Persio Flacco (---.---.---.160) 16 gennaio 2017 23:15

Più che a una fine del PD mi pare che l’intervista preluda ad una sua mutazione genetica verso il Partito della Nazione (PdN). Meglio ancora: prelude alla sua confluenza nel Partito della Nazione. Un associazione di significati quella tra Partito (parte) e Nazione (totalità) che è già un programma politico ideologico: la parte che comprende in sé e si fa rappresentanza unica e guida dell’intera complessità e varietà sociale. Un partito quindi che annuncia la sua vocazione totalitaria già dal nome.

Per capire di che si tratta, in assenza di una vera base teorica, basta ripercorrere sommariamente l’attività di quell’abbozzo di PdN che è diventato il PD renziano.
Il "partito del fare", che per "fare" ha bisogno delle mani libere da lacci ideologici e anche programmatici; che si allea per governare con chi vuole, senza preclusioni; che accoglie indifferentemente fuorusciti di ogni matrice ideologica: da Gennaro Migliore a Denis Verdini e Angelino Alfano. Un partito dunque che non può non fondare la sua unità se non sulla figura del Capo Carismatico, unico depositario della linea politica e delle giravolte necessarie ad ottenere il suo scopo primario: il Potere. Un progetto di questo genere, in una fase politica di frantumazione del centrodestra, rischia di non avere contrappesi, di trovarsi di fronte ad panorama politico nel quale una galassia di forze politiche troppo piccole e divise per competere col PdN potrebbero esserne assorbite fino a conferirgli la massa indifferenziata tale da renderlo effettivamente una entità totalitaria.
La riforma costituzionale bocciata il 4 dicembre è stato il tentativo di accelerare questo processo e, mi duole dirlo, dobbiamo ringraziare Berlusconi se è fallito.
Ma non è finita li: Renzi è di nuovo in pista, e ora vuole occuparsi del partito...


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