lunedì 27 giugno 2011 - Eleonora Poli

A LetterAltura, Guccini racconta la sua montagna

A Verbania, sul Lago Maggiore, in occasione della rassegna dedicata alle storie d’alta quota, all’avventura e ai viaggi, il cantautore parla di Pàvana, la piccola località dell’Appennino dove da anni ha scelto di vivere, isolato e felice. Nasce così un’affascinante cronaca, sospesa tra passato e presente, tra realtà e mitologia locale: come nel testo di una sua canzone.

E’ raro avere l’occasione di ascoltarlo in un festival letterario, davanti a un pubblico che non siano i diecimila spettatori dei suoi concerti. Francesco Guccini negli ultimi anni si tiene abbastanza lontano dagli impegni ufficiali, non ama più molto andarsene in giro per il mondo. La sua dimensione l’ha trovata altrove. Da una cittadina dell’Appennino tosco-emiliano osserva ora lo scorrere del tempo, è lì che scrive i suoi libri, e le canzoni. Proprio per parlare di Pàvana e dell’Appennino che la circonda, il cantautore modenese ha partecipato sabato a LetterAltura, la manifestazione che si svolge in questi giorni sul Lago Maggiore, dedicata alla riscoperta della cultura della montagna. Ascoltare Guccini è sempre un piacere: quasi all’ora di pranzo nel verde del chiostro di Intra, risponde per più di un'ora, in assoluto relax, alle domande di Erminio Ferrari. Tra ricordi e attualità, confronto tra epoche scavate nella memoria, il filo conduttore è quel suo paese di adozione, sospeso tra realtà e leggenda come tutti i luoghi del cuore. Al suo ultimo libro, “Malastagione”, scritto di recente a quattro mani con il socio Loriano Macchiavelli, Guccini non accenna neppure, e questo è davvero insolito per uno scrittore che partecipa a una manifestazione letteraria; come non fa parola dei suoi progetti musicali, di nuovi album o canzoni in preparazione.

Punto di partenza della conversazione sono invece le “Cronaca epafaniche”, anno 1989, storia dell’infanzia pavanese dell’autore e suo esordio letterario: Guccini precisa con orgoglio “sono stato il primo cantautore a scrivere un libro…” (primo di una lunga serie, si legge tra le righe con una lieve nota polemica). Sulla scia di queste cronache prende il via la narrazione, una delle cose che gli riescono in assoluto meglio, più naturali. Come quando ai concerti, prima di attaccare con la scaletta dei pezzi si prende tempo, un quarto d’ora o più per parlare di tutto: politica, attualità, il commento di un incontro o di un fatto divertente; con uno stupore immutato, anche passati i settant’anni, di fronte al mondo e alle persone. Ancora oggi Guccini ha la capacità di unire generazioni - vanno ad ascoltarlo gli adolescenti e i sessantenni - in una dimensione dell’esistenza basata sull’impegno, l’ironia, l’ottimismo di fondo verso la vita. Francesco Guccini, che è nato nel 1940 a Modena e non a Pàvana, questa località dell’Appennino l’ha conosciuta comunque fin da piccolo, per avervi trascorso lunghissimi periodi di vacanza, è la sua seconda patria. Lì ha imparato le cose fondamentali della vita: non particolari filosofie, spiega, ma proprio “a parlare, camminare, mangiare, a nuotare nel fiume sotto casa”; ad apprezzare il ritmo lento delle giornate e delle stagioni, portandosi dietro una sorta di pigrizia riflessiva che ancora oggi lo contraddistingue. Giunto a un certa età ha deciso di tornarci, “come i marinai che ritornano al punto dal quale sono partiti”. Una scelta che può sembrare riduttiva, avere il sapore di un ritiro, un volontario distacco dal reale. Conoscendo Guccini si capisce però che non si tratta di questo, non solo questo almeno.

A Pàvana, come in altri piccoli paesi, si vive una dimensione corale dell’esistenza, tutta da osservare e descrivere, in cui il singolo si muove in sintonia con la comunità di cui fa parte: già questa è una continua fonte di ispirazione. E poi questa zona della provincia di Pistoia si trova su un confine, quello tra l’Emilia-Romagna e la Toscana; una condizione che da sempre ha grande fascino, anche la vita quotidiana di questi luoghi riproduce il senso del passaggio geografico. Le lingue, i dialetti si intrecciano, eppure a pochi chilometri di distanza si avvertono, marcate, le differenze e ci si accorge che il mondo non è ovunque un villaggio globale; è fatto invece di piccole, imprescindibili identità. “Il pavanese medio ha un grande disprezzo per chi abita due chilometri più a sud”, scherza Guccini, ma sa di dire una cosa molto vera, in fondo. E' da questa prospettiva che lui ha conosciuto il mondo. L’America e gli americani, per esempio, arrivati a Pàvana nell’ottobre del 1944: ricordi lontani e indelebili di un bambino di quattro o cinque anni che senza muoversi da casa ha avuto il primo assaggio di una cultura e di uno stile di vita che avrebbe rivisto più avanti, nei film e nei viaggi. Anche i testi delle canzoni rispecchiano del resto questa dimensione di conoscenze dirette, famiglia, tradizioni e radici.

“Radici” è anche il titolo dell’album del 1972 che contiene alcuni dei suoi pezzi più famosi da “La locomotiva” a “Incontro”. Nei libri, nelle interviste o in una conversazione informale come quella di LetterAltura, il racconto di Francesco si mescola spesso a una sorta di nostalgia non amara, un concentrato di esperienze e storie nelle quali anche la tristezza diventa parte di un’assoluta, intoccabile normalità. Ma sì, conclude Guccini al termine dell’incontro, “è un po’ come ai funerali di Pàvana…”. Grandi eventi pubblici cui partecipa tutto il paese, certo; ma mentre le donne sono in chiesa gli uomini si radunano fuori a fumare, intorno alla panchina di fronte, e poco a poco incominciano a distrarsi parlando dei funghi che andranno a raccogliere e dei pomodori che hanno piantato, se crescono o non crescono bene, quest'anno. E in questa naturale condivisione si riesce a sdrammatizzare tutto, proprio tutto. Anche gli eventi più tragici e il sentimento del tempo che passa.




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