lunedì 7 novembre 2022 - Phastidio

Altro eurodebito? C’è chi dice Nein

Non esattamente una sorpresa, ma la posizione del leader dei Liberali tedeschi non è isolata in Europa. L'Italia pensi a una sana autarchia finanziaria

 

Da molto tempo, all’incirca dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, nel nostro paese si è fatta strada l’idea di ottenere nuove mutualizzazioni di debito dalla Ue per combattere la crisi energetica e i suoi effetti. Regolarmente, questa “idea” è stata frustrata, ma nel silenzio di prese di posizione ufficiali di governi o partiti che li sostengono. Oggi le cose cambiano, con un’intervista del leader dei Liberali tedeschi, Christian Lindner, che dice (indovinate?) nein.

Come riferisce il Financial Times, Lindner mette a nudo un punto cruciale e critico soprattutto per noi italiani: non esiste più convenienza a emettere debito della Ue rispetto al costo del debito nazionale. Ovviamente, tranne che per un ristretto numero di paesi: Italia, Spagna, Portogallo e Grecia.

IL DEBITO UE COSTA DI PIÙ

Infatti, come segnala il FT, e la cosa è certamente degna di rilievo (non solo simbolico), oggi il rendimento del debito decennale della Ue ha superato quello francese di corrispondente scadenza. E sappiamo che la Francia è un po’ l’ago della bilancia delle scelte politiche europee, nella sua relazione “dinamica” con la Germania, che ha visto momenti migliori. Quello di Lindner pare essere un suggerimento, neppure troppo subliminale, a Emmanuel Macron a farsi due conti. Ovviamente, la “solidarietà” non la fanno i ragionieri, ma tant’è.

Non dovremmo sollevare l’idea di più debito comune ogni volta che pensiamo a nuovi investimenti, afferma Lindner. Il quale ribadisce che il 2023 vedrà il ritorno del “freno al debito” costituzionale tedesco, sospeso per pandemia e guerra. Questa intervista rappresenta la risposta all’idea, lanciata dal Fondo Monetario Internazionale, di creare capacità fiscale nella Ue per finanziare progetti comuni, da conseguire a mezzo di indebitamento ma anche con flussi di reddito, cioè imposte.

E, per non farsi mancare nulla, Lindner si dice contrario anche a percorsi bilaterali, tra singolo paese e Commissione Ue, per la riforma del Patto di stabilità e crescita. Forse temendo che la discrezionalità politica della Commissione possa allargare le maglie del lassismo fiscale di singoli stati. Uno, in particolare.

Lindner non rappresenta ovviamente il governo tedesco bensì il più piccolo partner di quella coalizione, quello che sta subendo pesanti rovesci elettorali e la cui base è spaccata tra conservatorismo fiscale “classico” e apertura a forme di debito comune europeo. Ma la sua voce ha comunque un peso.

Ma il tedesco non è il solo in Europa a frenare ogni ipotesi di debito comune, magari per finanziare una nuova edizione del SURE, il programma a sostegno della cassa integrazione. L’ex premier Mario Draghi era acutamente consapevole che l’Italia avesse bisogno di ridurre il costo del debito accedendo a quello comune, dato il nostro svantaggio strutturale nei costi di raccolta. Aveva anche tentato di plasmare una dimensione di finanziamento comune dell’Europa sociale, ma quando si guida pro tempore un paese privo di credibilità e con una inquietante dipendenza (anche culturale) dal debito, non si può pretendere troppo neppure dal proprio prestigio personale.

LA GENTILEZZA DEGLI STRANIERI

È un altro modo per essere alla merce’ della “gentilezza degli stranieri”. Forse di questo converrebbe essere consapevoli. Ma per quale motivo i rendimenti di mercato del debito Ue stanno aumentando? Da un lato, c’è la certezza dell’aumento del programma di emissioni, non foss’altro che per integrare i maggiori costi di funzionamento che l’inflazione sta infliggendo a tutti. Ma non è solo questo.

Pare in effetti esserci un aumento del premio al rischio sul debito Ue, almeno sulla parte a lunga scadenza della curva dei rendimenti. I motivi andranno indagati ma di certo questo dato rappresenta una robusta opportunità per tedeschi -e non solo- per motivare il diniego.

Poi c’è il tema del PNRR, che l’attuale governo italiano vorrebbe “rinegoziare” ma non è chiaro come. Se l’idea è quella di chiedere una sorta di “scala mobile” agli esborsi programmati, temo che nei paesi europei non tiri aria. Come ho ripetuto più volte, l’Italia si è presa il grande rischio di tirare tutte le erogazioni del Recovery Fund e non solo una parte. Ciò ci ha messo con le spalle al muro al verificarsi dello shock inflazionistico. Abbiamo perso capacità di indebitamento di riserva, semplicemente.

Ora potremo -forse- contare su qualche riallocazione minore dei fondi di coesione del precedente ciclo settennale di bilancio comunitario, ma parliamo di pochi miliardi (quattro?) nella migliore delle ipotesi.

Quindi il governo Meloni farebbe bene a muoversi su base domestica ed entro un quadro di finanza pubblica fortemente vincolato. “Aiutati che dio t’aiuta” o cose del genere. Appunto: dio, patria e famiglia. Senza che quest’ultima venga estesa oltre confine. E notevole opportunità per applicare alla nostra finanza pubblica il nostalgico concetto di autarchia.




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