lunedì 2 febbraio 2015 - angelo umana

Amour, di Michael Hanek

 Michael Haneke è un originale “giovane” regista 73enne, austriaco con molte french-connections (per via degli attori e attrici francesi sue muse), spiazzante, intellettuale, controcorrente, capace di mostrare la violenza estrema e gratuita di Funny Games (1997 rifatto nel 2007), il sospetto e il voyeurismo in Niente da nascondere (con Claude Auteuil e Juliette Binoche), i vizi non detti o la perversione della perfida La pianista (Isabelle Huppert), l’analisi delle relazioni tra gli esseri umani in Il nastro bianco, Oscar al miglior film straniero nel 2010, e le considerazioni sulla vecchiaia di questo Amour, vincitore a Cannes nel 2012. Un tempo della vita non frequentemente descritto dal cinema nella sua essenzialità, con realismo, l’ineluttabilità del diventar vecchi (“se di vecchiezza la detestata soglia evitar non s’impetra”, Leopardi), gli aspetti quasi banali o il lato oscuro, nascosto, di questa fase della vita, lontano dall’entertainment o dalla mitizzazione che a volte il cinema ne fa.

I due anziani ultraottantenni sono niente-poco-di-meno che Jean Louis Trintignant e Emmanuelle Riva, con la loro giovane 60enne figlia Isabelle Huppert. Si invecchia, non ci si può far niente, si degrada e non si riesce ad essere più quelli di prima. Un film che pone diversi temi: uno è quella della pietà di Trintignant nell’assistere la sua compagna, che decade progressivamente e velocemente, un impegno a cui tiene fede perché la loro è un’unione forte ormai più che un Amour. Un legame tra due intellettuali benestanti, lei era una pianista e la figlia Huppert vive della musica anch’essa. Da piccola si rasserenava, dice al padre, al sentire i genitori fare l’amore nella loro stanza, capiva che erano uniti. Ma Trintignant non tiene fede a quell’impegno proprio fino all’ultimo. Sarà forse la pietas o le convinzioni della moglie che lo portano a non prolungare quella sofferenza: lei si era fatta promettere di non venire mai più ricoverata in ospedale, e riteneva del resto priva di senso una vita condotta tra quegli stenti, quando non si può svolgere quasi più nessuna delle proprie occupazioni quotidiane.

La vita prosegue o questa è la vita, così sembra pensare la figlia Huppert al trovarsi sola nell’appartamento vuoto dei genitori alla fine del film; la vita proseguiva anche prima, attorno ai due anziani: “Non ho il tempo di pensare alla vostra preoccupazione. Avete la vostra vita, lasciateci la nostra”. Questo le aveva detto il padre quando essa voleva agire, fare qualcosa contro il decadimento della madre: un non reagire che risulta inaccettabile ad altre età. Sia stato per il valore del regista, oppure per la veridicità delle scene girate sempre all’interno dell’appartamento dei due anziani, oppure ancora per la interpretazione di due mostri sacri del cinema francese e per quella “sofferente” e toccante di Emmanuelle Riva, la Palma d’Oro a Cannes fu strameritata!

 



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