lunedì 14 giugno 2010 - Maurizio Mottola

Andare oltre la legge 180 oppure “Tanto sono pazzi! Arrendiamoci!”

Mercoledì 9 giugno 2010 si è svolto a Roma il convegno Andare oltre la legge 180 nella direzione dei pazienti e delle loro famiglie. Finalmente al voto in Parlamento la riforma dell’assistenza psichiatrica, a cui hanno partecipano componenti della Commissione Affari Sociali della Camera ed esponenti politici.
 
Giovedì 13 maggio 2010 è stato il trentaduesimo anniversario dell’approvazione della legge 180/1978 di riforma psichiatrica. Tale approvazione, oltre ad evitare il referendum abrogativo della legge manicomiale del 1904 e del relativo regolamento manicomiale del 1909 (promosso dal partito Radicale e che era stato indetto nella domenica 11 giugno 1978), spiazzò - nell’anticipare la successiva riforma sanitaria del dicembre 1978 (la 833) - le impreparate amministrazioni regionali, che impiegarono parecchi anni per varare le relative normative regionali, lasciando le Unità Sanitarie Locali di allora nel più completo isolamento, prive di direttive ed affidate alla buona volontà degli operatori del settore. Pertanto l’attuazione del modello organizzativo previsto - basato sulla centralità dell’assistenza psichiatrica territoriale rispetto al ricovero ospedaliero - ha subito vicende alterne, scontrandosi con le risapute inefficienze e burocraticismi degli enti locali e gli stessi operatori, impegnati nell’applicazione delle nuove modalità di assistenza psichiatrica - previste dalla legge 180/1978 - si sono continuativamente scontrati con marcati inadempimenti, con vistose indisponibilità di mezzi e risorse e talvolta con vere e proprie ostilità del contesto, che non era stato messo in condizione di confrontarsi con un cambio di atteggiamento a livello culturale (e quindi normativo) nei confronti del malato mentale.
 
Insomma l’approvazione della legge 180 evitò il referendum - promosso dal Partito Radicale - e però evitò anche l’ampio confronto nel paese su di un tema - la follia -, che suscita una profonda paura, seconda unicamente alla paura della morte. Pertanto ad una significativa riforma fu sottratto il diffuso dibattito (nel caso di svolgimento del referendum), che avrebbe invece consentito ai cittadini un’adeguata elaborazione e di affrontare già allora gli aspetti che negli anni successivi hanno determinato inadempienze e disagi. Gli sviluppi scientifici dei modelli biologico, psicoterapeutico, psicosociale consentivano comunque di affrontare in maniera multidisciplinare la malattia mentale in un contesto che invece era condizionato ancora notevolmente dalla paura della follia da un lato e dall’altro dalla mancanza di efficienza delle istituzioni, logorate dalla frammentazione degli interventi e legate a tempi oggettivi completamente distanti dalle esigenze della collettività.
 
Insomma in Italia anche quelle volte in cui si varano norme riformatrici, poi occorrono lustri prima che siano concretamente ed ordinariamente applicate: un modo del tutto italiano di riformare. Inoltre le risorse finanziarie destinate per la promozione della salute mentale e del benessere psicofisico sono considerate erroneamente una spesa, quando sono invece nei dati delle ricerche forniti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) un investimento, in quanto la maggiore risorsa naturale delle nazioni sono i cittadini e perciò promuovere efficacemente la salute ed il benessere dei cittadini significa dunque incrementare la prosperità di una nazione. Se si intende inoltre per prevenzione non solamente la diagnosi precoce e la rimozione delle possibili cause patogene, bensì la promozione e l’impiego di tecniche e metodiche attinenti alla più specifica delle risorse dell’individuo - la sua mente -, allora ne deriva che per la prevenzione del disagio psichico e l’implementazione della salute mentale occorre incrementare l’accessibilità alle cure nelle sue varie articolazioni. Alla salute mentale viene in molti paesi destinato meno dell’1% dei fondi sanitari e la stessa salute mentale non ha la priorità che le andrebbe attribuita, in considerazione anche del fatto che quella mentale è la più specificamente umana delle malattie.
 
Infatti mentre gli sviluppi scientifici dei modelli biologico, psicoterapeutico, psicosociale consentono di affrontare in maniera multidisciplinare la malattia mentale, invece in molti contesti la paura della follia costituisce un deterrente, che interferisce con l’adeguato trattamento dei disturbi mentali. Quindi vincere il confronto con l’esiguità dei fondi ed i pregiudizi che ancora ineriscono la malattia mentale è la svolta che consentirebbe di investire sulla promozione della salute mentale e del benessere psicofisico dei cittadini, piuttosto che cronicizzare le cure e quindi finire con l’impiegare più fondi e più risorse, senza ridurre significativamente il rischio di disagi psichici e disturbi mentali. In Italia - dove c’è stato un considerevole aumento del consumo di psicofarmaci - il futuro della legge 180 è dunque affidato alla scelta politica di voler destinare le risorse adeguate all’assistenza psichiatrica, sia tenendo conto che rendere operative e funzionali strutture che seguano il paziente psichiatrico nelle varie fasi del percorso assistenziale è un impegno politico-sociale di civiltà con i suoi relativi costi, sia rendendosi conto che tale scelta va anche sostenuta a livello culturale con informazioni ed iniziative, che contribuiscano ad elaborare la radicata paura della follia. Altrimenti si corre il rischio di rientrare nell’ambito delle tentate soluzioni, che possono anche aggravare la situazione piuttosto che renderla migliore: è questo il nodo principale che ha da affrontare la Commissione Affari Sociali della Camera, la quale sta affrontando e dibattendo varie proposte di modifiche della legge 180/1978, come del resto è stato fatto ad ogni legislatura da lustri senza addivenire ad una nuova legge.
 
Secondo l’Associazione Italiana Psichiatri (AipsiMed) è fondamentale adottare un nuovo modello che ponga al centro gli utenti dei servizi e le loro famiglie ed investire in questa strategia, che ha da fondarsi su 3 punti principali:
1) nuove strutture e nuovi servizi, meglio definiti, che vadano incontro alle necessità degli utenti;
2) un moderno schema legislativo, che rispetti la legge sui diritti umani, così come lo hanno tutti i Paesi europei. Tra l’altro la Francia ha creato una legge sull’amministratore di sostegno 30 anni prima dell’Italia;
3) investimenti adeguati. Ciascuno di questi punti non va considerato isolatamente, in quanto -in mancanza di una solo di essi- il miglioramento dell’assistenza psichiatrica non potrà realizzarsi.
 
Comunque il presidente del consiglio Silvio Berlusconi ha smentito il deputato del Pdl Carlo Ciccioli, primo firmatario di un disegno di legge sulla modifica della legge 180, che durante il convegno Andare oltre la legge 180 aveva detto di avere parlato con il premier, trovandolo d’accordo. In una nota di palazzo Chigi viene affermato stringatamente quanto segue: ’’Il Presidente Silvio Berlusconi non ha parlato di modifiche della legge 180 sui malati psichiatrici con alcuno, contrariamente da quanto riportato da agenzie di stampa’’.
 
Inoltre il decreto legge n. 78 del 31/5/2010 “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica” (Gazzetta Ufficiale n. 125 del 31-5-2010 - Supplemento Ordinario n. 114) - tra l’altro nel diminuire i trasferimenti alle regioni per 10 miliardi di euro nei prossimi 24 mesi- toglierà 10 milioni di euro ai Servizi di Salute Mentale ed ai servizi sociali. Un taglio insostenibile per un settore dell’assistenza già in forte crisi che riceve, in media, solo il 3% della spesa sanitaria, con forti differenze tra le varie Regioni. Si tratta del tasso più basso in Europa che invece dedica alla Salute Mentale dal 7,5% al 13% del budget per la Sanità. Dunque altro che andare oltre la legge 180; piuttosto torna alla mente una scritta pre-legge 180/1978 sui muri di “manicomi” dell’epoca: “Siamo pazzi! Arrendetevi!”. Sì, i governanti con questi tagli nel settore dell’assistenza ai malati mentali già si sono arresi senza avere però la chiarezza di dire esplicitamente: “Tanto sono pazzi! Arrendiamoci!”.



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