mercoledì 22 febbraio 2012 - Professional Consumer

Andare oltre la finanziarizzazione dell’economia

Quando il meccanismo produttivo entra in stallo, per sovraccapacità di offerta e sottocapacità di spesa della domanda ed il mercato manca di fare il prezzo di questo squilibrio, si apre il varco all’ingresso dell’industria di soccorso, quella finanziaria: credito sufficiente surroga redditi insufficienti per riparare il danno. Superata la turbolenza l’economia riprende a volare.

La politica che governa fa profitto elettorale, fanno profitto le imprese smaltendo l’eccesso; i consumatori rinfrancati, lì apposta, approfittano per dotarsi di tutto il bendiddio. I prodighi di cotanto credito pure. Negli Usa, tra il 2000 ed il 2005, gli utili dell’industria finanziaria salgono dal 10 al 36% dell’intera Corporate America: i loro adepti intascano lauti bonus, corpose stock-options. Onore al merito!

Il meccanismo produttivo, drogato all’uopo da anabolizzanti reflattivi, oliato dalla finanza, va al massimo. La crescita economica tocca altezze mai viste prima.

I finanziatori, per finanziarsi e finanziare, si abbeverano alle politiche monetarie all’uopo espansive. Solerti, mettono in piedi una gigantesca offerta di credito che intercetta un’affamata domanda di prodotti finanziari. Offerta irresistibile per chi ha bisogno di rifocillare il potere d’acquisto; spudorata per chi deve, voglia, possa, investire in quegli strumenti.

Et voilà, ricchezza generata con il debito! Il mercato efficiente a corrente alternata, non scorge apprendisti stregoni affaccendati in alchimie finanziarie che infesteranno il mondo.

Già, infestano proprio quel mondo che prima hanno fatto ricco! C’è spazio per esecrare scomodando pure l’etica. In molti lo fanno, pure la politica.

E no signori! Questo credito seppur manipolato, venne erogato con il placet di lor signori per far funzionare il sistema produttivo. Altro che economia finanziarizzata!

L’Establishement economico-politico del mondo anglosassone, interprete del fatto, opera in casa una corposa ristrutturazione industriale: si sacrifica la produzione manifatturiera, si sprona quella dei sevizi finanziari, sostituendo la sovraccapacità di offerta dell’una con la sovraccapacità della domanda che ingrassa l’altra.

Quando lì salta il banco del debito arriva la crisi che rende inattingibile il credito, che blocca il meccanismo dello scambio del sistema industriale delle economie sviluppate, che inguaia quegli erari che tentano di rifinanziare i debiti facendo altro debito.

Oggi, nel tempo delle ipocrite vendette, si invoca la prode “economia reale” affinché scacci il potere finanziario.

Detto, fatto: oltre l’auspicio, per ridimensionare quel potere occorre che il meccanismo produttivo sia in grado di autosostenersi, funzionare oltre il debito; riallocando le risorse economiche, appannaggio degli agenti produttivi, si può.

Sì, per compensare il contributo al funzionamento di un ingranaggio produttivo, circolare e continuo, fornito da quelli della domanda, gestori dell’output di sistema. Un modo per sottrarre spazio al bisogno di debito: quel che occorre per regolare la finanza.

Quel che mancano di fare i regolatori può farlo il mercato così ristrutturato affinché si possano tornare a finanziare gli investimenti nella produzione, gli input, non i processi di consumazione.




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