mercoledì 21 novembre 2012 - roccob

Un salentino a Nord Est (8) - Oggi, righe esclusivamente dedicate

Sì, nella circostanza, consonanti, vocali e segni di punteggiatura si susseguono e combinano per dire unicamente di Lui, hanno per centro la sua figura, le sue “opere”, la stessa aria che si avverte e si annusa intorno ai suoi luoghi.

Chiaramente, il riferimento va a S. Antonio di Padova, che, nella città euganea, e non solo, è familiarmente appellato il Santo: ciò, in virtù di un comune sentire affettivo tanto forte, pressoché alla stregua di legame di sangue, da arrivare a chiamare semplicemente così, con il medesimo abbreviativo, addirittura il grande e maestoso tempio, o Basilica Pontificia, a Lui intitolato.

E’ noto, anzi notissimo, che la figura del patrono del capoluogo patavino s’identifica e coincide con la santità maggiormente conosciuta nell’intero mondo cattolico, senza esclusione di alcuna area geografica, a qualunque latitudine, fra le genti e razze più disparate.

A nuova prova, al comune osservatore di strada, non rimane perciò, che far cenno a un minuscolo particolare, distintivo sul tema, correlato a un clamoroso episodio di cronaca politica internazionale, verificatosi lo scorso anno e tuttora in piedi e irrisolto: l’accusa, a due sottufficiali della Marina Militare Italiana in servizio anti pirateria nell’oceano Indiano, di aver sparato e colpito mortalmente due pescatori, giustappunto dell’India, scambiati per predoni del mare. Ebbene, il peschereccio su cui si trovavano le anzidette vittime era battezzato proprio “S. Antonio”, ancora una volta il suo nome, si pensi, nel lontano oriente asiatico.

Il grande Santo col saio è davvero tutto, a Padova, si pone sopra e di là dal tempo: potrà abbattersi qualsiasi evento, anche radicale e terribile, potrà il luogo essere invaso da eserciti di non credenti, e, tuttavia, l’essenza, la taumaturgica intercessione e l’influsso amorevole di Antonio giammai verranno meno e/o si attenueranno, la sua presenza seguiterà a volteggiare in alto per le epoche a venire.

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Indegnamente, mi onoro, con umiltà e in spirito sincero, di portare con me e sentire dentro uno speciale legale con S. Antonio. Durante il periodo in cui ho lavorato e abitato in Lombardia, uno stimolo inspiegabile mi induceva frequentemente, di sabato o di domenica, a montare in treno o in auto e recarmi al Santo (inteso come Basilica di Padova), sostarvi magari appena pochi minuti e, quindi, intraprendere direttamente il viaggio a ritroso. Immancabilmente, ogni volta, al ritorno, ero un “io” diverso, più ricco e, insieme, più leggero.

Adesso, non manco di compiere la visita ispirata a devozione quando mi trovo in zona a fare i fanghi; in questo caso, si tratta di mezzora d’autobus, ma l’intensità del viaggio o percorso è ugualmente forte. Già da Prato della Valle, imboccando il breve rettilineo con i portici laterali, mi sento preso, abbracciato dalla vista della facciata del Tempio, mi sembra di respirare il profumo del Santo, quasi che copiosi gigli ideali crescessero ed emanassero la loro flagranza in qualunque stagione.

Poi, all’interno del luogo sacro, compio un semplice segno e, come culmine, il passaggio silenzioso accanto alla Tomba. In tale fase, sempre il medesimo interrogativo a sollevarsi nel profondo dell’animo: “Che gli dico?”. Alla fine, però, mi astengo completamente dal proferire parola, nella convinzione che Lui sappia già tutto. Così è stato anche nel primo pomeriggio di martedì 20. In chiusura delle presenti note, il vezzo di una breve preghiera a S. Antonio, in dialetto salentino:

 Sant' Antoni, meu bitegnu,

tuttu chinu te santità,
tritici crazzie faci lu giurnu:
fammene una pe' carità.

Falla prestu e nnu tardare
ca si santu e la poti fare;
e cu la volontà te Ddiu
tispenza crazzie, Sant'Antoni miu!

 




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