venerdì 3 agosto 2012 - Zag(c)

Ambiente e produzione un falso dilemma a Taranto

Il dilemma non è fra ambiente e produzione, ma del modello di produzione. Qualsiasi compromesso su quel falso dilemma non fa che arretrare il lavoro ed avanzare il capitale.

Ma a Taranto il problema è ancor più falsamente posto. Il problema non è, come apparentemente si pone, fra produzione e ambiente, ma chi deve pagare la dismissione di una parte del ciclo produttivo. Intanto nessuno chiede o ha chiesto, vuole o immagina la chiusura dell'ILVA.

Ma solo di una parte del ciclo, quello caldo che parte dal minerale, ferro, calcare, carbone e arriva alla ghisa e quindi all'acciaio per finire in blocchi chiamate bramme. Questo rappresenta il prodotto finito del ciclo a caldo e la materia prima per la laminazione a freddo o a caldo in lamiere, coils, lamierini, tubi.

Gli impianti del ciclo a caldo, datati strutturalmente negli anni settanta sono prodotti di quella tecnologia, oggi obsoleta. Sono figli di quegli anni, in cui il concetto stesso di ambiente non si poneva e in cui tutto era consentito. Le pattumiere naturali erano considerate il mare e l'aria. Qui tutto si poteva scaricare, perché si pensava capace e in grado di assorbire tutto e smaltirlo naturalmente, in nome dl profitto. Con questa logica era stato scelto il sito di Taranto. Dotato di mare, di terreni adibiti a coltivazioni di tipo individuale, di aria limpida e incontaminata.

Oggi dopo cinquant'anni l'ambiente si è riempito di quella "monnezza" e non è in grado di smaltire con la stessa velocità con cui si scarica. E in più il concetto ecologico è avanzato nel mondo e gli impianti del ciclo a caldo, quello più inquinante ha fatto passi da gigante, sia rispetto all'eco compatibilità, sia in termini di produttività prettamente capitalistica. Impianti della Companhia Siderurgica Nacional (CSN) brasiliana (ad esempio) produce rispettando i valori di inquinamento internazionali e a prezzi decisamente inferiori rispetto a tutti i concorrenti internazionali. Ed è proprio da questa azienda che il padron Riva acquista direttamente le bramme, saltando il proprio ciclo a caldo, perché più a buon mercato, e sopratutto just in time.

Si perché l'altro limite del ciclo a caldo è che la produzione della ghisa e quindi dell'acciaio non si può fermare! Si può far marciare gli impianti im velocità ridotta, ma gli altiforni non si possono spegnere. Se si ferma l'altoforno il materiale refrattario di cui è formato all'interno si sbricciola e cade tutta la struttura interna. E a Taranto vi sono cinque di altiforni, di cui il quinto è il più grande d'Europa. Vanto e orgoglio dell'industria siderurgica degli anni 80. Quindi di fronte ad un mercato che chiede sempre più flessibilità, che è sempre più dinamico e altalenante, avere impianti rigidamente statici è assolutamente improduttivo. Meglio comprare bramme e laminare quando il mercato lo richiede, Fermarsi , mettere in cassa integrazione quando il mercato è fermo.

E' questo il corno del problema

Quando, alcuni anni fa, i livelli di inquinamento era diventati insostenibili ed anche allora si corse il rischio dell'intervento della magistratura, il "buon" Vendola fece approvare una legge regionale che stabiliva limiti all'emissione di diossina. Ma a Roma il buon ministro dell'ambiente e tutto il ceto politico si inventarono che il controllo non doveva essere un vero controllo, ma solo un simulacro. Gli ispettori dovevano prima telefonare una settimana prima, chiedere il permesso, avere l'autorizzazione stabilendo giorno ora e luoghi per misurare i livelli di inquinamento! Questo fu l'intervento della politica. Ora anche gli sciocchi si sono accorti della beffa! Tutto in nome e per conto della produzione.

Allora cosa fare e sopratutto come risolvere e salvare capre e cavoli?

Ma semplicemente cavalcare l'onda sacrosanta dell'inquinamento, dichiararsi innocente del disastro ambientale, anche se in parte coinvolti, chiedere l'intervento dello Stato sull'onda delle proteste sindacali e di tutte, dico tutte le forze politiche, coinvolgendo persino il Vaticano e giungere alla chiusura del suo peso morto. Il ciclo a caldo!

Apparire come la vittima sacrificale. la produzione che si sacrifica di fronte all'ambiente. Lo Stato finanzia la chiusura degli impianti, la bonifica del territorio e Riva si libera guadagnandoci sia in termini cash, sia in termini di immagine, diventa il salvatore della patria e della città e continua a comprare bramme dall'estero. Viva la produzione. Viva il profitto. La città e la politica ringraziano. La vita un po' meno!




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