione Europea applicare i dazi perché alla fine danneggiano i consumatori finali europei che dovranno pagare di più. Tuttavia BYD già due anni fa, prima che si iniziasse a parlare di dazi, aveva deciso di investire in Europa, apriremo uno stabilimento in Ungheria.”
Anche in Italia potreste aprire una fabbrica?
“Siamo aperti ad ogni paese, man mano che continueremo a crescere avremo bisogno di maggiore capacità, ogni paese in Europa potrebbe essere un candidato per la nostra seconda o terza struttura.”
Lo stabilimento ungherese dovrebbe iniziare la produzione di auto elettriche a fine 2025. Anche la cinese CATL, il più grande produttore di batterie al mondo, aprirà uno stabilimento in Ungheria: partirà così la prima filiera elettrica cinese in Europa, che produrrà centinaia di migliaia di autovetture all’anno, che potranno essere vendute senza dazi.
Dalla BYD al gruppo Chery, il secondo marchio cinese di auto che nel 2024 ha venduto 2,6 ml di vetture, un incredibile +40% rispetto al 2023, con un fatturato di 67 miliardi di dollari, 100mila dipendenti di cui un terzo lavorano nel settore ricerca e sviluppo.
Presadiretta è entrata dentro uno degli stabilimenti, accolti da un robot che riconosce facce e voci, frutto dei lavori di ricerca del gruppo, capace anche di rispondere.
È grazie alla mobilità elettrica che Chery diventa una vera e propria compagnia tecnologica.
Lo spiega il presidente Zhang Guibing: “le auto elettriche sono auto sempre più intelligenti, il cockpit è intelligente e le tecnologie di guida autonoma sono intelligenti. Anche le batterie sono intelligenti e ce le produciamo da soli con la nostra ricerca e sviluppo perché dobbiamo essere indipendenti dal punto di vista tecnologico. Le nostre batterie hanno una ricarica veramente rapida, veloce, in cinque minuti puoi raggiungere 400 km di autonomia e questo vale anche per i motori elettrici. Hanno consumi di energia molto bassi, circa 9,9kw/ora per 100 km [il consumo medio di una batteria è di circa 13,5 kw/ora]. Con le auto elettriche hai la forza, hai la potenza, hai la velocità di accelerazione, tutto quello che vuoi. Ecco perché ora in Cina anche BMW, Mercedes, Audi, Porsche, vendono di meno.”
Quindi la vera innovazione è davvero l’auto elettrica – ha chiesto Iacona
“L’elettrificazione è la chiave, è fondamentale. Poi le tecnologie per la guida autonoma intelligente sarà la prossima chiave. L’intelligenza artificiale in interconnessione col guidatore e i big data. Questo sarà il nostro futuro e anche su questo stiamo lavorando.”
Anche il gruppo automobilistico cinese Chery ha investito in Europa: nel 2024 è nata una joint venture con una azienda spagnola a Barcellona, con la realizzazione di uno stabilimento capace di produrre 150 mila auto l’anno su piattaforma e tecnologia cinese. Alla firma dell’accordo era presente anche il presidente spagnolo Sanchez insieme ai vertici dell’azienda cinese.
Dalla Spagna, le auto elettriche Chery verranno vendute in Europa e ancora una volta senza dazi. Lo slogan di Chery è “in Europe, for Europe”.
Cosa significa lo spiega a Iacona il presidente Zhang Guibing: “noi non vogliamo semplicemente vendere le nostre auto in Europa, noi vogliamo integrarci con l’industria locale europea, con la catena di approvvigionamento e i fornitori europei, coi governi europei. Non solo i nostri clienti devono rimanere soddisfatti, ma anche i governi lo devono essere e i lavoratori europei, e la società europea. Ecco cosa significa per noi in Europa per l’Europa.”
Significa che volete produrre sempre di più in Europa?
“Se vogliamo essere un grande attore dobbiamo sicuramente produrre in Europa.”
E’ vero che volete aprire un centro design in Italia e che sareste interessati a comprare la Maserati – ha chiesto il conduttore.
Il presidente ha risposto positivamente per il centro di design mentre ha preferito non rispondere sulla Maserati, “posso solo dire che siamo molto interessati a diversi marchi di alta gamma”.
Come commenta il fatto che l’Europa non stia spingendo come la Cina sulla mobilità elettrica, il fatto cioè che in Europa si vendano così poche auto elettriche?
“E’ chiaro che le infrastrutture elettriche non sono sviluppate come in Cina e questo è un problema, ma negli ultimi due anni ci sono stati grandi cambiamenti, l’innovazione tecnologica si sta sviluppando molto velocemente, noi le chiamiamo auto super ibride perché dentro la città possono fare dai cento ai trecento chilometri solo in modalità elettrica e in guida mista si può arrivare a 1200 km di autonomia. Anche in Cina le super ibride stanno crescendo: ancora una volta è la ricerca tecnologica che sta dando tutte le risposte e che farà crescere il mercato delle elettriche anche in Europa.”
Hangzhou la chiamano la città dell’acqua perché attraversata dal grande fiume Qiantang, quando arriva in città è largo e gonfio di acqua prima di gettarsi nel mar Cinese meridionale. Poi c’è il lago dell’ovest che fa parte della lista dei beni patrimonio dell’umanità protetti dall’Unesco, sempre pieno di turisti che vengono qui a visitarlo.
A Hangzhou c’è il quartiere generale della Geely, altro gruppo industriale nel settore dell’automotive con 11 stabilimenti e 50mila dipendenti.
La storia della Geely rappresenta bene quello che è successo nel settore dell’automotive: negli anni 90 sono arrivati i grandi marchi dall’occidente a produrre macchine in joint venture con le aziende cinesi e così c’è stato il trasferimento tecnologico.
Oggi grazie alle auto elettriche il rapporto si è rovesciato: sono le grandi case automobilistiche cinesi che godono di un vantaggio tecnologico rispetto ai concorrenti stranieri.
Così è partita la scalata dei gruppi cinesi nei confronti di quelli occidentali.
Iacona ha visitato uno degli stabilimenti della Geely che può produrre fino a 300mila autovetture l’anno, settecento al giorno, pronte per partire per tutto il mondo.
Questa è la fabbrica della Link&Co una joint venture con la Volvo Cars di cui la Geely è diventata proprietaria. Ma la campagna acquisti non è finita qui: Geely è il maggior azionista di Volvo group, il gruppo che produce autocarri e anche della Lotus cars, della Daimler, della Aston Martin.
L’ultima acquisizione Geely l’ha fatta nel 2019 quando ha comprato da Mercedes il 50% di Smart: oggi la nuova Smart si fa in Cina, il design è tedesco, ma la piattaforma e la tecnologia è tutta cinese.
Sono auto dove la guida è assistita, il guidatore deve tenere le auto sul volante, ma la macchina si guiderebbe da sola, in grado di evitare gli ostacoli sulla strada.
Tutta questa intelligenza costa molti soldi – spiega Tong Xiangbei AD di Smart – perché la macchina è dotata di diversi sensori, ma è qualcosa che va fatto, “se non fai questo salto tecnologico perdi il treno dell’innovazione per sempre.”
Che poi è quello che sta succedendo ai marchi europei, che hanno perso il treno della mobilità elettrica e che oggi pensano di difendersi dal futuro bloccando in Europa le leggi sul green deal. Barattando profitti a breve termine col futuro, con la difesa dell’ambiente.
E l’Italia? Ci sono aziende che hanno sposato e investito molto nell’innovazione: Presadiretta è entrata dentro gli stabilimenti della VHIT, un’azienda che produce sistemi lubrificanti e frenanti per i motori. Tutti i macchinari registrano in continuazione ogni processo e inviano un mare di dati all’intelligenza artificiale per monitorare l’efficienza dell’impianto, riducendo il costo del lavoro diretto. Si risparmiano soldi alla fine che finiscono in testa d’opera, ovvero ricerca e sviluppo – spiega Corrado Laforgia Addi VHIT – di nuovi processi e prodotti, “questa azienda nel 2014 disegnava e produceva soltanto componenti per motori a combustione interna, dal 2014 la stessa funzione viene fatta da un motore elettrico, da una scheda elettronica, da un software. Per fare questo abbiamo investito in nuove competenze, eravamo dei meccanici, oggi siamo diventati dei meccatronici. Abbiamo imparato cos’è il software, cos’è l’elettronica, cos’è un motore elettrico, quindi ci stiamo preparando per il futuro.”
E’ questa l’innovazione che può salvare le aziende italiane?
“Le aziende italiane possono salvarsi se riescono a capire dove mettersi all’interno di questa nuova catena del valore, non è più soltanto un problema di produrre, a produrre ormai sono capaci tutti, quello che fa la differenza è, davanti ad un problema, ad una necessità di mercato, io come la risolvo molto meglio degli altri?”
Ma ci sono altre azienda che in questo momento stanno facendo i conti con la “tempesta perfetta” che si sta abbattendo sul settore manifatturiero: Presadiretta ha visitato il distretto industriale di Brescia, una delle provincie a più alto valore aggiunto in Italia con le sue 13mila aziende, che esportano i loro prodotti per il 19% in Germania e che ora per la crisi tedesca hanno visto calare l’export di 440 ml.
Dunque la crisi in Germania che colpisce anche le azienda in Italia, ma poi c’è anche il costo dell’energia che costituisce un grave problema per le aziende nel settore siderurgico: “L'Italia ancora oggi è la nazione all'interno dell'Europa che paga un costo dell'energia più alto. Questo non ci consente di essere competitivi” racconta Giuseppe Pasini di Feralpi Group.
Si tratta di una crisi senza precedenti che ha costretto molte di queste aziende a ricorrere alla cassa integrazione con fermi di produzione prolungati.
Sta andando in crisi un modello di produzione basato sulla piccola-media impresa, a condizione familiare e che ora non è in grado, da sola, a gestire questo cambiamento di mercato, perché manca la mentalità del cambiamento, per essere pronti a gestire queste nuove tecnologie: le tecnologie green, l’intelligenza artificiale, un modello di produzione dove l’operaio non è un robot ma un tecnico con forti competenze tecnologiche.
Non basteranno i sussidi che il governo Meloni ha messo in campo prendendo i soldi dal PNRR e dai fondi di coesione per risolvere questa situazione.
La scheda del servizio:
In apertura la carenza idrica in Basilicata e Sicilia
La carenza e la cura inadeguata delle risorse idriche sono al centro di “Aspettando PresaDiretta”, in onda domenica 13 aprile alle 20.30 su Rai 3. Due sono le situazioni emblematiche analizzate: la Basilicata, riserva idrica per l’Italia del sud, dove in pieno inverno migliaia di persone si sono ritrovate con i rubinetti a secco. Qui le dighe sono semivuote e i tassi di dispersione del 60 per cento. E poi la Sicilia, dove in 30 anni la disponibilità di acqua è diminuita del 25 per cento. L’inchiesta è incentrata su grandi opere incompiute, mancati collaudi, insufficiente manutenzione, danni all’agricoltura e agli allevamenti, disagi per i cittadini. Ospite in studio Antonello Pasini, climatologo del Cnr, parla di crisi idrica, di eventi climatici estremi e di cosa fare per cambiare rotta.
“PresaDiretta” prosegue con la puntata “Europa la sfida industriale”, sui dazi di Trump che colpiscono il vecchio continente nel suo momento di massima debolezza economica.
Sull’industria tedesca pesa il rischio recessione. Le acciaierie, i cantieri e le fabbriche di auto in Germania sono alle prese – come mostrano le telecamere di “PresaDiretta” - con migliaia di licenziamenti, scioperi, delocalizzazioni, chiusure di impianti. Pesanti le ripercussioni anche in Italia, soprattutto nel bresciano, area legata a doppio filo all’industria tedesca, non a caso definita il diciassettesimo Land. Un viaggio negli stabilimenti siderurgici, meccanici e della filiera dell’auto, che vivono il crollo delle esportazioni.
Sul fronte opposto, la Cina e il suo primato mondiale di veicoli elettrici. Il reportage di Riccardo Iacona racconta un sistema che conta 40 gruppi automobilistici, più di 100 marchi, 4 milioni e mezzo di lavoratori. Non solo, oggi sono le aziende cinesi a portare avanti joint venture e acquisizioni in Europa. Mentre in Italia a Termoli, gli stabilimenti Stellantis si svuotano di operai e di produzione. E anche il grande progetto di costruire una gigafactory per realizzare batterie elettriche non è mai decollato: sempre meno posti di lavoro, sempre più ore di cassa integrazione.
Eppure, i soldi per sostenere l’economia ci sarebbero, se anche le multinazionali pagassero le tasse. Come dimostra l’Irlanda: dal settore farmaceutico a quello tecnologico, dalle comunicazioni ai servizi finanziari hanno lì la propria sede ben 1.800 multinazionali, in maggioranza americane. Perché lì le tasse sono molto più basse rispetto a Italia o Usa.
Ospite in studio per analizzare la crisi e le nuove sfide industriali Emiliano Brancaccio, docente di Economia politica all’Università Federico II di Napoli.
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