Protezionismo, tragica illusione

Si rimane stupiti di fronte ai recenti fatti di cronaca che vedono cento operai Italiani impossibilitati a svolgere il proprio lavoro nel “civilissimo” Regno Unito poiché respinti dagli abitanti locali.
Ora senza strumentalizzare l’accadimento e sperando nel buon senso, è però preoccupante la nascente spinta protezionistica, che seppur ancora limitata, è comunque sintomatica.
A tal proposito è utile ricordare che il protezionismo, ovvero la limitazione delle importazioni mediante dazi e la chiusura verso merci e lavoratori stranieri, è estremamente dannoso per i Paesi modernamente organizzati e caratterizzati da un PIL elevato. Può avere un qualche senso solo per i Paesi sottosviluppati esclusivamente nella fase iniziale della transizione verso lo sviluppo.
Una svolta protezionistica attuata in un paese sviluppato comporta dapprima un’iniziale e illusoria fase di relativo benessere, dovuto all’eliminazione della concorrenza straniera, poi una lunga e pericolosa depressione conseguente all’autoesclusione dal mercato globale delle aziende produttrici interne. In tal modo le aziende interne più tecnologiche e avanzate vengono inesorabilmente danneggiate dalle contromisure della comunità internazionale nei confronti della Nazione che malauguratamente dovesse aver scelto una politica protezionistica.
Il protezionismo spinge a un ridimensionamento del comparto industriale, a una limitazione degli investimenti nei settori tecnologici, e a un conseguente declino dovuto all’autoesclusione dalle dinamiche di confronto e concorrenza internazionale. Le aziende interne perdono competitività e prestigio, le migliori risorse umane migrano verso paesi con un’ economia aperta e la conseguenza finale è un arretramento sistematico della Nazione autoesclusasi dal sistema mondo.
Il protezionismo è un cavallo di Troia che ci si dona da soli, meglio starne alla larga.