martedì 5 maggio 2009 - Francesco Rossolini

La supremazia dell’immagine. Nuova forma di dittatura.

 

È opportuno  iniziare a riflettere sul fenomeno che più ha determinato i consumi nell’età contemporanea, ovvero il culto dell’immagine, dell’apparenza ed il suo strumento di diffusione, la pubblicità.

Ora che la pericolosità della corsa sfrenata al consumo sostenuta dal credito è una questione assodata e non solo una preoccupazione di quelli che erano chiamati “profeti di sventura” fino al settembre 2008, data fatidica della manifestazione della crisi finanziaria dei derivati, poi divenuta crisi economica ed infine produttiva, è il momento di analizzare le molteplici motivazioni che hanno spinto gli occidentali ad indebitarsi oltre ogni misura per acquistare futilità; futilità che evidentemente apparivano indispensabili.

Dalla conclusione della seconda guerra mondiale è iniziata una spinta maestosa ad indirizzare i consumi ed a spingerli in maniera nettissima. Dunque le migliori condizioni di vita della popolazione permesse da stipendi più alti hanno dato la possibilità di acquistare più beni dando il via alla società dell’immagine.

Con quella che è stata definita la terza rivoluzione industriale, ovvero quella del transistor, il mercato si è arricchito delle amatissime apparecchiature elettroniche, ai primi personal computer  ai sofisticatissimi palmari di oggi.

Ma quanti soldi, quasi sempre presi a prestito, sono finiti in futilità, ovvero in tutti quei beni di consumo, durevoli e non, acquistati esclusivamente per la necessità di apparire, necessità indotta dalla pubblicità sia diretta sia indiretta o occulta? La risposta non è semplice dato che i molti studi in materia danno risultati anche non poco diversi. Comunque è ragionevole sostenere che negli ultimi 20 anni cifre impressionanti rispetto ai redditi sono finite in “futilità” o comunque in oggetti non necessari acquistati esclusivamente per apparire.

Dunque l’apparenza è divenuta un bisogno primario dell’uomo contemporaneo che vuole costruirsi una maschera pirandelliana per sembrare più adeguato, o conforme e comunque meglio amalgamabile alla società dell’immagine.

L’essere ha subito la peggiore sconfitta di tutti i tempi da parte dell’apparire. Il sembrare altro, l’apparire simili ai “divi” televisivi, l’essere uniformati negli usi e nei costumi così da far parte del sistema, del gruppo, è divenuto il modo più comune per affrontare la vita o meglio per non affrontarla.

Quindi via all’emulazione della bella ragazza in prima pagina sulle riviste patinate, via all’acquisto dell’auto guidata dal calciatore di turno, via a lampade su lampade per assomigliare al conduttore di successo. Ecco, in questo si è trasformata la società contemporanea, in tanti, innumerevoli, orridi “assemblati” in specie di “subumani” per nulla interessati alla conoscenza, alle facoltà intellettive ed all’introspezione. E se per assomigliare agli stereotipi è necessario indebitarsi fino al collo, che importa!

Purtroppo però la società dell’apparenza nasconde la società della solitudine e dell’apogeo della pochezza. L’indossare troppo a lungo una maschera porta alla dimenticanza di chi si fosse in origine, porta alla fine dell’essere. 

Anche questa è stata una delle cause principali, assieme all’avidità sfrenata, che ha portato il sistema ad incepparsi. 



2 réactions


  • (---.---.---.79) 7 maggio 2013 22:42

    Eì una sacrosanta verità!!


  • (---.---.---.79) 7 maggio 2013 22:42

    E’ una sacrosanta verità!!


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