venerdì 23 dicembre 2022 - Pressenza - International Press Agency

Almeno 390mila persone non riescono più a curarsi nel nostro Paese

I poveri assoluti nel nostro Paese crescono di anno in anno e contestualmente cresce anche il divario tra ricchi e poveri. Povertà e disuguaglianze che sono la conseguenza anche di un lavoro sempre più povero. 

di Giovanni Caprio

(Foto di Medicina Democratica)

Riders, contratti a chiamata o tramite agenzie interinali, retribuzioni con voucher e collaborazioni di ogni tipo aprono sempre di più la strada allo sfruttamento, alla precarietà e alla povertà. Lavori atipici e precari che stanno minando anche ciò che resta della nostra sanità pubblica.

Siamo ormai ad un vero e proprio “far west sanitario“: nelle scorse settimane le cronache hanno dato conto di un’indagine dei Carabinieri del Nas che hanno messo sotto la lente 1.934 strutture sanitarie pubbliche e private, le quali per far fronte alle cure e tamponare gli organici si sono rivolte a società, per lo più cooperative, che forniscono ogni tipo di personale, dai medici agli Operatori socio-sanitari agli infermieri. I Carabinieri del Nas tra le irregolarità trovate tra gli 11.600 operatori “a gettone” -presenti anche in grandi ospedali- hanno riscontrato profili professionali inadeguati agli incarichi da svolgere, medici in corsia oltre i limiti di età previsti, infermieri non iscritti all’ Albo o medici generici alle prese con un parto cesareo. “I gettonisti” sono soltanto l’ultima deriva di un Servizio Sanitario Nazionale che appare in via di definitivo smantellamento e che non riesce più ad assicurare cure e assistenza, soprattutto a chi è maggiormente in difficoltà, come evidenziato dal recente 10° Rapporto dell’Osservatorio sulla Povertà Sanitaria del Banco farmaceutico Onlus e dell’Osservatorio Povertà Sanitaria.

Nell’anno in corso le persone in condizioni di povertà assoluta sono 5 milioni 571 mila persone (9,4% della popolazione residente). Circa il 7% di queste (pari a 390 mila individui) si è trovato in condizioni di povertà sanitaria. Ha dovuto, cioè, chiedere aiuto ad una delle 1.806 realtà assistenziali convenzionate con Banco Farmaceutico per ricevere gratuitamente farmaci e cure. Una persona indigente ha a disposizione un budget per la salute pari a soli 9,9 euro al mese, mentre una persona non povera ha a disposizione sei volte tanto, cioè 61,83 euro mensili. Limitandoci al budget per l’acquisto di farmaci, i poveri hanno a disposizione solo 5,85 euro, mentre i non poveri 24,51.

Il 60% della spesa sanitaria dei poveri- si legge nel Rapporto- è destinata alla spesa per farmaci a fronte dell’equivalente 38% delle famiglie non povere. Questo perché il SSN non offre alcuna copertura per i farmaci “da banco”, non avendo introdotto distinzioni tra chi è sotto la soglia di povertà e chi è al di sopra. Le difficoltà economiche lambiscono anche le famiglie non povere: nel 2021 hanno cercato di ridurre le spese sanitarie (rinunciando o rinviando a visite mediche/accertamenti periodici) complessivamente oltre 4 milioni 768 mila famiglie (10 milioni 899 mila persone), di cui quasi 639 mila (1 milione 884 mila persone) in povertà assoluta. La rinuncia alle cure è stata praticata da 27 famiglie povere su 100 a fronte di 13 famiglie non povere su 100, per un totale di 15 famiglie su 100.

Nel 2021 il 43,5% della spesa farmaceutica territoriale (pari a circa 9,2 miliardi di euro) è stata pagata dalle famiglie, con un incremento del 6,3% rispetto al 2020. A sostenere le spese “di tasca propria” non sono solo le famiglie che, in base ai parametri ufficiali, non risultano povere, ma anche quelle sotto la soglia di povertà assoluta. La conferma di questa problematica giunge dai dati Istat sulla spesa sanitaria mensile pro-capite delle famiglie povere e non povere. Nell’arco degli ultimi 8 anni, le famiglie povere hanno sostenuto una spesa sanitaria mensile pro-capite compresa tra 9 e 11 euro, destinandone oltre il 60% all’acquisto di farmaci. La spesa sanitaria pro-capite sostenuta dalle famiglie povere (10 euro nel 2021) è solo apparentemente modesta perché, di fatto, pesa per il 2,5% sulla loro spesa totale per consumi. Per le famiglie non povere i corrispondenti valori (66 euro nel 2021) si attestano sul 4,9% della spesa totale per consumi.

Non mancano –ovviamente– le differenze territoriali. Nelle famiglie economicamente povere, la spesa sanitaria è superiore alla media, soprattutto nelle regioni del Sud e nelle Isole. Una possibile spiegazione a questo dato inatteso va ricercata nella maggiore difficoltà ad accedere gratuitamente ai servizi pubblici (per distanza, scarsità, carenze informative e organizzative) e ai servizi medico-assistenziali non-profit. Gli effetti di questa spesa maggiore sono particolarmente severi sul piano economico, perché incidono in misura mediamente più elevata sul reddito disponibile (a sua volta più basso nel Mezzogiorno rispetto alle altre ripartizioni). Questi vincoli sono tanto più stringenti quanto più le risorse disponibili sono a mala pena sufficienti per sostenere le spese necessarie per uno stile di vita minimamente dignitoso, come accade nel caso di chi è sotto la soglia di povertà assoluta, ma coinvolgono anche le famiglie non povere, sia pure in misura minore.

Cosa fare quando non si hanno i soldi per curarsi?

Le alternative considerate dalle statistiche ufficiali sono, in concreto, tre: 1) limitare il numero delle visite/accertamenti; 2) rivolgersi a medici/centri diagnostici più economici; 3) utilizzare entrambe le possibilità. Nell’ultimo quadriennio, la strategia del rinvio-rinuncia delle cure o del risparmio mediante il ricorso a centri meno costosi è stata usata da circa 1/6 delle famiglie italiane (povere e non povere), attestandosi, tra le famiglie non povere, su valori superiori al 31%. In termini assoluti si stima che nel 2021 abbiano rinunciato o rinviato circa 4 milioni 800 mila famiglie residenti in Italia, di cui circa 640.000 in povertà assoluta. Nell’ambito delle due possibili strategie, prevale nettamente la strategia della “rinuncia-rinvio” su quella del “risparmio”, sia nell’insieme delle famiglie che tra le famiglie povere. La strategia del risparmio risulta in effetti più difficile da perseguire, non solo per l’oggettiva carenza di offerta, ma anche perché richiede l’accesso a informazioni che solo pochi utenti sono in grado di ottenere.

Qui Il Rapporto completo




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