venerdì 8 luglio 2016 - Elena Ferro

Anoressia: storia di una donna che ce l’ha fatta

E' da tempo che ho voglia di scrivere intorno all'eccessiva magrezza delle donne e degli uomini, non solo in passerella, ma nella comunicazione che passa massiccia nella nostra società.

Sapete qual è il messaggio che mi arriva, ogni volta che vedo esibita la magrezza quasi come forma d'arte? L'idea che si possano ridurre all'osso le caratteristiche di ogni singola donna o uomo "alla moda", cioè coerente con il modello che ci propinano.

Non fanno che relegare la natura umana, così splendidamente variegata e plurale, a qualcosa di facilmente riconoscibile e standardizzato. Un modello, appunto, e non è un caso che proprio di "modelli" si parli sulle passerelle.

Poi, qualche mese fa, incrocio un racconto, anzi un romanzo, distribuito in catena di lettura sul sito specializzato Anobii. Resto affascinata dal titolo "Io, come la Fenice". L'autrice è una donna, Jaemy. Lei è stata anoressica.

Mi iscrivo subito. Sapete come funziona Anobii non è vero? Ospita catene di lettura che mettono gratuitamente a disposizione copie del proprio romanzo (l'ho fatto anche io con Così passano le nuvole). Poi attendi un pò di giorni, a volte settimane, e quando meno te lo aspetti arriva un involucro giallo a forma di libro.

Lo apro e mi torna in mente che cosa mi aveva colpito della sinossi: la storia di una donna che lotta contro un male tanto diffuso quanto ancora troppo ignorato, l'anoressia e sua sorella bulimia.

Certo avevo già letto qualcosa a proposito. Sono una forte mangiatrice e più volte mi sono chiesta se in questa mia passione per il cibo rientrasse una qualche forma di disturbo alimentare.

Alla fine ho realizzato che sono semplicemente poco riconducibile alla narrazione imperante della donna sempre a dieta e in costrizione, che controlla tutto ciò che consuma, mangia, eccetera eccetera. Insomma, sono una gaudente. Punto.

Spesso sono gli altri che hanno bisogno di incasellarci, e spesso glielo permettiamo. Accettarsi è la chiave, ma in quante davvero riusciamo a farlo?

Ma non avevo mai incrociato una storia vera, la storia di una donna forte e caparbia. Jaemy, che nella vita si chiama Emilia, l'aveva raccontata.

Quasi istintivamente l'ho contattata e le ho proposto un'intervista per Volpi che camminano sul ghiaccio, ormai diventato uno spazio per storie di donne senza veli.

Lei ha accettato subito senza alcuna condizione. E' lì che ho capito chi avevo di fronte, una donna che non ha paura di confrontarsi e che anzi sceglie di parlare.

Perciò sono orgogliosa di potervela presentare e chissà, magari alla fine di questa lunga chiacchierata (non mi basta mica un post!) avrà persino voglia di mostrarsi.

Così care Volpi con questo primo articolo entriamo nel mondo di Emilia, calabrese di 33 anni, madre di una splendida bambina di due anni e compagna di Jean. Insieme vivono circondati dall'affetto di Luna, una cagnolona di dieci anni e mezzo e di Momò, un gattone nero salvato dalla strada e che da quella casa non è più uscito. E nel ricordo di suo padre, che è stato il perno della sua guarigione.

Preparatevi perché il messaggio di Emilia è forte.

"Uscire dall'anoressia si può. Solo bisogna abbattere il muro del silenzio" 

 

L'intervista a Emilia Clorinda - autrice di "Io come la Fenice"

 

Ciao Emilia, benvenuta nel blog e grazie per aver accettato di raccontare la tua bellissima storia. Innanzitutto, vorresti aiutarci a capire che cos'è l'anoressia?

L'anoressia è un disturbo alimentare che induce chi ne soffre a limitare patologicamente il cibo. Spesso si intreccia con un altro disturbo alimentare, altrettanto grave, che è la bulimia, ovvero l'eccesso di alimentazione compulsiva spesso accompagnato da vomito.

Quando un adolescente (o un bambino in età preadolescenziale, come purtroppo oggi i dati ci riferiscono) si accorge che nella sua famiglia qualcosa non va, qualcosa non "funziona", si rifugia in se stesso riversando il suo malessere verso la parte di sé visibile, cioè il corpo.

Si guarda allo specchio e non si riconosce, non si piace, non si accetta. Non è quello che dovrebbe essere.

L'immagine non è mai abbastanza buona o consolante da colmare il vuoto interiore che sente.

Pensa che quella sensazione di "sbagliato" che sente dentro di sè non sia legata ad altri che a se stesso e dunque si concentra sull'unica cosa che può controllare davvero in modo efficace, il proprio corpo. Può ridurre il cibo, aumentare la quantità di attività fisica, insomma può operare dei cambiamenti su un terreno che in quel momento è disponibile. E i cambiamenti avvengono.

 

C'è una definizione che mi vene in mente piuttosto efficace.

L'anoressia è un urlo disperato di chi all'interno del proprio nucleo familiare non ha altro modo di far sentire la propria voce.

Così è capitato anche a te, suppongo. Quali sono i segnali che manda un'adolescente che si sta ammalando ai propri genitori?

Quando lanci i primi segnali, molto spesso non vengono colti, purtroppo. Capita che i genitori pensino che si tratti della normale crescita o di un periodo che "prima o poi passa".

Non è facile, non si è mai preparati abbastanza, perché di disturbi alimentari non si parla mai, in realtà. Hai notato? Si parla tanto di diete, di educazione alimentare, ma non dei disturbi correlati all'alimentazione. Immaginati ragazzine e ragazzini che vivono il momento più difficile della loro vita sottoposti a questi bombardamenti... Qualcosa sembra dire: solo così andrai bene, avrai successo, sarai accettato.

Suppongo che il primo segnale che ho lanciato è stato la chiusura in me stessa, la cessazione del dialogo. Ho smesso di parlare, in particolare con mia madre, con la quale non ho mai avuto un buon rapporto.

Poi mi sono concentrata sul cibo. Sentivo questo bisogno di riempire un vuoto infinito che percepivo dentro di me, proprio all'altezza dello stomaco, senza sapere da dove arrivasse o da cosa fosse dovuto.

Sembra quasi che il cibo sia diventato un nemico per te

In un certo senso sì e in un altro no. Nella fase bulimica ingurgiti letteralmente il cibo nella speranza di mettere a tacere quel senso di vuoto, ma quando capisci che non ha funzionato e che quel vuoto è ancora lì, ti coglie la disperazione.

La strategia non è servita a nulla, anzi, ora sei assalita dai sensi di colpa. Così ti chiudi in bagno e di nascosto vomiti tutto quello che puoi. Ci puoi stare anche delle ore. Ore infinite in cui ti senti sola, incompresa, prigioniera.

Per te è stata prima bulimia o anoressia?

Inizialmente avevo solo voglia di fare tanto sport. Mio padre mi aveva avviato al basket ed io lo avevo assecondato, anche se in realtà ora so che avrei voluto fare altro.

Poi, quando i miei si sono separati, ho cominciato a mettere su qualche chilo, in realtà solo un paio, ma per me erano già troppi. Gli dichiarai guerra. Cominciai a correre a a fare tutto lo sport che potevo. Così è cominciata.

Solo dopo ho deciso di mangiare sempre meno. Non volevo che quel vuoto, dovuto alla separazione dei miei genitori, si colmasse.

Più dimagrisci e più hai la percezione che i problemi si affievoliscano, ti sembra la strada giusta.

Mentre nella mia fase bulimica tentavo di colmare il vuoto interiore col cibo, nella fase anoressica il soffocamento che sentivo dentro di me era associato al peso del corpo. Un peso che volevo assolutamente annullare. E ci riuscivo, eccome. Insieme al peso, annullavo me stessa.

So che è paradossale. L'anoressica diventa ogni giorno più debole perché non si alimenta correttamente ma lei o lui si sente fortissimo, leggero, assolutamente in forma. Si potrebbe addirittura dire che si sente felice. Non hai notato quanto siano iperattive le anoressiche? Hanno più energia di altri!

Quindi è difficile capire la malattia perché nel caso della bulimia si riesce a nascondere anche per molto tempo, mentre nel caso dell'anoressia, si può scambiare per iperattivismo, per salute ed energia. 

La sera sei distrutta, ma non importa. La tua vita sociale è inesistente. Tendi a restare il più possibile "coperta", non solo dai vestiti.

Eri consapevole di essere anoressica? No. Oggi preferisco parlare di disturbi alimentari, l'ho imparato a mie spese. Molte ragazze bulimiche non vomitano ma si abbuffano per riempire il vuoto al punto da sfociare nell'obesità. Il loro corpo è la barriera più impenetrabile dalla società. Le fa sentire tranquille, protette.

Ai miei tempi, negli anni '80, l'anoressia era la malattia delle modelle e nient'altro. Le mie coetanee si ammalavano di leucemia, di questo avevo paura. Dell'anoressia no, mi sembrava troppo distante dalla mia esperienza quotidiana.

 

Che ruolo ha la famiglia in tutto questo?

Quando i rapporti personali dentro il nucleo famigliare non sono soddisfacenti o del tutto assenti, quando il dialogo è assente o le regole morali diventano imperativi che impediscono la piena realizzazione si genera il terreno fertile per i disturbi alimentari.

La malattia diventa una sorta di rimprovero nei confronti di chi preferisce tacere e far finta di niente di fronte a ciò che accade alle adolescenti del nucleo familiare, piuttosto che affrontare i problemi esistenti. Un rimprovero verso i genitori.

Prima di diventare anoressica, rifletti sulla tua vita passata e la proietti sul tuo futuro. Capisci come hai vissuto fino a quel momento e ti rendi conto di chi non vuoi più continuare ad essere.

Non vuoi più essere l'oggetto della volontà altrui. L'anoressica in pratica si rifiuta di vivere una realtà che percepisce come falsa. Da qui nasce il conflitto

Un conflitto che si gioca nel silenzio. L'anoressia e la bulimia sembrano quasi malattia del silenzio, dell'interruzione delle relazioni.

Possiamo dire così. Sono malesseri che appartengono a tutta la famiglia. La prova è che per uscirne è tutta la famiglia che deve sottoporsi alla terapia, altrimenti ogni sforzo sarebbe inutile.

Hai sperimentato direttamente la psicoterapia familiare?

Sì, la terapia psicoterapeutica è sia familiare che personale. L'ho descritta nel mio romanzo e ho partecipato con difficoltà ma con tenacia, soprattutto grazie alla forza di mio padre. L'obiettivo è far venire alla luce i veri problemi tra i membri della famiglia, per comprendere cosa abbia scatenato il rifiuto del cibo e quali siano le ragioni profonde. Investe tutta la famiglia, nessuno può sentirsi escluso.

 

Un ruolo chiave dunque ce l'hanno i genitori. Come è stata la relazione con i tuoi?

Mio padre è stato un sostegno fondamentale. Mia madre si è sempre tenuta distante, da lei non mi sono mai sentita veramente amata. Non ne faccio un dramma, oggi, a distanza di anni, il rapporto con lei è migliorato, ma non è un rapporto madre-figlia piuttosto mi prendo cura di lei quando posso.

Mio padre invece, che mi ha assistito giorno e notte e mi ha sempre spronato a guarire, è stato l'elemento chiave della mia guarigione e per questo gli sono eternamente grata. Oggi che non c'è più è il modello di mammo/padre che vorrei interpretare per rendere mia figlia una donna migliore.

 

 Fine della prima parte

 



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