sabato 21 settembre 2019 - Marco Scipolo

Alessandro Sipolo canta “Un altro equilibrio” (Intervista)

Ad AgoraVox il cantautore bresciano presenta il suo terzo album: «È il più introspettivo». E confida: «Amo la diversità e mi spaventa l’omologazione».

(Si ringrazia per le foto Andrea Zampatti)

 

                    Il cantautore Alessandro Sipolo - Foto di Andrea Zampatti

Voce profonda, come i testi delle sue canzoni, animo del poeta e chitarra alla mano. Alessandro Sipolo, 33 anni, bresciano originario di Provaglio d’Iseo, è tra i cantautori più talentuosi nell’attuale panorama musicale. Cantore ed interprete del nostro tempo, moderno menestrello del mondo, è capace di emozionare l’ascoltatore e farlo riflettere sulla condizione umana, sulle odierne contraddizioni, su drammi e fenomeni (dalla guerra alle migrazioni) sempre attuali. È artista audace e cittadino universale, perché affronta temi scomodi, affascinato dalla società multiculturale e dalla contaminazione tra generi musicali. Dalle sonorità gitane al country, dalla rumba al rock blues fino alla samba, la sua musica ha il gusto degli ideali.

In questa intervista Sipolo parla, in particolare, del suo ultimo disco Un altro equilibrio (laPOP/Freecom), uscito quest’anno. Il giovane musicista ha debuttato nel 2013 con l’album Eppur bisogna andare (Premio Beppe Gentile 2014 come migliore album d’esordio), prodotto da Giorgio Cordini, chitarrista di Fabrizio De André. È del 2015, invece, il suo secondo album intitolato Eresie (Fasolmusic.coop), realizzato con la collaborazione di Taketo Gohara e la partecipazione di artisti come Alessandro “Finaz” Finazzo (Bandabardò): il disco ha ottenuto l’apprezzamento della critica classificandosi tra i 50 finalisti per la Targa Tenco 2016 (categoria “miglior disco assoluto”).

Sipolo, con la canzone Cresceremo anche noi (brano dell’album Eresie), è stato inoltre uno dei vincitori di Musicultura 2017, la cui finale – trasmessa in diretta televisiva su Raiuno e condotta da Fabrizio Frizzi – si svolse allo Sferisterio di Macerata.

Ex calciatore (ha giocato anche nella Primavera del Piacenza), si è laureato in Scienze Politiche e del Lavoro (con specializzazione in Gestione dell’immigrazione) e ha svolto attività di volontariato in campi rom. Opera nei servizi territoriali del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati e collabora con l’Osservatorio sulla criminalità organizzata dell’Università degli Studi di Milano. Gli echi di queste esperienze e dei suoi viaggi – dal Sudamerica (con il servizio civile internazionale) all’Asia fino all’Africa – si ritrovano nei suoi brani, che hanno il pregio di restituirci una varietà di suoni, generi musicali, tradizioni, culture e lingue, di raccontarci persone, storie e luoghi, di indurci a posare lo sguardo sugli ultimi.

Questi i suoi prossimi concerti in programma: sabato 21 settembre alle ore 21,30 a Rogno (Bg) per la Festa della Cgil, e venerdì 27 settembre alle 21,30 a Monza presso l’Arci Scuotivento.

Sipolo, partiamo dalla copertina del suo ultimo album Un altro equilibrio. Perché ha scelto proprio quella foto?

È una foto alla quale tengo molto. Raffigura mio padre, diciottenne, in verticale sulle mani, su una vetta sconosciuta, col vestito della domenica. L’ho scelta perché simboleggiasse la ricerca di equilibri fragili, capovolti, disarmati.

La prima canzone si intitola M’innamora il mondo. Del mondo cosa l’affascina soprattutto?

Quella canzone rappresenta la rottura di un equilibrio logoro, fossilizzato nella routine. E l’inizio di nuove ricerche. Del mondo m’innamora la diversità. E mi spaventa l’omologazione.

In questo suo disco più recente, il terzo, incontriamo l’amore, il viaggio, l’incontro con l’altro, la ricerca di una quiete interiore… La canzone che dà il nome all’album parla del desiderio di un «equilibrio vero». Cosa intende esattamente? E la musica aiuta a raggiungerlo?

Intendo un equilibrio sostenibile tra desiderio e realtà. Ho scritto questi brani durante un periodo di forte insoddisfazione personale, apparentemente ingiustificata. Ho provato a ragionare su alcune frustrazioni, individuali e collettive. E a cercare qualche antidoto. Certamente la musica è tra questi.

Nel suo album si trovano diverse citazioni, da Calvino (Le città invisibili) a Camus (Sisifo). Come definisce la sua musica?

Preferisco che la mia musica venga definita dagli altri. Posso dire che da alcuni anni sento la necessità di esprimermi attraverso canzoni. È il mezzo che, per ora, sento più adatto a me. Contemporaneamente cerco di nutrire la mia curiosità con diverse arti, tra le quali certamente la letteratura. Camus, Calvino, London e Fanon sono effettivamente gli autori che hanno ispirato maggiormente questo disco.

                                     Foto di Andrea Zampatti

Della canzone centrale, Lo sciamano bianco, ha realizzato anche il relativo videoclip animato. La traccia è dedicata a Rallo e Fissou. Può spiegarci chi sono?

Federico Corallini, per noi “Rallo”, era un amico – oltre che collega in un Progetto di accoglienza rifugiati – mancato improvvisamente, tre anni fa, a soli 29 anni. Era un cooperante e un etnopsicologo, ossia uno psicologo con formazione antropologica, che provava ad assistere persone di diverse provenienze tenendo in considerazione i loro bagagli culturali e, dunque, le diverse forme di espressione e gestione del disagio mentale. “Fissou” è una delle persone che Federico ha aiutato enormemente. In sostanza, ho scritto questo brano per reagire alla morte di un caro amico. E per poterlo ricordare pubblicamente, durante ogni concerto.

In Tirailleurs c’è il Senegal di ieri e l’Africa di oggi, passato e presente, schiavismo, colonialismo, sfruttamento. Qui, le sue note e il suo testo sono Memoria e, insieme, monito…

Durante un viaggio in Senegal con il chitarrista ed amico Omar Ghazouli, ho avuto modo di approfondire la storia dei tirailleurs, che avevo soltanto sentito nominare in Italia. Questi “tiratori” erano giovani dell’Africa occidentale, rastrellati e formati sommariamente dall’esercito francese perché diventassero in fretta carne da cannone al servizio della “madre patria”. Decine di migliaia pagarono con la vita la partecipazione alle due guerre mondiali, senza che il loro sacrificio sia stato riconosciuto seriamente dalla politica e dalla storia. In questo tempo di profonda amnesia rispetto alle responsabilità europee sulle attuali migrazioni forzate africane, mi è parso necessario raccontare questa vicenda.

Letteratura, mitologia, storia, politica entrano nei suoi brani. Questo album ha un significato particolare nel suo percorso artistico?

Ogni album per me è un mondo a sé stante, con un significato umano e artistico differente dagli altri. Le esperienze e le inquietudini di questi ultimi due anni mi hanno portato a concepire un disco forse più introspettivo dei precedenti, che però non voleva rinchiudersi nello spazio privato né rinunciare a nutrirsi della realtà circostante.

Nel suo secondo album, Eresie, canta scelte coraggiose e controcorrente, come l’obiezione di coscienza (Gagiò romanò) e il fine vita (Tra respirare e vivere, dedicata a Piergiorgio Welby, Eluana e Beppino Englaro), denuncia la presenza delle mafie nel Nord Italia (Le mani sulla città), canzona con pungente ironia Comunione e Liberazione (Comunhão Liberação). A quale cantautore si sente più vicino?

In questo momento non mi sento vicino ad un artista in particolare. Continuo ad ascoltare di tutto, guidato soltanto dalla curiosità. Tra i concerti che mi hanno emozionato maggiormente, negli ultimi mesi, citerei Malcom Holcombe, Ben Harper e Bobo Rondelli. Per quanto mi riguarda, credo di aver raggiunto uno stile personale, anche se ovviamente le influenze sono e saranno sempre determinanti.

Tra i suoi più fedeli compagni della sua carriera musicale vi sono, fin dall’inizio, Omar Ghazouli (chitarra elettrica) e Paolo Malacarne (tromba). Cosa cementa la vostra collaborazione?

Stima reciproca, gusti diversi ma compatibili. E una sincera amicizia. Omar riesce sempre a stupirmi per il suo approccio puro e viscerale alla musica, oltre che per la sua capacità di rielaborare e ibridare generi diversi. Paolo è un distillato di eleganza musicale. La sua formazione classica e jazzistica gli consente di fare veramente ciò che vuole con la tromba, eppure il suo marchio di fabbrica è gusto melodico e minimale.

Qual è il bilancio dell’ultimo tour? So che si è esibito non solo in Italia, ma anche all’estero.

Sono soddisfatto dell’andamento del tour. Questa volta la scelta è stata quella di suonare meno privilegiando la qualità. Ciò mi consente di godermi fino in fondo ogni concerto. E di lavorare anche ad altri progetti.

Qualche anticipazione sui suoi progetti futuri?

Ho diverse idee in testa, non solo in ambito musicale. Ora, però, la priorità sono i concerti del nuovo tour, che è soltanto all’inizio. Nel 2020, con calma, inizierò a sviluppare nuovi progetti.




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