martedì 7 agosto 2012 - paolo

Anche nello sport ci facciamo riconoscere

Le Olimpiadi sono un palcoscenico internazionale unico e noi non perdiamo l'occasione per rinsaldare la pessima reputazione che abbiamo.

Questa torrida estate ci regala l'avvenimento sportivo più importante di sempre, ovverossia i Giochi Olimpici che hanno cadenza quadriennale e che quest'anno si svolgono a Londra. Proprio il riferimento logistico è rafforzante per quanto sto per dire perché, fatti episodici a parte, l'Inghilterra è ritenuta a buon titolo la patria del "fair play" e della sportività in senso lato.

Quindi una vetrina per mettere in mostra il carattere, la lealtà, lo spirito di sacrificio, oltre ovviamente alle qualità sportive che si esprimono nel gesto atletico o nell'abilità dell'armeggiare strumenti come l'arco, il fioretto ecc... Bisogna subito dire che non ce la stiamo cavando affatto male e che, a parte qualche flop inatteso come per esempio nel nuoto dove le ambizioni erano molte, naturalmente con codazzo di polemiche nel più classico degli scaricabarile nostrani, bisogna riconoscere che per essere un paese in grave difficoltà stiamo dando, almeno per ora, tutto sommato una buona prova.

A sporcare questa immagine ci ha pensato il pugilato che, oltre ad avere già di suo qualche problema di reputazione non cristallina in termini di arbitraggi, ci ha permesso di mettere in mostra uno dei lati peggiori della nostra cultura sportiva.

Attendevo l'incontro del nostro peso massimo Clemente Russo opposto al temibilissimo pugile cubano Larduet, da tutti ritenuta una finale anticipata della categoria, per gonfiare il petto dell'orgoglio di essere italiano. Insomma l'occasione buona per mostrare agli spocchiosi sudditi di sua maestà di che pasta siamo fatti e che lo "spread" a noi non ci fa un baffo perché abbiamo coraggio e braccia forti. A commentare l'incontro, oltre ad un insipido telecronista di SKY, una garanzia per tutti gli amanti della "noble art", quel Patrizio Oliva campione olimpico e mondiale che mi è rimasto nella mente per un fantastico saluto al figlio dopo un incontro stravinto con la fatidica frase " Ciro a' papà!!" che incorniciava la sua napoletanità.

Pronti via, il nostro Clemente Russo si appiccica al cubano avvinghiandosi come un polipo in una sorta di ballata d'amore, sotto gli occhi di un arbitro stralunato, per non dire di peggio, impedendo di fatto al cubano di combattere. Una cosa indecente che viene commentata dai due ineffabili cronisti come fosse una normale forma di strategia combattiva, insomma una tattica. Patrizio Oliva, al termine dell'incontro, se ne esce con un fantastico " ...si effettivamente l'incontro è stato molto brutto ma Clemente è stato molto furbo a confondere l'arbitro...". Capito, molto furbo, insomma ha imbrogliato l'arbitro, per la verità molto compiacente, e ha indotto il pubblico a sonore bordate di fischi ma l'importante è che abbia vinto. Poi diciamo che su di noi si sprecano gli stereotipi. Ho persino assistito ad un pugile, battuto in un precedente incontro a seguito di un giudizio arbitrale indecente, a conferma che i giudizi arbitrali sono il cancro della boxe, sollevare il braccio del cubano ed indicare insistentemente agli astanti che era lui il vero vincitore e non il pugile italiano. Mai visto niente di simile in vita mia.

L'episodio fa il paio con quanto sta avvenendo nel calcio con la faccenda delle partite truccate o le "combine" che dir si voglia. Antonio Conte, ex giocatore della Juventus ed attuale allenatore già camione d'Italia, indagato nella scabrosa vicenda del calcioscommesse ha tentato, attraverso i legali del club bianconero, di patteggiare una pena minima. Si parlava di tre mesi di sospensione ed una pena pecuniaria, tuttavia al rifiuto del Collegio inquirente, che ha ritenuto la pena non adeguata alla gravità dei fatti, si è scatenata la furibonda reazione del club bianconero, supportata da tifosi che sono giunti persino a minacciare la Disciplinare.

Ora se si patteggia significa ammettere la colpa e in un paese normale la società ed i tifosi dovrebbero essere indignati non verso il Collegio Giudicante ma nei confronti di uno sportivo che è venuto meno al dovere primo che è quello della lealtà sportiva. Invece a questi non frega nulla, l'importante è vincere, come non conta. Ma la storia della Juventus, la "Juve" per i suoi tifosi, meriterebbe la scrittura di un intero libro perché è paradigmatica della cultura di un popolo che poi si è riversata nella sua classe politica con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti.

Questa è ancora la mentalità largamente diffusa che veniva rappresentata nelle famose barzellette dove c'era un italiano, un tedesco ed un francese. Indovinate un po' chi era il più furbo?

Talmente furbi da ritrovarci nella merda.




Lasciare un commento