venerdì 7 giugno 2013 - paolodegregorio

4 novembre 2011: la crisi che non c’è e i dati di Confindustria

In questa data l’illuminato imprenditore e grande statista S. B., dichiarava a giornali e TV che la crisi non c’era e che il peggio era passato, tanto è vero che i ristoranti erano pieni e si faticava a trovare un posto in aereo.

Se gli italiani non fossero per metà gaglioffi e per metà fessi, e almeno si ricordassero di queste parole, a fronte di ciò che è successo dopo e continua a succedere oggi, e giudicassero un premier per le sue capacità di guidare l’economia nell’interesse generale, il nome di Berlusconi sarebbe scomparso per sempre dalla rappresentanza politica e citato solo come degenerazione di un ruolo in cui gli interessi privati (aziende e processi) del premier hanno nettamente prevalso sulla cosa pubblica, con i risultati che sono lì a dimostrarlo.

Ecco i dati della Confindustria forniti mercoledì dal suo Presidente Squinzi: negli ultimi tre anni 55mila aziende chiuse, dal 2007 è stato distrutto il 15% del potenziale manifatturiero con la distruzione di 539mila posti di lavoro, la stretta creditizia da parte delle banche ha ridotto i prestiti agli imprenditori di 44 miliardi di euro.

Se aggiungiamo a questi dati l’aumento costante del debito pubblico che ha superato i 2.000 miliardi di euro, che ci costa di interessi 80 miliardi di euro l’anno, ed è dovuto alla mala amministrazione e agli sprechi di denaro pubblico, ecco che la barzelletta della crisi ormai alle spalle assume significati più tragici che comici. 

Il governo PD-PDL di largo inciucio, con molti voti a disposizione e una possibilità di prendere decisioni urgenti, si balocca con il semipresidenzialismo gradito all’eterno Caimano, fa una legge truffa sulla eliminazione dei contributi pubblici ai partiti, parla di rilancio della economia più come ultima speranza che come strategia politica.

Intendiamoci bene, nessuna ripresa sarà possibile se non si incide sui guasti provocati dalla globalizzazione: che ha visto decine di migliaia di aziende italiane delocalizzare verso paesi dove si pagano meno tasse e meno salari, senza che nessuno dei nostri espertissimi amministratori (e nemmeno la Confindustria) muovesse un dito, i più noti marchi italiani sono stati venduti a multinazionali straniere e ora i profitti di queste aziende vanno all’estero e in Italia non resta niente, moltissimi soldi sono usciti dalla imprenditoria e sono finiti nei paradisi fiscali e nelle speculazioni finanziarie e non vi torneranno più.

Senza la presenza di una banca di diritto pubblico, senza fini di profitto, ma finanziatrice di un piano di appoggio alla piccola e media impresa, per rendere autosufficiente l’Italia almeno nei settori fondamentali dell’energia (pulita) e dell’agricoltura, la “ripresa” è una chimera.

Naturalmente questa strategia va accompagnata da un piano di drastica riduzione della spesa pubblica, tipo l’abolizione delle province e del Senato, l’abolizione dei finanziamenti pubblici a partiti ed editoria, la fine delle missioni militari all’estero, la cancellazione della faraonica e assurda spesa per bombardieri F35, l’abbandono delle grandi opere tipo TAV e ponte sullo Stretto, la fine delle convenzioni della sanità pubblica con le strutture sanitarie private dove allignano truffe e ruberie.

Cari italiani, fino a quando in Parlamento non si parlerà di queste cose, state tranquilli che non cambierà nulla, e soprattutto non cambierà nulla finché i responsabili del disastro, gli alleati PD e PDL, verranno giudicati capaci di risolvere la crisi da essi non compresa e non governata. Meditate gente, meditate.




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