mercoledì 18 agosto 2021 - UAAR - A ragion veduta

Afghanistan | Esportare la libertà, per poi lasciar ammazzare chi l’ha voluta assaporare

Eravamo stati facili profeti nel prevedere una facile avanzata talebana. Anzi, ci siamo purtroppo rivelati sin troppo ottimisti. Perché nel giro di pochi giorni l’Emirato islamico dell’Afghanistan è già diventato una realtà: e meno male che Joe Biden, soltanto un mese fa, aveva sostenuto che «l’esercito talebano non è quello nordvietnamita; non sono lontanamente paragonabili in termini di capacità; non ci sono proprio possibilità che vedrete persone evacuate dal tetto dell’ambasciata degli Stati Uniti in Afghanistan».

 

 

 E invece il remake è implacabilmente andato in onda, ancora più velocemente. Le immagini dell’entrata nel palazzo presidenziale di Kabul somigliano sinistramente all’assalto al Campidoglio del sei gennaio – con l’unica, decisiva differenza che è stato coronato da successo. Il segretario di Stato Antony Blinken straparla adesso di «obiettivi raggiunti». Quelli talebani, senz’altro.

Il mostro l’hanno creato gli stessi Stati Uniti, in funzione antisovietica. Ma sono vent’anni che rimpiangono di averlo fatto, anche se non lo ammetteranno mai. Esportare la libertà è doveroso, ma ricorrendo soltanto alle argomentazioni e all’esempio. Si sono invece privilegiate la forza delle armi, l’arroganza, la corruzione, le trattative al ribasso con i leader locali – e persino con gli stessi talebani: da questo punto di vista Biden ha soltanto concluso malissimo un lavorio cominciato persino peggio da Trump. È stato creato un esercito di gente che cercava soltanto un posto ben retribuito (per gli standard del paese) e che ha immediatamente disertato, senza pensare nemmeno per un nanosecondo che valesse la pena rischiare la propria vita per salvare una classe dirigente così screditata. Non è una critica, è un’amara constatazione: come è una constatazione affermare che l’esercito afghano formato dai sovietici combatté invece per anni. Resta il fatto che da quattro decenni gli afghani conoscono soltanto la guerra, e con una premessa del genere è sin troppo comprensibile che vogliano stare dalla parte di chi la sa condurre meglio. E che tra l’altro promuove “valori” che, per quanto ci appaiano terrificanti, sono imposti a un paese in cui il 99% della popolazione vuole che la sharia sia legge dello stato.

Si percepisce purtroppo l’assenza dell’Onu – ma di un’Onu seria e autorevole, non quella che si limita a denunciare gli orrori dei talebani, e che comunque ci fa una figura migliore dell’Unione Europea, per l’ennesima volta afona quando dovrebbe far sentire la propria voce. E dire che in Afghanistan sono state spese cifre folli. Altrettante se ne spenderanno, nei prossimi anni, se (com’è probabile) l’Emirato diventerà la mecca dei foreign fighters e il centro di addestramento per eccellenza di jihadisti che colpiranno ovunque. C’è chi crede che i talebani siano cambiati. Ma è più razionale pensare che sia solo un’esigenza d’immagine – peraltro veicolata dagli stessi sconfitti, per indorare la pillola della disfatta ai propri elettori.

Nel frattempo assistiamo all’ormai tradizionale silenzio delle organizzazioni islamiche occidentali e degli stati dell’Organizzazione della cooperazione islamica (e facciamo finta di non sapere da dove provengono i fiumi di denaro necessari ad armare fino ai denti i talebani). Altre potenze geopolitiche sembrano accontentarsi della de-americanizzazione dell’Afghanistan e delle vaghe promesse che la riconquista non sarà esportata fuori dai confini: la Cina pensa ai futuri affari e la Russia ha già definito i talebani «persone ragionevoli». Il mondo intero ritiene la riconquista un dato di fatto e il nuovo-vecchio governo afghano una realtà di cui tenere conto. Nulla di sorprendente: fece lo stesso anche con Adolf Hitler. La storia si ripete spesso perché il dna della specie umana non può cambiare dalla sera alla mattina.

Tuttavia, se è vero che, nei vent’anni intercorsi tra Talebania I e Talebania II, di avanzamenti civili non ce ne sono stati molti, numerose persone si sono tuttavia battute per conseguirne ulteriori: quell’1% della popolazione che non vuol vivere in uno stato basato sulla sharia è oggi a fortissimo rischio di perdere la vita. Se poco cambierà per gli apostati (la pena di morte per loro non è stata mai abolita), la sorte degli omosessuali è stata descritta nei giorni scorsi dal giudice talebano Gul Rahim: la lapidazione, o la caduta pilotata di un muro alto tre metri sopra di essi.

Ma a pagare a caro prezzo il trionfo talebano sarà soprattutto la metà femminile della popolazione. Già ora non si vedono più donne in giro per le strade di Kabul. Tuttavia, la re-imposizione del burqa e del guardiano costituisce soltanto una piccola parte del problema. Perché la vittoria dei terroristi porterà forse la pace nel paese, ma per tante sarà quella eterna. Rischiano seriamente la pelle tutte le donne che si sono esposte: le attiviste, le single, le giovani istruite e coltivate, le guide turistiche, le registe, le giornaliste, le giudici: una di esse, Tayeba Parsa, ritiene certo che andranno incontro a un’esecuzione. Stanno facendo il giro del mondo le strazianti lacrime di una ragazza consapevole del triste destino che l’attende. Se saranno fortunate, lei e le altre come lei andranno spose ai combattenti per diventarne schiave sessuali. O saranno costrette a morire pur di non finire nelle mani dei talebani, come quei disperati che si sono attaccati agli ultimi aerei in partenza da Kabul.

Biden avrebbe dovuto dimettersi per quanto è stato incapace e per tutte le morti causate dalle sciagurate modalità con cui ha attuato una decisione controversa. Invece continua a negare ogni responsabilità, scaricando tutta la colpa sugli afghani e manifestando una glaciale indifferenza per le loro vite: Make America First Again, il mondo s’attacchi. Prendiamo nota, vista la facilità con cui la seguiamo in avventure scriteriate.

Tutti noi europei portiamo una pesante responsabilità per quanto è accaduto. Prima abbiamo tradito i curdi, ora la parte migliore della società afghana. Accogliere il maggior numero possibile di persone a rischio è doveroso, anche se sarebbe un ben misero modo per sdebitarci. La riconquista talebana è un colpo durissimo per chi è impegnato nella costruzione di un mondo migliore. Causerà una gigantesca perdita di fiducia in chi si batte per la libertà in paesi pericolosi – quei pochi che sopravviveranno, quei pochi che continueranno a farlo. Il lavoro che ci attende è immane. E lo dovremo svolgere da soli, senza la collaborazione di tanti sedicenti, vigliacchi democratici.

Raffaele Carcano

 




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