mercoledì 22 maggio 2019 - UAAR - A ragion veduta

8xmille: c’è un Paese al quale raccontano che è interamente solidale

C’è un Paese fatto di contribuenti che ogni anno versano allo Stato una quota di quanto guadagnato nell’anno precedente. Si chiamano contribuenti proprio per questo: perché con le tasse che pagano contribuiscono al funzionamento dell’intera macchina amministrativa dello Stato. 

Contribuiscono indirettamente anche alla vita dei cittadini svantaggiati, perché lo Stato a sua volta utilizza i soldi incassati con la raccolta delle imposte anche per istituire servizi e ammortizzatori sociali secondo il principio di perequazione. Non contribuiscono però tutti in egual misura, questi produttori di reddito, ma in modo progressivamente proporzionale ai loro guadagni e ciò in base a un preciso dettato costituzionale che ultimamente qualcuno ha proposto di superare. Ma questo è un altro discorso.

Paradosso: questa vera e propria tassa di religione è un pro­dot­to della secola­riz­za­zione

C’è poi un Paese di contribuenti che per legge devono sostenere non solo lo Stato ma anche le confessioni religiose. A partire da quella cattolica che, paradossalmente ma non troppo, viene riconosciuta dalla Costituzione quale ordine indipendente e sovrano rispetto allo Stato. Per dirla in altri termini: i contribuenti italiani pagano non solo perché funzioni lo Stato di cui fanno parte ma anche perché funzionino altri enti dei quali non è detto che facciano parte. Paradosso nel paradosso: questa vera e propria tassa di religione è un pro­dot­to della secola­riz­za­zione dell’Italia e del suo affrancamento, ma solo dal punto di vista formale, dalla precedente religione ufficiale. Già, perché fintanto che la religione cattolica era culto di Stato i suoi sacerdoti venivano retribuiti direttamente da esso, poi l’avvento della Repubblica ha mutato le cose. Sulla carta lo Stato è diventato plurale, anche se non del tutto e non nella stessa misura rispetto a tutte le pluralità, e poiché l’idea di privare la Chiesa di risorse non passava neanche per la testa dei governanti ecco che nel 1985, a seguito della revisione concordataria, si è arrivati al sistema attuale: non si retribuiscono più i sacerdoti ma si finanziano direttamente alcune organizzazioni religiose, quelle più simpatiche, destinando loro una quota dell’Irpef pari all’otto per mille del valore complessivo di ben oltre 1,3 miliardi.

L’Uaar da tempo cerca di infor­mare gli italiani sul mecca­ni­smo truf­fal­dino

C’è un Paese, o meglio una sua parte consistente, che pensa di non essere obbligato a destinare una parte dell’Irpef che paga a una confessione religiosa. Secondo il sondaggio che l’Uaar ha recentemente commissionato alla Doxa, questa parte corrisponde a quasi la metà degli italiani. Se poi si chiede agli italiani quanti sono al corrente del fatto che lo Stato finanzia la Chiesa anche in modo indiretto, attraverso le forme più disparate, il sondaggio ci dice che la metà viene purtroppo superata. Di fatto questi cittadini non sanno dove vanno a finire i loro soldi. Non sanno che l’otto per mille della loro Irpef andrà comunque ai soggetti beneficiari, che loro lo vogliano o no, non alla fiscalità generale. Solo che la loro quota verrà assegnata sulla base delle scelte espresse da altri. In pratica questi contribuenti delegano ad altri la loro scelta, in bianco, senza curarsi minimamente di quello che quegli altri sceglieranno al posto loro. L’Uaar da tempo cerca di infor­mare gli italiani sul mecca­ni­smo truf­fal­dino dell’Otto per mille con la campagna Occhiopermille e attraverso i banchetti informativi che i circoli Uaar organizzano nelle varie città.

C’è un Paese che ogni anno, in periodo di dichiarazione dei redditi, viene turlupinato dalle campagne che invitano a firmare per “votare la Chiesa cattolica”. Perché di voto trattasi, come detto sopra, e su un numero limitato di opzioni, non certo di scelta. Turlupinato perché non c’è verbo più adatto per definire il contenuto di queste campagne, tutte orientate alla presentazione di un uso solidaristico delle risorse. In realtà la parte di quanto incassato dalla Chiesa cattolica, che grazie al meccanismo perverso introita intorno all’80% del totale a fronte di appena un terzo di scelte dai contribuenti, è tutt’altro che prevalente rispetto al totale. La quasi totalità dei fondi vengono impiegati per il culto e per i sacerdoti, e a dirlo non è un anticlericale qualunque ma la stessa Chiesa. Ciononostante, gli spot fanno tutti leva sulla solidarietà; ce n’è uno che recita perfino sfacciatamente: “C’è un Paese che si dedica agli altri, senza paura e senza nulla in cambio”. Un miliardo di euro di solo Otto per mille sono nulla in cambio? Oltre sei miliardi complessivi in rivoli vari sono nulla in cambio?

I non aderenti alle confessioni destinatarie si trovano a contribuire loro malgrado

C’è un Paese costretto a subire le reprimende oltre all’ingiustizia. Perché all’appuntamento annuale con la dichiarazione dei redditi si è ormai affiancato anche un analogo appuntamento annuale con le critiche che la Corte dei conti rivolge allo Stato proprio per il modo in cui (non) gestisce l’Otto per mille. Lo Stato infatti, secondo i guardiani contabili: non verifica le reali destinazioni di queste somme; non vigila correttamente sugli abusi di alcuni intermediari; non risolve il problema che anche i non aderenti alle confessioni destinatarie si trovano a contribuire loro malgrado; soprattutto, non dà informazioni adeguate né promuove i suoi progetti. Su quest’ultimo punto invece la Chiesa cattolica è attivissima, come abbiamo appena visto. È attiva al punto che nel 2005 ha perfino basato la sua consueta campagna sulle vittime dello tsunami che ha colpito il sudest asiatico, spendendoci addirittura il triplo di quanto realmente erogato per il sostegno delle vittime: 9 milioni di euro spesi contro 3 donati. L’unione ebraica ne donò in proporzione venti volte tanto senza programmare nessuno spot.

C’è poi una Chiesa, nel nostro Paese, che non solo spende meno, molto meno, moltissimo meno di quello che darebbe a intendere in solidarietà sociale, ma arriva perfino a sostenere occupanti abusivi in danno di terzi. Non a caso il gesto del cardinale Krajewski, cioè intervenire fisicamente per ripristinare l’erogazione di energia elettrica in uno stabile occupato, ha suscitato commenti negativi da tutte le parti. Dai danneggiati prima di tutto, cioè la compagnia elettrica che vanta 300 mila euro di arretrati non pagati, ma anche dai proprietari di immobili preoccupati da questo incoraggiamento, perché tale indubbiamente è, all’occupazione abusiva. Evidentemente tra le possibili destinazioni dei proventi dell’Otto per mille non vi è il pagamento delle bollette dei disagiati. Non quelli che possono riavere la luce a sbafo, almeno, che tanto il cardinale rischia ben poco data la sostanziale immunità che gli garantisce il Trattato tra Stato e Chiesa. E se da un lato c’è chi plaude sottolineando la necessità di gesti plateali di disobbedienza civile per contrastare gesti altrettanto plateali ma di segno opposto, dall’altro non si può non tenere conto che chi questi gesti li ha compiuti avrebbe avuto la possibilità di usare risorse proprie per ottenere lo stesso risultato in modo lecito, come pare faccia di tanto in tanto. Ma non l’ha fatto stavolta, preferendo il gesto eclatante e i riflettori. E che comunque, il linguaggio dei segni che usa contro la xenofobia fa da contraltare a quello più violento che usa per negare diritti fondamentali, ad esempio alle donne.

Il caso dei sigilli rimossi al contatore: pretendere di fare carità coi soldi degli altri

C’è perfino una Chiesa, nel nostro Paese e non solo, che tradisce le sue vere intenzioni quando viene colpita negli interessi, al punto da rinunciare del tutto a prestare aiuto ai disagiati attraverso le varie Caritas nel momento in cui i cordoni della borsa pubblica vengono stretti. Un comportamento questo che certo non è coerente con gli appelli papali all’accoglienza rivolti alle parrocchie, anche se le stesse parrocchie poi li ignorano senza troppi problemi. È tuttavia perfettamente coerente con il caso dei sigilli rimossi al contatore: pretendere di fare carità coi soldi degli altri. Quelli della Chiesa sono della Chiesa e basta, non si toccano. Come non si toccano le monetine della Fontana di Trevi, non si toccano quelli che arrivano dal Cinque per mille alle varie Onlus della galassia cattolica, quindi perché si dovrebbero toccare quelli dell’Otto per mille? Lo tengano presente i contribuenti nel momento in cui saranno chiamati a esprimere una preferenza con la dichiarazione dei redditi. Cioè adesso.

Massimo Maiurana




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