giovedì 13 dicembre 2012 - UAAR - A ragion veduta

Alber Saber condannato a tre anni: è ora di dire basta alle leggi anti-blasfemia

Tre anni di carcere. È questa la condanna che un tribunale egiziano (post “primavera araba”) ha inflitto ad Alber Saber. “Reo” di aver rilanciato su Facebook il trailer del controverso film The Innocence of Muslims. È l’ennesimo non credente condannato per comportamenti ritenuti offensivi nei confronti della religione. Dopo Alexander Aan in Indonesia, le Pussy Riot in Russia, Jabeur Mejri e Ghazi Beji in Tunisia. La persecuzione del pensiero libero si diffonde. È ora di dire basta.

L’ennesima condanna

Alber Saber era stato arrestato a settembre per aver postato sulla pagina Facebook di non credenti da lui amministrata il trailer del film, già costato una condanna a morte in contumacia ai suoi autori. Ed era stato rinchiuso in una cella piena di altri detenuti, ai quali era stato comunicato che Saber aveva “insultato” l’islam. Non stupisce che il giovane sa stato poi attaccato e ferito dai compagni di cella.

La sentenza è giunta oggi. Il giudice, riporta la pagina Facebook che chiede la liberazione del giovane, non ha avuto il coraggio di leggere in prima persona la sentenza. Alber Saber è stato condannato a tre anni di reclusione e al pagamento di mille sterline egiziane. Non sono mancati i momenti di tensione fuori e dentro l’aula, con la madre di Saber pesantemente intimidita da un soldato.

Lunedì scorso, in occasione della giornata mondiale per i diritti umani promossa dalle Nazioni Unite, l’Iheu (International Humanist and Ethical Union), di cui L’Uaar fa parte in rappresentanza l’Italia, ha indirizzato all’Onu e ha diffuso online una indagine dal titolo Freedom of Thought 2012: A Global Report on Discrimination Against Humanists, Atheists and the Non-religious. In copertina, proprio un’immagine di Alber Saber. La mobilitazione (anche Amnesty International ha avviato una protesta) non è purtroppo servita a evitargli la condanna.

Il rapporto Iheu

Nel rapporto Iheu si prendono in considerazione 60 paesi dove sono in vigore leggi che discriminano i non credenti con una legislazione volta a punire la ‘blasfemia’ e la critica alla religione. In molte nazioni viene fortemente limitata o negata la libertà di espressione e manifestazione del pensiero degli increduli, che non hanno pieno diritto di cittadinanza. Attualmente, in sette nazioni islamiche, è addirittura prevista per gli atei la pena di morte: Pakistan, Arabia Saudita, Iran, Afghanistan, Sudan, Mauritania e Maldive.

Il 2012 è un anno in cui le leggi anti-blasfemia si sono particolarmente accanite contro i non credenti, con diversi casi eclatanti, come quelli rilanciati dall’Uaar o dal Center for Inquiry. Segno non solo di un inasprimento della violenza e della conflittualità religiosa in molti paesi, ma pure del diffondersi del coming out di atei e agnostici, favorito anche dai social network, anche in nazioni dove il fenomeno era sotto traccia o considerato inesistente.

Il report mette in evidenza diversi gravi casi di repressione, oltre a quello di Alber Saber. In Indonesia, Alexander Aan è stato condannato a due anni e mezzo di prigione e costretto ad una abiura pro-islam per aver espresso su Facebook il suo ateismo. In Tunisia due giovani non credenti, Jabeur Mejri e Ghazi Beji, sono stati condannati a sette anni e mezzo di prigione per un motivo analogo. Beji è fuggito dal suo paese e ha subito la condanna in contumacia: si troverebbe in un campo profughi in Romania, dove ha subito anche vessazioni. Anche il pianista turco Fazil Say è finito in galera per tweet ‘blasfemi’. Phillipos Loizos è sotto processo in Grecia per aver osato ironizzare su un monaco molto venerato in patria. Come tre attori colpevoli di aver partecipato ad uno spettacolo teatrale giudicato blasfemo. In Egitto Gamal Abdou Massoud, di 17 anni, e Bishoy Kamel sono stati condannati rispettivamente a tre e sei anni di prigione per aver postato materiale ritenuto offensivo su Facebook. Assurto a notorietà mondiale è infine il caso delle Pussy Riot, due due delle quali sono state spedite ai lavori forzati in una colonia penale siberiana.

La diffusione e il contrasto delle leggi anti-blasfemia

Anche una ricerca realizzata dal Pew Forum giunge a dare l’allarme sulla diffusione di leggi che penalizzano la blasfemia, l’apostasia e le offese alle religioni. Nel 2011 quasi la metà dei paesi nel mondo aveva normative di questo tipo. Su 198 nazioni, 32 hanno leggi anti-blasfemia, 20 penalizzano l’abbandono della religione e 87 puniscono la diffamazione della religione. Nei paesi dove ci sono norme del genere è più probabile che ci siano anche maggiori restrizioni sulle religioni e più conflittualità legate al culto.

Dalle istituzioni internazionali arrivano però segnali contrastanti. L’attivismo dei paesi islamici per una risoluzione internazionale che criminalizzi la blasfemia e ogni forma di critica alla religione è stato arginato dalle organizzazioni laiche, in primis l’Iheu. Ma lunedì alla vicepresidenza dello Human Rights Council dell’Onu per il 2013 sono stati elette Mauritania e Maldive. Proprio due dei paesi in cui è prevista la pena di morte contro coloro che abbandonano l’islam. Non si capisce come due paesi del genere possano avere posizioni chiave in un’istituzione la cui finalità è tutelare i diritti umani nel mondo, che vengono però pesantemente negati in patria.

Tra i segnali incoraggianti, la reazione positiva al report dell’organizzazione umanista. Il relatore Onu per la libertà di religione e credenza, il cattolico Heiner Bielefeldt, nel ricevere lo studio dell’Iheu ha riconosciuto che vi è ancora “poca consapevolezza” sul fatto che i trattati internazionali che difendono la libertà di coscienza debbano applicarsi allo stesso modo anche per i non credenti. “Spero che tutti coloro che si occupano di libertà di religione o credo diano attenta considerazione” a questo report, ha aggiunto. Segno di una crescente attenzione sulle discriminazioni che subiscono atei e agnostici anche a livello internazionale. Per questo è ancora più utile e motivato l’impegno delle organizzazioni che, come l’Iheu o l’Uaar, sono impegnate nella tutela dei diritti dei non credenti.




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