La coppia di italiani rapiti nelle mani di un gruppo di al Qaeda

Terrorismo- Il gruppo potrebbe essere lo stesso che ha sequestrato e ucciso a giugno scorso un cittadino britannico in Mali. Il ministro Frattini prima è cauto, poi mostra i muscoli: non vuole cercare contatti per una soluzione negoziata
di Pietro Orsatti su Terra
Al Quaeda ha iniziato a prendere piede, e a farsi notare, nell’area compresa fra Algeria, Mauritania e Mali all’inizio del 2007, dopo che un gruppo militante, il Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento (Gspc), si è alleato con la rete internazionale di Osama Bin Laden. Molto attivi, con decine di sanguinosi attentati in particolare in Algeria e Marocco, comprenderebbe circa 600 combattenti sparsi fra tutto il Nord Africa e l’Europa. Si tratta comunque di un’organizzazione autonoma, una sorta di franchising di al Qaeda con strategie originali ma identici ideali. A giugno scorso, nella medesima zona del rapimento di Cicala e della moglie, lo stesso gruppo era entrato in azione rapendo e poi uccidendo un cittadino britannico.
Tornando a Frattini, dopo alcune ore dalle sue prime caute dichiarazioni, il titolare della Farnesina si è lasciato andare a dichiarazioni muscolari. «Chiunque tratta con i terroristi aiuta i terroristi – ha dichiarato il ministro degli Esteri -. Non abbiamo alcun contatto diretto con alcun emissario. Se per una volta sola dicessimo “trattiamo”, avremmo legittimato un’organizzazione terroristica». Peccato per Frattini, ma l’Italia ha sempre trattato. Ha trattato, malamente, sul caso Baldoni, in maniera efficace nel caso delle due cooperanti Simona Pari e Simona Torretta, e con esiti drammatici (proprio forse perché decise di trattare nonostante il disaccordo Usa) nel caso della giornalista Giuliana Sgrena. Speriamo, a questo punto, che Frattini si metta da parte (come in passato) e che subentri la diplomazia spregiudicata di Gianni Letta.