venerdì 25 luglio 2014 - Phastidio

Alitalia e Poste Italiane: farse con le ali

È opportuno chiedere venia. Per aver dubitato, dopo averlo elogiato, che Francesco Caio fosse in fondo solo un fedele esecutore dei voleri del suo azionista, e quindi del governo. Pare che le cose non stiano esattamente in questi termini e la cosa non può che fare piacere, in un paese in cui abbiamo visto e vediamo carriere (ad ogni livello, anche nel leggendario privato) costruite sull’acquiescenza, sul tenere famiglia e sul sollecito conferimento del cervello all’ammasso.

 

I termini della questione sono presto riassunti: l’a.d. di Poste Italiane non accetta che, dopo che la società da egli guidata ha gettato nell’inceneritore Alitalia 75 milioni di euro (gestione di Massimo Sarmi), ora la storia si ripeta con la ricapitalizzazione “in continuità” (mai espressione fu più beffarda) di Alitalia in attesa dell’arrivo di Etihad. Con tale espressione si intende non solo gettare altro denaro nell’altoforno delle perdite del vettore, ma anche assumersi tutte le contingent liabilitiesfuture che deriveranno dall’ennesima “rinascita” di questa tragica farsa nazionale.

Che vuole, quindi, Caio? Una cosa molto semplice: ho altri 40 milioni di euro da mettere in Alitalia? Bene, ma li metterò solo nella società operativa sana, di cui prenderò il 5% da solo, senza finire nel calderone con i capitani coraggiosi di Cai, con i quali non ho più nulla da spartire, ammesso di aver mai avuto qualcosa. Quindi si crea una newco, con Etihad al 49%, Poste al 5% e Cai al 46%, e nel frattempo Poste stipula contratti veri con Alitalia per lo sviluppo del polo della logistica, oltre ad accordi commerciali di rete su moneta elettronica e servizi digitali. “Volete una bad company? Pagatevela, che volete da me?”, è il senso delle parole di Caio. Però questa cosa della bad company che esce dalle tenebre per bissare l’operazione del 2008 noi ve la stiamo segnalando da tempo. Almeno da quando ampia parte della stampa italiana festeggiava il salvataggio emiratino di Alitalia.

Questo accade, quando ci si trova di fronte una persona convinta di dover gestire un gruppo secondo criteri di economicità e redditività: alla fine, se gli parli di “opportunità di sviluppo” ti prende alla lettera, mentre qualche altro boiardo avrebbe inteso il concetto come opportunità di carriera per sé ed i propri famigli. In questo paese esiste anche un problema di codici di comunicazione condivisi, si direbbe. Forse abbiamo troppe subculture protette.

A parte queste considerazioni antropologiche, come finirà? Per ora, prendiamo atto che Caio non intende legare il destino di Poste a quello delle banche azioniste e finanziatrici di Alitalia, e la cosa ha ovviamente senso. Più che altro, saremmo davvero sbigottiti se la Ue non giudicasse aiuto di stato i 75 milioni immolati sull’altare di una società decotta da parte di una entità pubblica. Con buona pace del genietto che all’epoca diceva “non abbiamo messo soldi pubblici in Alitalia, ergo non esiste aiuto di stato”. Ma vedrete che, se ciò dovesse accadere, si leverebbero alte le voci dei nostri patrioti contro l’Europa matrigna, quella che vuole impedirci di distruggere valore e denaro dei contribuenti. Non escludiamo, in tale circostanza di orgogliosa sollevazione nazionale e nazionalistica, che qualcuno invochi anche per questo motivo l’uscita dell’Italia dall’euro, al grido di “c***oni a casa nostra”. Che bello dev’essere, vivere in un paese normale dove il concetto di danno erariale ha i denti ed all’occorrenza morde pure.

Attendendo il lieto fine, forse sarebbe veramente opportuno fermarsi e tirare una riga su tutta la vicenda, portando i libri in tribunale, una volta per tutte. Altrimenti, meglio essere commissariati da organismi alieni, fossero anche spore letali.




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