martedì 5 dicembre 2023 - UAAR - A ragion veduta

8×1000: continua il calo delle firme per la chiesa cattolica

Negli ultimi anni sono diminuiti i contribuenti che hanno scelto di destinare l’8×1000 alla Chiesa cattolica, anche grazie alle campagne di informazione dell’Uaar. L’aumento di firme per lo Stato ha però attirato le attenzioni del governo, che vuol mettere le mani su questo piccolo tesoretto.
Il giornalista Federico Tulli fa il punto sul numero 5/2023 di Nessun Dogma.

 

Introdotto, come è noto, dalla legge 222/85, l’8×1000, il sistema di finanziamento alla chiesa cattolica, attraverso il dirottamento verso la Conferenza episcopale di una parte delle tasse pagate dai contribuenti italiani, trasse le sue origini dall’esigenza di rivedere radicalmente gli impegni finanziari dello Stato nei confronti della Chiesa di Roma, nonché, come si legge sul sito del ministero delle finanze, dall’esigenza di proporre un sistema che potesse essere esteso anche alle altre confessioni religiose che avessero stipulato un’intesa con lo Stato italiano.

Dal varo della Costituzione che, pur ribadendo la validità del sistema definito dai Patti lateranensi del 1929, aveva comportato il superamento del concetto del cattolicesimo come religione di Stato, si era rafforzata la necessità di porre mano al sistema vigente che oramai presentava evidenti ambiti di contraddizione, visti i privilegi di cui, 37 anni dopo l’entrata in vigore della carta costituzionale, ancora godeva la chiesa cattolica.

L’occasione per abbandonare il sistema obsoleto della congrua (somma versata direttamente dallo Stato ai sacerdoti) si presentò nel 1984 con l’Accordo di revisione del Concordato lateranense del 1929, fra la Santa Sede e la Repubblica italiana, che, all’articolo 7, prevedeva la costituzione di un’apposita Commissione paritetica con il compito di predisporre le norme «per la disciplina di tutta la materia degli enti e beni ecclesiastici e per la revisione degli impegni finanziari dello Stato italiano e degli interventi del medesimo nella gestione patrimoniale degli enti ecclesiastici».

Oggi, dopo 33 anni di 8×1000 (il sistema entrò a regime nel 1990), si può affermare che più di qualcosa evidentemente non ha funzionato giacché esso continua a garantire ogni anno alla Conferenza episcopale italiana di intascare un flusso torrenziale di denaro lasciando poche briciole alle altre confessioni, e solo qualcosa in più delle briciole allo Stato, per via soprattutto del contorto sistema di calcolo della ripartizione del finanziamento, messo all’indice più volte anche dalla Corte dei conti.

«Si tratta di un perverso meccanismo – ha detto nel luglio scorso il segretario Uaar, Roberto Grendene – per cui le quote non espresse (quelle che non vengono destinate, perché il contribuente non firma né per lo Stato né per una delle confessioni religiose che ha accesso ai fondi) sono comunque ripartite in proporzione alle firme ottenute».

Questo ha fatto sì che dal 1990 a oggi la Chiesa ha incassato una percentuale dell’intero 8×1000 pari a oltre 2 volte la percentuale delle firme espresse in suo favore. Ad esempio, l’ultimo dato pubblicato dal Mef nel 2023, e riferito alla dichiarazione dei redditi 2022, ci dice che con meno del 28% delle firme in suo favore la Chiesa incasserà oltre il 69% del miliardo e 400 milioni che ormai mediamente da qualche anno corrisponde all’8×1000 dell’Irpef versata all’erario ogni anno dai contribuenti italiani.

Molto interessante a tal proposito fu la “denuncia” della Corte dei conti pubblicata il 23 ottobre 2014 nella Deliberazione 16/2014/G. Eccone alcuni passaggi: «Grazie al meccanismo di attribuzione delle risorse dell’8×1000, i beneficiari ricevono più dalla quota non espressa che da quella optata, godendo di un notevole fattore moltiplicativo, essendo irrilevante la volontà di chi rifiuta il sistema o se ne disinteressa».

Sul sistema di ripartizione dell’inespresso – scriveva la Corte dei conti, «non vi è un’adeguata informazione, benché coloro che non scelgono siano la maggioranza e si possa ragionevolmente essere indotti a ritenere che solo con un’opzione esplicita i fondi vengano assegnati».

Nella tabella sono indicate le percentuali delle scelte sul totale dei contribuenti rispettivamente in favore dello Stato e della Chiesa. Balza immediatamente agli occhi lo squilibrio. Fino alla dichiarazione sui redditi del 2013 (anno 2014), cioè quella immediatamente precedente all’intervento della Corte dei conti, le firme in favore della Chiesa sono state mediamente il 34,5% sul totale contro il 5,09% in favore dello Stato. Di conseguenza la Chiesa ha incassato mediamente il 77,98% dell’8×1000 e lo Stato solo l’11,18%.

Ma come si nota dai dati e dal grafico corrispondente, dopo la relazione della Corte dei conti di fine 2014 qualcosa è iniziato a cambiare. Se nel 2014 la percentuale delle firme in favore della Chiesa era pari al 37,04 (6,55% per lo Stato) nel 2022 è scesa di quasi 10 punti: 27,93%. Contestualmente sono incrementate le firme in favore dello Stato.

Dal 6,55% del 2014 al 9,89% del 2022. Anche in termini assoluti, cioè di numero di firme in favore della Chiesa, dal 2015 c’è stata un’evidente inversione di tendenza e si è passati da 15.180.978 firme del 2014 alle 11.590.321 del 2022, con un decremento di quasi 3,6 milioni di firme (-23,65%). Nello stesso periodo sono aumentate di quasi 1,5 milioni quelle in favore dello Stato: da 2.685.883 del 2014 a 4.105.620 del 2022 (+52,85%). Infine, sempre dal 2015, è cambiato anche l’incasso medio di Stato e Chiesa, passando rispettivamente dall’11,18% sul totale dell’8×1000 al 18,37% e dal 77,98% al 75,96%. Quali possono essere i motivi?

Probabilmente una delle cause va ricercata nel risalto mediatico che venne dato al rilievo della magistratura contabile, rilievo che trovò spazio nelle relazioni annuali successive fino al 2018. Se l’ipotesi è corretta, l’attenzione dei media alle diverse notazioni della Corte dei conti ha almeno in parte bilanciato una delle più gravi carenze dello Stato italiano in materia di 8×1000: l’assenza di informazione istituzionale ai cittadini circa il funzionamento del meccanismo e la destinazione dei fondi da parte dello Stato. In poche parole l’assenza di pubblicità.

Già perché dall’altra parte del Tevere invece questa non è mai mancata. Se rispetto agli ultimi anni il dato relativo alla spesa pubblicitaria della Chiesa è rimasto ignoto, sappiamo, sempre grazie alla Corte dei conti, che tra il 1998 e il 2013 la Conferenza episcopale italiana ha investito circa 64 milioni di euro in inserzioni pubblicitarie sui soli canali pubblici della Rai (oltre 4 milioni l’anno in media).

Un investimento che ha certamente dato i suoi frutti se in oltre 30 anni di 8×1000 la Chiesa ha incassato in totale poco meno di 25 miliardi di euro e lo Stato circa 4 miliardi (contro i circa 650 milioni delle altre 11 confessioni religiose messe insieme). Stiamo parlando, per la Conferenza episcopale italiana, di circa 750 milioni incassati mediamente ogni anno, cifra che spinse nel 2014 la Corte dei conti a parlare senza mezzi termini di un «mercato del solidarismo». Ma c’è dell’altro che vale la pena approfondire.

Già nel 1996, la parte governativa della Commissione paritetica Italia-Cei incaricata delle verifiche triennali sull’8×1000 dichiarava così: «Non si può disconoscere che la quota dell’8×1000 si sta avvicinando a valori, superati i quali, potrebbe rendersi opportuna una proposta di revisione. Detti valori, già oggi – scriveva la Commissione governativa – risultano superiori a quei livelli di contribuzione che alla chiesa cattolica pervenivano sulla base dell’antico sistema dei supplementi di congrua e dei contributi per l’edilizia di culto.

Un loro ulteriore incremento potrebbe comportare, in sede della prossima verifica triennale, una revisione dell’aliquota dell’8×1000». Tuttavia, negli anni seguenti, il tema non è stato più riproposto nonostante l’ulteriore, rilevante aumento delle risorse a disposizione delle confessioni. Sicché nel 1996 al momento del rilievo la Chiesa incassava l’equivalente di 491 milioni di euro e nel 2022 (ultimo dato Mef a disposizione) la somma è arrivata a un miliardo e due milioni.

E tutto questo nonostante nel tempo sia drasticamente diminuito il numero dei sacerdoti: stando ai più recenti dati della Conferenza episcopale, nel 2020 il totale dei sacerdoti in Italia era pari a 31.793 unità. Erano 38.209 nel 1990: il calo, in trent’anni, è stato del 16,5% con 6.416 sacerdoti in meno ma solo tra il 2010 e il 2020 il clero è diminuito dell’11%.

L’accesso di nuove confessioni all’8×1000 attraverso intese bilaterali con lo Stato italiano (assemblee di Dio in Italia e unione italiana delle chiese cristiane avventiste del 7° giorno, 1988; chiesa valdese, 1993; chiesa evangelica luterana in Italia, 1995; unione delle comunità ebraiche italiane, 1996; unione cristiana evangelica battista d’Italia, sacra arcidiocesi ortodossa d’Italia ed esarcato per l’Europa meridionale, chiesa apostolica in Italia, unione buddhista italiana e unione induista italiana Sanatana Dharma Samgha, 2012; istituto buddista italiano Soka Gakkai, 2016) ha solo in piccola parte inciso sul calo delle firme in favore della Chiesa.

Tra le 11 confessioni solo la chiesa valdese (dal 2008) supera l’1% delle firme ricevute e il 3% di 8×1000 (dal 2010). Nella relazione del 2014 la Corte dei conti annotava che «la possibilità di accesso all’8×1000 per molte confessioni è oggi esclusa per l’assenza di intese, essendosi affermato un pluralismo confessionale imperfetto, in cui il ricorso alla bilateralità pattizia permette l’affermazione di uno status privilegiato solo per alcune di esse». E dopo questo rilievo solo la Soka Gakkai ha avuto il privilegio di accedere all’8×1000…

Però, come abbiamo visto, dopo il 2014 un clamoroso crollo di firme in favore della Chiesa c’è stato. E allora è lecito ipotizzare che esso sia dovuto all’inarrestabile processo di secolarizzazione della società e, come emerse anche dall’indagine Doxa/Uaar del 2019, a un sostanziale aumento del disinteresse dei cittadini (ma non delle istituzioni e della politica) verso la religione, testimoniati da diversi fattori: diminuzione dei battesimi, dei matrimoni religiosi, dell’iscrizione all’ora di religione, chiese pressoché vuote e centinaia di parrocchie accorpate.

Resta un’ultima considerazione da fare. Dall’1 gennaio 2014 è entrata in vigore la legge 147/2013, ampliando l’articolo 48 della precedente legge 222 del 20 maggio 1985. E cosa dice questa legge? Ha stabilito che la quota di 8×1000 che finisce in capo allo Stato è utilizzata (dallo Stato) «per interventi straordinari per fame nel mondo, calamità naturali, assistenza ai rifugiati, conservazione di beni culturali, e ristrutturazione, miglioramento, messa in sicurezza, adeguamento antisismico ed efficientamento energetico degli immobili di proprietà pubblica adibiti all’istruzione scolastica».

In pratica, finalmente, è stato stabilito con precisione in che modo le firme dei contribuenti italiani sarebbero state utilizzate. Aumentando il loro coinvolgimento in progetti concreti dello Stato, stando ai dati dal 2014 in poi, come abbiamo visto, è aumentato anche l’interesse ad apporre la firma sulla casella più laica dell’8×1000. Ma la forbice che separa le scelte in favore dello Stato da quelle in favore della Chiesa, seppur progressivamente diminuita, resta ancora ampia (vedi grafico). Se solo quei progetti di civiltà venissero pubblicizzati dalle nostre istituzioni un po’ di più…

Federico Tulli

Approfondimenti

  1. Indagine Doxa-Uaar.

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